diritto di famiglia
Ce l’hanno raccontato condito in tutte le salse per un paio di anni, pur di non farci credere al divorzio, di velarcene la qualità — il mezzo più civile per chiudere una situazione coniugale in crisi — ci hanno raccontato, i democristiani, che la soluzione era un’altra, che loro erano già pronti a farla approvare in Parlamento; niente scogli per la Riforma del Diritto di Famiglia, panacea coniugale con nullità, annullamenti, separazioni un tantino più elastiche.
Ma poi la DC che aveva fatto alla Camera dichiarazioni molto favorevoli alla riforma del Diritto di Famiglia, al Senato mette invece i bastoni tra le ruote al progetto, attraverso le dichiarazioni reazionarie e le posizioni ultra conservatrici del relatore democristiano Agrimi.
Nel vuoto politico si moltiplicano le contraddizioni e scatta il meccanismo tipico della società maschilistica. Ritardi, polemiche, silenzi: ed intanto i democristiani fanno i furbi: la furba di turno è la senatrice Franca Falcucci che, non si sa a nome di chi (fa parte della direzione DC, quindi non è possibile credere ad una sua iniziativa personale) ha presentato un altro progetto di riforma del Diritto di Famiglia. Lo ha presentato con puntualità ammirevole all’insediamento del nuovo Senato, il 25 maggio 1972. Cosa può accadere ora? Che secondo una prassi riconosciuta i due progetti siano accoppiati e discussi insieme: non si potrebbe più parlare in questo caso, di emendamenti tecnici, come pretende la DC, ma di una rimessa in gioco di tutti i princìpi «rivoluzionari» già approvati alla Camera. Dal comunicato della Senatrice Falcucci che ha preceduto la presentazione del suo progetto: «Ho ritenuto di dover por capo ad un rinnovamento integrale del sistema dei nostri codici» allo scopo di «portarvi riflesso delle mie proprie convinzioni di fondo, delle mie proprie idealità». A proposito della famiglia, la Falcucci declama: «Non è possibile ricondurre l’indice di coesione ad un incontro di sentimenti… di modo che la famiglia non avrebbe più ragione di essere quando venisse meno l’adesione sentimentale di uno dei coniugi… Si finisce così per negare il rapporto tra famiglia e società nella misura in cui si fonda la socialità del vincolo sulla innesta-bilità del sentimento anziché sulla necessità di subordinare alle esigenze della comunità l’arbitrio del singolo». È chiaro qui l’attacco al divorzio ed anche alla separazione. Infatti qui la senatrice fa un salto indietro e reintroduce la separazione per colpa, abolita nel progetto governativo già approvato alla Camera. Il matrimonio quindi deve essere una prigione cui chi vuole sfuggirne sarà obbligato a pagarne il prezzo subendo ripicche e ricatti. Adulterio: scomparso come reato nel progetto arenato a Palazzo Madama, per la Falcucci «il reato di adulterio si fonda sul principio che per una vita coniugale ordinatamente svolta, la fedeltà costituisce valore fondamentale e irrinunciabile. La violazione di tale impegno che i coniugi hanno liberamente assunto, è causa di gravi attentati al leale svolgimento della vita della comunità familiare… Non può pertanto lo Stato rimanere indifferente di fronte a tali attentati». Per cui l’articolo 151 del progetto Falcucci che dovrebbe sostituire il 559 del C.P. dice: «|| coniuge che commette adulterio è punito con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il correo del coniuge adultero…». La Falcucci si sente e sostiene di essere estremamente liberale perché cita la parità dei coniugi come base per eguale trattamento punitivo in fatto di adulterio!
Ma un altro punto potrebbe condurre all’ilarità se qui non si facesse maledettamente sul serio. Nel capitolo che riguarda i reati contro la fedeltà coniugale rientra la inseminazione artificiale: «è stata prevista una nuova fattispecie criminosa per l’inseminazione artificiale eterologa, per le gravi conseguenze che tale evento può avere nell’ambito della famiglia… non può dirsi che l’ordinamento deve guardare con indulgenza a questi comportamenti senza colpirli con la sanzione penale… non è da sottovalutare il rischio di più accentuate ipotesi di inconsapevoli incesti che possono derivare da tale comportamento…».
Ecco quindi un nuovo articolo, il 159, che sostituisce il 592 del c.p.: «La donna coniugata che permette su di sé l’inseminazione artificiale eterologa, è punita con la reclusione da tre mesi a due anni». La Falcucci è molto conseguente; nulla vuole lasciare all’arbitrio individuale, cancellando quelle poche conquiste civili e sociali ottenute faticosamente e con battaglie decennali, in questi ultimi anni. Non potevano mancare, nella sua attenta rassegna, aborto e contraccettivi. Sotto il titolo «Delitti d’onore», così scrive: «La coscienza sociale… non accetta più la pratica impunità che viene assicurata a chi per un malinteso senso dell’onore, recide una vita umana. La sacertà della vita umana è tale che l’erronea convinzione di salvaguardare con il delitto un onore sessuale — che non può mai assurgere a valore fondamentale della persona — non deve portare alla erogazione solo di pene simboliche, costituendo così un incentivo al delitto… Deve anche essere esclusa ogni attenuante per coloro che hanno concorso con la donna
non coniugata nel reato di aborto… deve anche essere stabilita un’autonoma previsione legislativa per la propaganda di pratiche abortive… si prevede che i prodotti contraccettivi debbano essere venduti solo a seguito di esibizione di ricetta medica. Altresì è dovere dello Stato vietare una pubblicità commerciale di tali prodotti…» . La lunga chiacchierata sfocia nella formulazione degli articoli 161 e 162 in aggiunta al 663 del c.p.: «Pubblicità commerciale di contraccettivi: chiunque distribuisce o affigge o mette comunque in circolazione scritti o disegni tendenti a pubblicizzare, per scopi commerciali, prodotti atti a realizzare pratiche contro la procreazione, è punito con la pena dell’arresto da tre a sei mesi e con l’ammenda da 80 mila a 200 mila lire». E le stesse pene sono previste per chi vende senza ricetta prodotti contraccettivi. Ricordiamo che norme simili esistevano nel codice penale ma sono state abrogate recentemente da una sentenza della Corte Costituzionale che ha permesso la vendita e la propaganda dei mezzi anticoncezionali.
La difesa della stirpe è a oltranza. Niente figli da provetta ma anche niente figli naturali. Ecco cosa inventa la senatrice Falcucci sul riconoscimento del figlio naturale e adulterino. A proposito del figlio adulterino: «Non è possibile garantire a questi il diritto di realizzare educazione e istruzione mediante l’inserimento nella famiglia legittima, inserimento che urta contro quei diritti di essa tra i quali va certamente ricompresa la salvaguardia dell’unità e dell’armonia familiare…». Si ripropone insomma in parole povere un cittadino di seconda classe, di serie b (articoli 70-71 e 72 che sostituiscono gli articoli 251 e 252 del ce: i figli incestuosi non possono essere riconosciuti, quelli adulterini riconoscibili solo se il genitore al tempo del concepimento non era unito in matrimonio). E poi c’è la meravigliosa utilissima «dichiarazione di procreazione», una invenzione giuridica del tutto inedita: «Il genitore che al tempo del concepimento era unito in matrimonio, mediante dichiarazione davanti al giudice tutelare, può riconoscere la procreazione del nato fuori del matrimonio. Da tale dichiarazione consegue l’assunzione degli obblighi patrimoniali relativi al mantenimento, istruzione ed educazione del figlio». Sono 176 gli articoli-facezie del disegno di legge n. 41 del senatore Franca Falcucci. Certamente non sarebbero più soltanto facezie se arrivassero a essere discussi.
23 novembre: la Corte Costituzionale ha deciso che il divorzio è legittimo e resta nell’ordinamento italiano perché non contrasta con l’articolo 34 del Concordato che assegnava ai tribunali ecclesiastici la giurisdizione negli annullamenti matrimoniali, ha Corte doveva prendere posizione sulle questioni proposte dalla Cassazione e dalle Corti d’Appello di Napoli, Torino e Trieste. Per la prima volta ha fatto conoscere la decisione prima di rendere pubblica la sentenza. La motivazione sul diritto sovrano dello stato di disciplinare liberamente la cessazione degli effetti civili di ogni tipo dì matrimonio si conoscerà, tra qualche settimana. A questo punto sembrerebbe non restare che fissare la data del referendum popolare, divorzio sì o no, forse per la prima domenica del giugno 1974. Ma è esatto sostenere che la vittoria laica c’è stata ed è totale? Non c’è pericolo che si tenti da parte clericale di svuotare in qualche modo la legge Fortuna pur di non fare il referendum? Vanfani ha promesso davanti al congresso del suo partito «la pace religiosa», che vuol dire appunto evitare ad ogni costo la consultazione popolare, arrivare a una revisione del Concordato (e non alla sua abrogazione come vogliono i laici) marginale, che ne confermi la sostanza.
Si punta sul doppio regime matrimoniale, messo a punto da Fanfani. Il nome più adatto che gli è stato dato è: «doppio regime laico». Chi sposa in municipio potrà optare per l’indissolubilità del vincolo. Ma contemporaneamente al giudice è lasciata ampia discrezionalità, come vuole la proposta Carettoni di due anni fa, può negare ad esempio la fine del vincolo anche per «motivi morali».
Non ci sono dubbi che questo «matrimonio opzionale» rimane tale e quale a quello voluto dal regime concordatolo e la legge Fortuna, anche se continua a esistere, non serve più a divorziare. E a che e a chi serve? Svuotata la legge, è anche evitato il referendum. Così si è salvata apparentemente la indipendenza della magistratura suprema e si è ottenuto comunque il risultato che piace alla DC. Ma il match non è deciso, soprattutto perché questo marchingegno dovrebbe trovar posto nella riforma del diritto di famiglia, tuttora in discussione o meglio in stallo presso la commissione giustizia del Senato.