amore romantico

«L’amore, forse più ancora della procreazione, è il perno dell’oppressione delle donne», scrive la V ir estone. Ver la procreazione infatti è possibile proporre una maternità consapevole e liberamente scelta, di cui il padre e la società nel suo insieme condividano il peso. Per l’amore, invece, appare più difficile formulare delle proposte: Dobbiamo forse sbarazzarci dell’amore?

febbraio 1975

Che cosa significa amore?

Oggi, per amore si intende l’amore-passione, l’amore ideale e romantico. Non è sempre stato così. L’Eros degli antichi era esclusivamente sessuale, e consisteva in un divertimento schietto dei sensi e della mente, che provocava inquietudine solo quando veniva meno la reciprocità della corresponsione sessuale. La «follia» amorosa era, per i greci, il rifiuto a cambiare l’oggetto d’amore, l’ostinazione a pretendere che un rapporto sopravvivesse eternamente così come era nato. Attraverso varie fasi, soprattutto di carattere letterario, l’amore diventa infine, con il Romanticismo, con l’emergere cioè dalla soggettività dell’individuo, Amore con l’A maiuscola, unico eterno irripetibile, concentrato su un unico oggetto. E non a caso la nascita dell’amore ‘individuale soggettivo è contemporanea a quella deMa società borghese, della società cioè degli individui privati, come ha notato Engels, sottolineando il carattere storico dell’organizzazione monogamica della famiglia. Filtrato attraverso le inquietudini romantiche, l’appagamento sessuale non basta più e si trasferiscono anzi nel rapporto sessuale i problemi psicologici del singolo; e l’amore, che precedentemente era godimento dei sensi e della mente, si scinde in due: «Amare e godere sono due cose molto diverse», scrive de Sade: «la prova è che si ama tutti i giorni senza godere, e che ancor più spesso si gode senza amare». Nato come approfondimento e intensificazione del rapporto uomo-donna, l’amore romantico approda quindi, al contrario, o alla soppressione del godimento o alla nevrosi: cioè in definitiva al compiacimento del dolore di amore.

Questo concetto romantico di amore, che ci viene presentato ancora oggi come l’unico valido, in teoria vale naturalmente tanto per l’uomo che per la donna. Ma soltanto in teoria. L’uomo ha infatti un suo imprescindibile ruolo sociale che lo esonera dell’incentrare tutta la sua vita su un amore, sottraendosi all’attività sociale e alla collettività. La società finisce per condannare un Werther suicida per amore, tanto che lo stesso Goethe, l’anno dopo aver pubblicato il romanzo («I dolori del giovane Werther»), si sentì in dovere di comporre una poesia in cui fa pronunciare a Werther questo ammonimento: «Sii uomo, e non seguire il mio esempio!». Lo stesso Goethe, però, non si perita di far morire per consunzione d’amore Ottilia (nel romanzo «Le affinità elettive») non solo senza ripensamenti, ma facendole dire, come ultime parole all’amato, «Promettimi di vivere!».

Quello che è condannato, o quanto meno considerato eccessivo e sconveniente per l’uomo, quando si tratta di donne diventa iil loro destino naturale. È naturale che Anna Karenina si uccida una volta che il suo amore ideale le sfugge. È naturale che centinaia di protagoniste di romanzi rosa cerchino la morte o si chiudano in convento dopo essere state abbandonate, e che Madame Bovary si tolga la vita che non le ha dato né Amore né Avventura. Oggi, non solo la donna abbandonata dal marito, ma ogni adolescente che ha incontrato il «grande amore» considera terminata la propria ragione di vita una volta che questo amore è terminato.

In realtà l’amore, che significa arricchimento di sé attraverso la partecipazione all’esistenza dell’altro, non avrebbe in sé niente di distruttivo, come scrive la Firestone, se si svolgesse tra eguali: diventa distruttivo perché l’inevitabile vulnerabilità che deriva dalla reciproca apertura non avviene tra eguali. In una società dominata dagli uomini, e che considera le donne inferiori e parassite, una donna deve continuamente cercare e conquistare l’approvazione maschile; e poiché raramente le si concede di conquistarla attraverso un’attività sociale e con un ruolo sociale, l’unica scelta che le rimane è quella di ottenere il riconoscimento, l’apprezzamento, di un singolo uomo; e si sente inutile svuotata e finita se questo apprezzamento non lo ottiene, o lo perde. Se a tutto questo si aggiunge poi l’attuale obbligata dipendenza economica della donna, si capisce bene che la situazione non ha vie d’uscita: e la donna è obbligata a non riconoscere che il proprio amore è finito, anche quando è finito.

Se non raggiunge l’amore ideale, la. donna si sente in colpa: deve sforzarsi di cambiare, deve diventare la persona giusta per attrarre la persona fatale che da qualche parte certamente si trova e l’aspetta., Viene sottolineata così al tempo stesso la rarità dell’amore ideale e la sua indispensabilità — con un’abile trasposizione sul piano psicologico del concetto di «scarsità delle risorse», principale giustificazione, nell’economia capitalista, della ineguale distribuzione delle ricchezze*’ — e si fa dipendere dal raggiungimento dell’amore la felicità dell’individuo. Tutti gli altri fattori economici politici e sociali passano in seconda linea: la soluzione dei problemi è richiesta soltanto al singolo e non alla società, che può quindi continuare a restare quella che è. Inoltre, la società oggi ci pone come ideale romantico’ non più le pallide figure dei poeti (Byron) o quelle sanguigne degli eroi (Garibaldi, se vogliamo): ma, puramente e semplicemente, l’uomo di successo. E questo chiude in un circolo senza uscita tanto l’uomo che la donna. La donna è obbligata a sognare l’uomo che ha denaro e potenza, l’uomo è obbligato a conquistare il successo e a presentarsi con tutti gli oggetti che la società considera simboli del successo: la bella casa, la bella vacanza, la macchina sportiva. Quando il grande amore muore, l’uomo se ne cerca o ne compra un altro, la donna si considera finita e l’industria avrà venduto una macchina in più, una villa al mare in più.

L’amore, così inteso, diventa per la donna in questa situazione di disuguaglianza un modo di alienarsi, di perdere la propria identità o per lo meno una esperienza emotivamente distruttiva che le rende difficile o impossibile amare un’altra volta.

Dobbiamo dunque sbarazzarci dell’amore, dobbiamo dire basta alla monogamia?

Una prima conclusione da trarre è, intanto, che non c’è amore se non c’è autonomia, e che non si tratta tanto di rinunciare all’amore quanto di essere consapevoli della possibilità che esso, come amore, abbia una fine, e che con la fine di questo amore non finisce né la vita, né la possibilità di amare ancora.

Vedi D. e G. Francescato, Famiglie aperte: La comune.