donna e scuola riprendiamoci il potere
Siamo tante e ormai siamo dappertutto. Negli asili e nelle scuole materne abbiamo il monopolio assoluto, nelle elementari e nelle medie la maggioranza e anche nelle scuole superiori stiamo per arrivarci, persino all’università, struttura feudale per. eccellenza e dunque dominata da schiere di baroni, i maschi sono sempre al vertice della piramide ma tra i valvassori e i valvassini cominciano a spuntare le donne. Gli uomini, negli ultimi decenni sono emigrati in massa verso i lavori meglio retribuiti, e di maggiore prestigio sociale e ci hanno lasciato posto in una professione ormai largamente svalutata. Forse la presente crisi economica ritarderà l’esodo maschile e riporterà qualche uomo nelle scuole inferiori e superiori, tuttavia le linee di tendenza restano chiare: il processo di quasi completa femminilizzazione del corpo insegnante è quasi compiuto. Per il momento rimandiamo il discorso complesso dell’evoluzione storica della scuola italiana, degli aspetti positivi e negativi della crisi di crescita avvenuta negli ultimi anni, e delle contradittorie funzioni che la scuola svolge come fonte di selezione classica e di ascesa meritocratica individuale, dato che si tratta di temi ampiamente trattati altrove. In questa sede ci sembra prioritario discutere della posizione specifica della donna nelle strutture educative.
Prima di tutto occorre diventare pienamente consapevole che solo una minoranza di noi è entrata nella scuola per libera scelta. La maggior parte è stata costretta dalla mancanza di alternative a fare un lavoro che in fondo ritiene di ripiego. Abbiamo subito uno stato di necessità. Questa violenza che è all’origine del nostro ingresso nella scuola spiega in parte l’ambivalenza che molte di noi hanno verso il nostro lavoro.
La mancata considerazione sociale del nostro lavoro (insita anche nei tentativi di mistificarlo come sublime missione sociale), la bassa retribuzione, le carenze strutturali in cui ci troviamo ad operare e di conseguenza il lavoro inadeguato che riusciamo a svolgere sono tutti ulteriori motivi d’insoddisfazione. Inoltre a scuola, come a casa, siamo isolate, ognuna nelle proprie classi, coi propri problemi. I decreti delegati sono stati per alcune di noi un momento di partecipazione importante, qualcosa che ci ha ridato carica ed entusiasmo. Ma ora sta subentrando la fatica e lo scoraggiamento. Perché ci chiedono di fare i consigli di classe la sera così possono intervenire i genitori, e noi non sappiamo dove mettere i nostri figli. Perché sentiamo il bisogno di aggiornarci e imparare e la sera, dopo la cena, con i piatti e tutto il resto, siamo spesso troppo stanche per leggere. Perché se riusciamo ad andare ai corsi abilitanti o a corsi d’aggiornamento rimaniamo spesso insultate dai modi in cui sono condotti e dai contenuti che trasmettono. Ci rimproverano che siamo apatiche, spesso assenti, non politicizzate, non abbastanza impegnate. Quando il ragazzino ha la febbre siamo noi che stiamo a casa, quando c’è da correre in municipio a fare un certificato siamo noi che chiediamo il permesso, quando c’è la suocera o la zia che sta male è a noi che ricorrono. Se lui ha una riunione al partito o al sindacato, o la partita al bar, è a noi che tocca saltare il comitato di quartiere, e stare a casa coi bambini. E’ ORA DI DIRE BASTA.
PRIMA DI TUTTO DOBBIAMO SMETTERE DI ACCETTARE PER VALIDA LA SVALUTAZIONE DELLA NOSTRA PROFESSIONE ED USARE VERAMENTE IL POTERE CHE CI E’ STATO LASCIATO TRA LE MANI. IN UN PROCESSO DI TRASFORMAZIONE DELLA SOCIETÀ’, LA SCUOLA E’ UNA STRUTTURA FONDAMENTALE. NOI SIAMO LA FORZA LAVORO CHE LA FA FUNZIONARE. NOI INSIEME LOTTANDO UNITE ABBIAMO IL POTERE DI MUTARLA.
Come e in quale direzione? Nessuno ha in tasca la formula. Intanto si devono ottenere le condizioni minimali perché noi si possa svolgere un vero lavoro di formazione insieme agli studenti e si smetta di essere delle trasmettitrici di nozioni acritiche e di valori di obbedienza gerarchica, autoritarismo e sessismo che servono soltanto a lasciare le cose come stanno. Le condizioni minime perché si possa persino cominciare seriamente a lavorare sono la creazione e la corretta gestione di servizi sociali che ci liberino dal peso dell’altro lavoro che adesso svolgiamo accanto a quello scolastico. Le lotte per gli asili nido, per l’assistenza a domicilio degli anziani, e degli handicappati; per le strutture sportive e ricreative sono battaglie a cui noi dobbiamo non solo aderire, ma di cui noi dobbiamo diventare protagoniste per poter avere una voce su come questi servizi sono gestiti, sui contenuti e valori su cui si basano. Non vogliamo dei depositi per i nostri figli, i nostri malati e i nostri vecchi, vogliamo una gestione sociale e socializzante di quei servizi che finora sono stati gestiti in maniera privatistica e caduti sulle nostre spalle. Il discorso dei servizi sociali è necessariamente un discorso a lungo termine, ma già ora esistono leggi che dobbiamo costringere lo stato a rendere operanti, mobilitando al nostro fianco sindacati, partiti e gruppi politici. Ad esempio se i servizi di medicina scolastica funzionassero sul serio, non solo avremmo meno bambini malati nelle nostre classi, ma non dovremmo più sobbarcarci il peso di portare i nostri figli dal dentista, dal pediatra. Lo stesso discorso vale per i servizi di educazione fisica, per le strutture ricreative.
Lottare per i servizi sociali è dunque uno degli strumenti per poter avere una misura di libertà psichica e fisica che ci permetta di concentrarci seriamente sul nostro lavoro d’insegnanti. Come femministe inoltre dobbiamo elaborare insieme sul che cosa e come cambiare. Alcune cose, come l’abolizione delle facoltà e scuole professionali ghetto, l’eliminazione dei corsi di economia domestica per sole bambine, la revisione critica dei libri di testo, la riscoperta della storia della donna sono già state proposte e in alcuni luoghi portate avanti. Tuttavia molto rimane da inventare, da sperimentare da scoprire insieme.
Soprattutto occorre che non operiamo in modo isolato, che prendiamo coscienza che i nostri sono problemi comuni, che ci comunichiamo i nostri tentativi,» le nostre sconfitte, le nostre conquiste. Per questo Effe è a disposizione di quelle lettrici che vogliono dibattere questi problemi, formare gruppi di studio o di autocoscienza centrati sul lavoro scolastico, e contribuire a fare sì che la nostra professione d’insegnanti da «sorte subita» diventi «una scelta voluta», un impegno concreto per la trasformazione dei processi educativi e della società.