self-help clinic

Riscopriamo il nostro corpo e contestiamo la medicina tradizionale

dicembre 1973

Self-help clinic. Espressione praticamente intraducibile (la traduzione letterale è: clinica dell’auto-aiuto). In realtà non si tratta di clinica, bensì di gruppi di donne che si incontrano per studiare, approfondire, esaminare i problemi riguardanti la conformazione e la funzionalità degli organi sessuali e riproduttivi femminili, scambiando tra di loro informazioni, osservazioni e esperienze.

Il processo è analogo a quello del piccolo gruppo di presa di coscienza: si parte dal confronto ed analisi delle proprie esperienze personali per giungere alla scoperta della propria identità fisica e psichica sia individuale che collettiva. Come nel gruppo di presa di coscienza non abbiamo bisogno di «esperti» in sociologia e psicologia, così nel gruppo di presa di «conoscenza» del nostro corpo non abbiamo bisogno di medici laureati per iniziare il viaggio di scoperta della nostra fisicità.

Sarebbe presuntuoso ed utopico pretendere di rifiutare studi ed esperienze precedenti, ma riteniamo di poterne accettare la validità solo quando saranno passate al vaglio della nostra osservazione e della nostra esperienza. Finora siamo vissute nell’ignoranza: dalla vita in giù il nostro corpo è stato un mistero, che tabù trasmessi attraverso generazioni ci hanno impedito di esplorare. Nella prima giovinezza cominciamo a mestruare, in seguito abbiamo rapporti sessuali, magari anche numerosi figli e continuiamo a non sapere come siamo fatte e come funzionino d nostri organi genitali. Impariamo a conoscerci: è questo il messaggio che abbiamo ricevuto da due femministe del Feminist Women’s Health Center (Centro per la salute della donna) di Los Angeles. Carol Downer e Debi Law erano state invitate dal Movimento Femminista Romano per uno scambio di informazioni e di idee per comunicare al pubblico, in una conferenza-dibattito tenuta il 6 novembre al Ridotto dell’Eliseo, le loro esperienze ed i loro programmi.

Le donne prendono in mano, dopo secoli di oscurantismo e di repressione, la loro vita. Il cammino è lungo e difficile: i passi sono piccoli, ma la direzione è chiara.

Il primo stadio di conoscenza è la visione e l’osservazione dell’interno del proprio corpo, degli organi genitali. Le femministe americane ci hanno illustrato per mezzo di diapositive come effettuare l’auto-esame.

Gli strumenti necessari sono pochi e semplici: uno speculum, uno specchio e una lampada. Lo speculum, di plastica, leggerissimo, si trova in tre diverse misure ed ha l’impugnatura verso l’alto per permettere alla donna di inserirlo da sé. L’introduzione è facilissima e indolore. Un fascio di luce sullo specchio, posto di fronte alla vagina allargata dallo speculum, ci permette di vedere chiaramente l’interno della vagina e la cervice (la parte terminale dell’utero). Così comincia la conoscenza di noi stesse, che, nella migliore delle ipotesi, è un diagramma medico, ma per la maggioranza delle donne un mistero avvolto nei veli della mistica della maternità e della sessuologia. Auto-esami periodicamente effettuati ci permettono di conoscere il colore «normale» della nostra cervice, cosa che nessun ginecologo è in grado di distinguere. E le modificazioni del colore possono avere vari significati. Sembra accertato, ad esempio, che una colorazione più scura possa denunciare un’incipiente gravidanza. Altre modificazioni o alterazioni della cervice possono permetterci di individuare infezioni più o meno gravi degli organi genitali, persino la gonorrea, prima che i disturbi si manifestino all’esterno. Con un intervento tempestivo si possono debellare anche i cosiddetti mali incurabili. Se poi si rende necessaria una visita del ginecologo, ben diverso è l’atteggiamento che possiamo assumere nei confronti dello specialista: non più da povere donne ignoranti costrette a subire il terrorismo culturale e psicologico così comune nei medici e soprattutto nei ginecologi, ma da persone consce e informate. Se il medico sa accettare questo diverso atteggiamento, le nostre intuizioni saranno una base fondamentale per diagnosi e cura.

Rivoluzionaria e piena di sviluppi interessanti è stata l’invenzione di un altro apparecchio, cui ha contribuito una compagna femminista: la siringa per la estrazione del sangue mestruale.

Funziona col principio della pompa aspirante: pompando la siringa si crea del vuoto pneumatico in una boccia a questa collegata per mezzo di un tubo di plastica, che viene tenuto compresso. All’altra estremità della siringa è innestata una cannula di 4 mm. che viene inserita nell’utero. Quando si rilascia la pressione sul tubo, il vuoto della boccia risucchia il contenuto dell’utero. In due o tre minuti ci si libera del flusso mestruale! L’estrazione si effettua generalmente il primo giorno del flusso o intorno a quella data. È da qualche anno che le compagne dei gruppi femministi stanno sperimentando questa pratica, e per ora non si sono notati effetti collaterali nocivi, anzi in molti casi è servita a regolarizzare il ciclo. Siamo ancora evidentemente in fase sperimentale ma, come ci è stato fatto notare di fronte alle nostre perplessità, in questo caso l’esperimento è fatto volontariamente, consapevolmente e cautamente e non a nostra insaputa in ospedali o consultori da gruppi di interesse medico e farmaceutico, come spesso avviene, e non solo in Italia.

Lo scopo dell’estrazione del sangue mestruale è plurimo. È anzitutto un modo di controllare questa nostra «natura» che ci vien fatta continuamente pesare dalla società come limitazione alla nostra realizzazione personale. È una liberazione da sofferenze, nel caso di mestruazioni lunghe e dolorose, ed è infine un utilissimo metodo anticoncezionale, sul tipo della pillola del giorno do-

po, forse il meno pericoloso e dannoso per ora disponibile.

Durante il dibattito che ha seguito la conferenza delle femministe americane, è stato loro chiesto perché non si servissero della collaborazione di medici, o almeno di donne-medico. Avevano tentato, ci hanno risposto, di collaborare con un medico, quando aprirono una clinica per aborti illegale (prima che la sentenza della Corte Suprema estendesse la liberalizzazione dell’aborto a tutti gli Stati), ma vi si era riprodotto il solito rapporto gerarchico uomo-donna, medico-infermiera, mentre il maggior peso del lavoro era, al solito, ricaduto sulle donne. Anche per quanto riguarda le donne-medico sembra estremamente difficile e raro riuscire ad inserirle in questi gruppi alla pari con le altre. Si viene quasi sempre a ricreare l’atteggiamento didattico di chi sa e quello timoroso e dipendente di chi deve imparare. Mentre la premessa e la finalità di queste «clinics» è proprio la crescita collettiva, basata sulla ricerca da parte di tutte, che si allarghi e si diffonda con un processo rivoluzionario.

II Movimento Femminista Romano ha tradotto e raccolto in un ciclostilato i documenti informativi sulle cliniche di auto-aiuto. Si possono richiedere direttamente a Effe inviando un contributo per il M.R.F. di L. 500 su vaglia postale (intestato: EFFE -Piazza Campo Marzio, 7 -Roma).