congresso UDI

dicembre 1973

Della complessa tematica proposta dal Congresso dell’Unione Donne Italiane la stampa in generale si è limitata a dare risalto soltanto al problema dell’aborto (anche se questo è stato realmente un grosso nodo del dibattito) e al «presunto» scontro tra femministe e Udi (per il quale si sono usati termini quali «accapigliarsi, dibattito con punte di malignità tipicamente femminile», insomma tutto un vocabolario che non ci si sognerebbe mai di usare se invece di donne si fosse trattato, non diciamo di metalmeccanici, ma di vecchi gufi di una qualsiasi associazione maschile). Si sono invece tralasciati alcuni punti-chiave che hanno caratterizzato questo congresso.

L’Udi è stata indubbiamente per molti anni «l’espressione femminile» dei partiti Pei e Psi. Oggi esiste neU’Udi una ricerca di autonomia non solo politica ma anche ideale; questo è apparso chiaramente dal fatto che l’Udi non ha invitato i partiti ad esprimersi come tali, ma ha chiesto a tutte le donne che sono intervenute di parlare a titolo personale.

Non ci nascondiamo certo che quando Nilde Jotti ha espresso, nei confronti dell’aborto e della sessualità, una posizione negativa molto sconcertante, per i termini nei quali l’ha espressa, tale atteggiamento possa essere stato interpretato come messaggio ufficiale del Poi. Nonostante questo, il discorso aperto dalle altre compagne dell’Udì a una soluzione legale dell’aborto non è stato congelato dal peso, sia pure massiccio, di un tale intervento: si è andate coraggiosamente avanti, evitando le polemiche sterili, ma con grande fermezza di toni e di contenuti.

Il tentativo di creare una spaccatura sul tema scottante dell’aborto (e implicitamente di una nuova concezione dei rapporti uomo-donna) è quindi andato a vuoto. L’intervento della Viviani ha ribadito la posizione dell’Udì sulla depenalizzazione anche se nel documento conclusivo si fa accenno alla necessità di un ulteriore dibattito. Qui certo altri nodi verranno al pettine, anche perché non basta proporre la depenalizzazione se non si affrontano tutti i problemi ad essa connessi (strutture sanitarie, gestite da chi e come, servizi sociali, possibilità reali per le donne di usufruire degli istituti ecc.).

Altro punto focale del dibattito: la divisione dei ruoli. Per la prima volta l’Udì ha parlato di società «maschilista», per la prima volta un documento introduttivo a un convegno Udi ha fatto un’analisi in cui si dice «non si può negare che in tutto l’arco della storia umana, anche recente, il possesso sessuale della femmina sia stato addirittura considerato come un diritto incontestato del maschio: poligamia, ratto, ius primae noctis, la verginità come mito, puritanesimo, punizione dell’adulterio femminile, prostituzione, sono le tappe di questa violenza consumatasi nella storia ai danni della donna, e dimostrano chiaramente come la donna sia stata e sia considerata oggetto di preda e di consumo». Non c’è alcun dubbio che i movimenti femministi hanno dato a molte compagne dell’Udì la occasione di esprimere concetti come questo, hanno cioè agito da stimolo su donne che faticosamente hanno, come noi tutte, preso coscienza di cosa significa essere donna. Occorrerà però verificare quale sarà la reale disponibilità delle compagne iscritte ai partiti di portare avanti, al fianco delle battaglie importantissime quali diritto al lavoro, problemi della occupazione, delle strutture sociali ecc. questo salto qualitativo contenuto nelle tesi del Congresso che investe ogni donna in prima persona e in modo globale. La grande scoperta del femminismo è stata quella di aver individuato il nesso profondo che esiste tra sfera privata e pubblica, tra battaglia per l’emancipazione e presa di coscienza individuale: di rilievo da fare alle donne dell’Udi è di continuare a parlare soltanto di emancipazione quando il discorso sulla divisione dei ruoli porta inevitabilmente ad un discorso di «liberazione» della donna. È illusorio pensare che un processo quale quello proposto dall’Udi possa fermarsi a metà strada, pena di cadere in contraddizione con se stesso. Questa nuova ottica comunque non potrà non incidere sulle future battaglie dell’Udì. Ad esempio la pur validissima lotta condotta dall’Udi per gli asili-nido ha finito con l’essere un altro «ghetto» delle donne, nella misura in cui la risoluzione del rapporto madre-figlio rientra nel ruolo esclusivamente assegnato alla donna.

Giustamente molti interventi dell’Udì hanno sottolineato la necessità che la questione femminile sia gestita dalle donne in prima persona; ma hanno anche insistito sul fatto che occorre coinvolgere in questa problematica tutte le organizzazioni. Come ha detto una compagna dell’Udì, «le donne sono sempre presenti alle manifestazioni per il diritto al lavoro dei metalmeccanici; perché i metalmeccanici non devono essere presentì alle battaglie per l’asilo-n-ido ? Non sono padri anche loro?». La questione femminile non è infetti un settore per «addetti ai ‘avori» ma riguarda tutti i rapporti della società, sia a livello collettivo che personale, e le stesse nuove strutture che la società Vorrà darsi.