donne e pazzia
quando, come e perché
Perché donne e pazzia? Gli ospedali psichiatrici sono pieni anche di braccianti, manovali, pensionati, artigiani, disoccupati, sottoccupati, analfabeti, insomma di tutti quei maschi che nel nostro sistema socioeconomico occupano i gradini più bassi della scala sociale e sono perciò sottoposti a stress e difficoltà di ogni genere. Inoltre nella nostra società” iper urbanizzata”, competitiva, logorante, anche i maschi delle classi dominanti e medie si ritrovano ad affollare gli studi degli psicoanalisti e degli psicoterapeuti per alleviare le loro nevrosi.
Un discorso sui “pazzi” e sull’apparato assistenziale psichiatrico che li gestisce va ovviamente affrontato — quindi — da molti punti di vista. Dato che i concetti di”normalità” e”anormalità” variano a seconda dei periodi storici e dei tipi di società, è necessario esaminare chi, nelle varie epoche, ha avuto il potere di definire altri come “malati di mente”, quali comportamenti o sintomi sono stati classificati come “anormali”, quali cure sono state praticate e così via; soprattutto occorre domandarsi a che scopo avveniva (e avviene) questo processo di selezione, classificazione e successiva emarginazione di una minoranza della popolazione. Szasz e Basaglia — due psichiatri, l’uno statunitense, l’altro italiano — hanno iniziato ad avanzare interpretazioni sul significato della “malattia mentale” e sulla strumentalizzazione che il sistema ne fa nei contesti rispettivamente americano e italiano, ha loro analisi si riferisce alle violenze subite da tutti i pazienti mentali, sia uomini che donne. Tuttavia la società opprime uomini e donne in maniera diversa. A noi interessa qui approfondire gli specifici aspetti dell’oppressione e della repressione femminile all’interno del problema più vasto della salute mentale.
Noi di EFFE non siamo in grado, da sole, di affrontare un argomento così complesso; possiamo soltanto indicare i temi che ci sembrano fondamentali e chiedere a tutte le lettrici di collaborare, inviandoci inchieste, proposte, studi, programmi d’azione. Facciamo degli esempi: si potrebbe analizzare la storia della legislazione italiana in materia psichiatrica, con particolare attenzione ai provvedimenti discriminatori contro le donne (es.: nel 1851, in Illinois, nello statuto dì internamento di quello stato si affermava: «Donne sposate… possono venire ammesse o detenute nel manicomio di stato di Jacksonville su richiesta del marito… senza la prova di infermità mentale richiesta in altri casi»). Si potrebbero esaminare i manuali psichiatrici per vedere quali sintomi e comportamenti vengano definiti “anormali” per le donne in determinati periodi storici. Un altro tema dì grosso interesse è quello del rapporto tra pazzia e discriminazione dì classe: l’analisi della provenienza sociale delle donne che finiscono negli ospedali psichiatrici (spesso edifici del tutto inadeguati, come vecchi conventi e prigioni, sottoposte a cure brutali a base di psicofarmaci e elettroshocks), l’esame dei tipi di trattamenti che ricevono invece le donne borghesi, curate da psicoanalisti, terapeuti etc. C’è poi il complesso problema del rapporto tra pazzia e “ruolo femminile” (quante donne vengono colte da “improvvisa pazzia”, come si legge sui giornali, dopo una serie di parti a catena, stressate da una vita domestica soffocante, uccise a poco a poco dallo sforzo di adeguarsi alle “tradizionali” funzioni femminili in cui si sentono profondamente a disagio?). Esiste poi tutta una parte “positiva” da elaborare: proposte per un’assistenza psichiatrica alternativa (case-famiglia in cui ospitare le “malate”, lavoro di prevenzione nelle scuole, nelle famiglie, nei luoghi dì lavoro); l’individuazione di tipi dì” terapie femministe” già in uso in altri paesi (ad esempio gli USA); l’esame dei sintomi psichiatrici “maschili” e “femminili” per verificare quanta parte della malattia mentale sia legata agli schemi prefissati in cui i due sessi vengono fin dalla nascita rinchiusi. In questo numero inizieremo con alcune testimonianze di donne proletarie, ghettizzate negli ospedali psichiatrici, e esamineremo la divisione del lavoro negli ambienti psichiatrici. Nei prossimi numeri — contando anche sui contributi delle lettrici — ci occuperemo delle donne che si sottopongono a terapia privata e delle forme dì terapie alternative elaborate dalle femministe di altri paesi.
PAZZIA DI CLASSE: PROLETARIE AL CONFINO
I dati e le testimonianze che presentiamo provengono da Inchieste condotte in tre grossi ospedali psichiatrici situati ‘rispettivamente nel Nord, nel Centro e nel Meridione. Il carattere emarginante e classista degli ospedali psichiatrici italiani appare ugualmente evidente nelle tre regioni esaminate. Circa il 25% delle ricoverate è analfabeta, un altro 20% è semianalfabeta, circa il 35% ha un’istruzione elementare, Il 15% ha frequentato le medie e solo 11 5% ha un’istruzione superiore. Circa i 2/3 al momento del ricovero venivano classificate come casalinghe, le altre come domestiche, artigiane, braccianti agricole nel sud e operale generiche nel nord. In breve, negli ospedali psichiatrici pubblici affluiscono le donne del proletariato e sottoproletariato, e in modo particolare quelle tra di loro che non hanno «un posto In casa»: le ‘nubili, le separate, le vedove. Queste Infatti costituiscono ben il 50% delle ricoverate; ciò significa che la probabilità di finire in ospedale psichiatrico è più alta per quelle donne che non riescono a trovare (o cessano di avere) la «sistemazione» più comune per la donna italiana: il lavoro non retribuito di madre e di moglie.
L’altro 50% risultano coniugate. Spesso però sotto le etichette di schizofrenia, dissociazione paranoide, psicosi maniaco-depressiva, psicopatia, o stato di eccitazione in seguito a tentato suicidio si scopre che anche queste donne sono finite In ospedale psichiatrico perché deviavano dai loro ruoli di madre, moglie o figlia modello. Casalinghe che smettono di fare i lavori domestici, madri che non si consolano abbastanza In fretta per la morte d’un figlio o dopo un parto traumatico, ragazze che scandalizzano i padri cambiando ragazzo troppo spesso, a volte finiscono nel reparto accettazione dei ‘nostri ospedali psichiatrici e lì rimangono per mesi, anni, talvolta per una vita.
Se arrivano in ospedale con un’ordinanza della Pubblica Sicurezza e il loro ricovero è coatto (articolo 1), i medici hanno l’obbligo di tenerle in osservazione da quindici a trenta giorni. Molte donne entrano volontariamente: in teoria potrebbero andare via liberamente, in pratica il loro ricovero finisce con l’essere ugualmente coatto. Infatti è sempre il medico che decide come, quando e perché saranno dimesse. Inoltre queste «volontarie» sono molto spesso costrette a ricoverarsi sotto la minaccia dei parenti che altrimenti faranno fare l’ordinanza di ricovero; la stessa cosa avviene per quelle che sono state «dimesse» in prova e «rientrano da casa».
L’internamento in un ospedale psichiatrico può avvenire per i motivi più svariati; donne sono state internate su richiesta di padri, mariti o fratelli, con la «complicità» di medici spesso generici (quindi non preparati a diagnosticare «malattie mentali»), per tentato suicidio, per liti con i vicini, per
comportamenti non graditi, alla famiglia (modo di vestirsi, abitudini sessuali, «vizio» del fumo, ecc.), per gelosia nei confronti del coniuge, ubriachezza, rifiuto a svolgere le faccende domestiche e, nel caso di prostitute, per liti con le «colleghe» o con la polizia. Nel 70% dei casi non vi è assolutamente nulla che giustifichi il giudizio di «pericolosità» della donna ricoverata. Quando si tratta di donne anziane (che costituiscono un quarto o un terzo degli internati negli ospedali) I motivi del ricovero sono quasi sempre di carattere sociale, raramente dipendono da comportamenti «abnormi»: si tratta di mancanza di spazio in famiglia, carenza di alloggi, la necessità degli ospedali di «liberare i letti» (sono numerosi i casi di donne anziane provenienti da altri ospedali con una ordinanza di «pericolosità» del tutto inesistente). I medici dell’ospedale sanno benissimo di trovarsi di fronte ad un’innocua vecchietta, ma hanno ugualmente l’obbligo di accettarne il ricovero per un periodo d’osservazione; conclusosi tale periodo, dato che la ricoverata non trova in genere nessuno disposto ad accoglierla, è più che probabile che finisca con il consumare gli ultimi anni della sua vita nell’ospedale psichiatrico.
Che tipo di vita conducono queste donne negli ospedali psichiatrici in cui sono state rinchiuse? Le testimonianze che seguono ne danno un’agghiacciante documentazione.
Strumenti di lotta: la proposta di effe
Come abbiamo brevemente documentato, le donne più oppresse e più escluse dalla società sono certamente quelle recluse nei circa 90 ospedali psichiatrici Italiani.
Alle molte donne, ai numerosi gruppi che costantemente ci scrivono chiedendoci a quali progetti possano dedicare le loro energie vorremmo proporre la lotta a favore della liberazione materiale e psichica di tante donne così crudelmente ‘emarginate. Le forme di lotta concreta possono essere molteplici; ne indichiamo alcune:
Inchieste sulla condizione delle donne nell’ospedale psichiatrico della vostra città o provincia, cercando di dare la massima pubblicità ai risultati, facendo pressione sugli enti locali, sul partiti, sui sindacati, sulle circoscrizioni etc. per ottenere cambiamenti. Colloqui con il personale femminile ospedaliero sulle loro condizioni di lavoro, problemi, conflitti, possibilità di soluzioni anche parziali o provvisorie.
Operazioni di «appoggio» e sostegno nei confronti delle donne dimesse, per prevenire un loro successivo ricovero (si potrebbero prendere contatti con le donne dimesse, assisterle nella ricerca di un alloggio e di un lavoro, soprattutto aiutarle a reinserirsi e a prendere coscienza delle cause sociali della loro emarginazione; anche in quest’operazione cercare di coinvolgere il più possibile tutte le forze democratiche liceali).
Lotta al fianco di quegli operatori sociali che lavorano per la abolizione degli ospedali-lager, ila trasformazione dell’assistenza psichiatrica attraverso la creazione dì centri d’igiene mentale, ospedali diurni, case-famiglia etc. e che si battono contro le disuguaglianze sociali che costituiscono le cause di fondo della emarginazione dei ricoverati.
Tra le organizzazioni che militano in questo campo EFFE segnala Psichiatria Democratica, presente in tutte le principali città italiane- (Oggi come oggi, anche Psichiatria Democratica è ancora dominata da «giovani e vecchi leoni» maschi, spesso impegnati in lotte per il potere tra di loro; potrebbe però diventare più democratica e meno «maschista» grazie all’afflusso massiccio di donne, non solo infermiere, assistenti sociali, psicologhe, ma ex-pazienti, parenti di quest’ultime, e di tutte le donne interessate a promuovere drastici cambiamenti in questo settore).