donne e pazzia
se questa è felicità
1)
ETÀ – 34 anni
STATO CIVILE – Nubile
ISTRUZIONE – V elementare
PROFESSIONE – Casalinga
PADRE – Morto – netturbino
MADRE – Morta – casalinga
FRATELLI – Un fratello vivo. E’ la terza.
Infanzia: Ricordi — Ricordo un fratellino e una sorellina che sono morti. Anch’io piccola sono sempre stata malata, ho avuto la pertosse, la rosolia… Per questo a scuola andavo tanto male. Ci ho avuto anche una ghiandola polmonare a otto anni. Ho ripetuto tutte le classi, mi hanno messa nelle classi di scemi, sì, le differenziali, per questo poi non ci sono più andata.
Atmosfera affettiva: Mia madre con me era buonissima e anche mio padre. Erano sempre preoccupati che morissi anch’io. Gliene sono morti due e poi ha avuto anche due aborti. Non mi è mai piaciuto giocare con gli altri bambini, facevano troppo baccano. Preferivo restare seduta accanto a mia madre.
Situazione economica: certo non eravamo ricchi, ma non eravamo neanche poveri.
Adolescenza: fino a che non è morta mia madre sono rimasta in casa ad aiutarla a fare le faccende. Non ho mai pensato di andare a lavorare fuori perché non sono mai stata molto svelta a lavorare e non mi andava di farmi riprendere per questo. Non è la voglia di lavorare che mi mancava, ma la salute è quella che è.
Lavoro: Sono andata a lavorare dopo la morte di mia madre nel ’66 (a 26 anni) in una fabbrica di lucido. Ma in casa erano sempre continue discussioni perché mi spendevo i miei soldi per comprarmi qualche vestito, e mio fratello non voleva. Ha sempre fatto di tutto per rendermi la vita impossibile. Non mi hanno mai dato la possibilità di farmi una vita mia, una famiglia mia. Tutte le mie amiche e le mie cugine si sono sposate, e io sono rimasta la favola di tutti, tutti mi prendono in giro perché non sono riuscita a trovarmi un marito. Chi mi poteva volere con un padre ubriaco, e vestita dimessamente? Oggi l’uomo non è più all’onestà che guarda. Mi sento menomata rispetto alle mie amiche e alle mie cugine, per questo non voglio più vederle. Ci ho sempre tenuto ad essere elegante, a farmi ammirare, speravo di attirare l’attenzione di qualcuno, ma mio fratello mi ha ostacolata. Ai primi mesi del 1967 si è sposato mio fratello, e da quel momento quella vipera di mia cognata con quel giuda di mio fratello hanno fatto di tutto per liberarsi di me. Tanto hanno fatto finché sono riusciti a chiudermi qui dentro. A seppellirmi viva.
Mia cognata ha messo in casa lo scompiglio, mi ha tolto la pace. Si dà le arie davanti a me perché lei è sposata ed io no. Ero arrivata al punto di non mangiare più perché ero sicura che quella voleva avvelenarmi.
Ho lavorato solo per diciassette mesi, poi sono stata ricoverata. I l’apporti con i compagni di lavoro erano superficiali, perché io sono timida. L’ambiente di lavoro era un po’ grossolano. Io avrei preferito fare l’impiegata.
Sessualità: le prime conoscenze le ho avute attraverso le amiche. Il primo innamoramento è stato per un ragazzo che abitava di fronte ma col quale non ho mai neanche parlato.
Masturbazione: credo di essermi ammalata perché ne ho abusato. L’ho pure letto su un giornale che fa tanto male, e fa diventare matti.
Omosessualità: ho avuto tanto affetto per una mia amica, anche lei mi voleva tanto bene, stavamo sempre insieme. A volte ci coricavamo insieme, ma restavamo abbracciate senza far niente di male, poi lei si è sposata e da allora ha fatto finta di non conoscermi.
Primo rapporto: mai avuto un ragazzo, né un rapporto.
Come vive la sessualità: Anche l’astinenza credo che faccia male alla salute mentale. Anche per guarire io vorrei un marito.
Primo ricovero: Alla neuro nel ’59.
Sono stata ricoverata perché ero impressionabile, ero diventata restia a vedere le amiche perché ero timorosa delle critiche che potevano farmi. Poi una sera mi è sembrato di morire, mi mancava l’aria, non potevo respirare, mi si era fermato il cuore. Dopo quattro giorni mi tornai a sentire male, e venne il medico; disse che dipendeva dalla tiroide e così mi ricoverai alla Neuro, lì rimasi due giorni, poi siccome mi sentivo meglio mia madre mi riportò a casa.
Dopo tre mesi ho avuto di nuovo quelle palpitazioni, ho avuto paura di morire” e così sono stata ricoverata.
5 ricoveri fra il 1967 e il 1972.
Diagnosi: Stato depressivo ansioso in debole di mente.
I parenti l’hanno sempre riportata in Ospedale perché abulica e non vuol fare i servizi di casa.
Per mesi e mesi non si fa vedere nessun parente e la p. diventa sempre più aggressiva. Scrive spesso ai parenti che non le rispondono neanche. «Mi hanno rinchiusa perché ero d’impaccio. La casa è piccola, ma per metà mi spetta per legge, ma preferiscono tenermi chiusa qui. Le volte che mi hanno presa a casa mi mettevano subito sotto a lavorare. L’ultima volta mia cognata per festeggiare il mio rientro mi ha fatto trovare tre macchine di bucato da stirare e siccome io mi sono ribellata doro mi hanno riportata qui.
Io la serva a mia cognata non voglio farla. Semmai me ne vado a servizio da estranei.
2)
ETÀ’ – 18 anni
STATO CIVILE – Nubile
ISTRUZIONE – V elementare
PROFESSIONE – disoccupata
PADRE – Vivo disoccupato alcolizzato
MADRE – Viva disoccupata
FRATELLI – Sette sorelle e un fratello. La paziente è la prima.
Infanzia: Dai tre anni è vissuta alla Casa del fanciullo. Ha sempre sentito una grande nostalgia di casa. Madre e padre andavano a trovarla un paio di volte l’anno, questo la faceva soffrire molto perché le altre bambine avevano visite dai familiari molto più frequenti. I genitori vivevano (e vivono) in una baracca; malgrado sia 15 anni che vive in istituti, ricorda il lontano periodo della prima infanzia come un periodo «bellissimo». In collegio si sentiva infelice perché abbandonata. Le suore la trattavano male per via di sua madre (prostituta). Ha preso la licenza elementare a 14 anni. A scuola si annoiava. Ha ripetuto tutte le classi due volte.
Famiglia: La famiglia non è mai stata disponibile per alcun inserimento extra-ospedaliero. Le altre sette sorelle sono sparse in vari istituti della regione. Il padre (quando è ubriaco) le telefona. La madre non viene mai a trovarla. Lei desidera enormemente conoscere il fratellino nato sedici mesi fa. Vorrebbe vedere anche le sorelline.
Sessualità: Nessuna educazione sessuale. Non è mai stata innamorata. Sostiene che le suore d’hanno mandata al manicomio perché lei si masturbava.
Ignora e nega l’esistenza dell’omosessualità.
La sessualità è vissuta in chiave romantica (è una gran lettrice di fumetti).
Primo ricovero — alla Neuro.
Perché: una compagna del collegio mi stava antipatica e la volevo -ammazzare. Ora però questa fissazione mi è passata.
Diagnosi: disturbi del contegno in epilettica cerebropatica. All’epoca del ricovero viveva presso un Istituto dove da circa una settimana ha cominciato a presentare crisi di ansia con agitazione psicomotoria per le quali è stata inviata alla Neuro. Nelle crisi di eccitamento si getta eccitata contro i muri, porte e finestre producendosi delle lesioni, è spesso aggressiva.
Come si trova nel padiglione: fino a giugno stavo bene, ora sono caduta in disgrazia. Mi hanno portato via per tre settimane in un altro padiglione. Io sono stufa di girare da un padiglione all’altro. Io voglio andarmene a casa mia. Io qui divento matta veramente. Io ho 18 anni, ma posso passare tutta la mia vita qua dentro? Anche se i miei vivono in una baracca, non me ne importa niente, meglio la baracca del manicomio. Io voglio uscire di qua, questo solo voglio. E’ questa mia disperazione di vedermi chiusa qua dentro per sempre che mi fa essere cattiva, sono cattiva e nessuno mi vuole più bene. Prima lavoravo su in corsia, ma ormai ho perso la fiducia delle infermiere che non mi ci vogliono più in giro a lavorare; ormai per me è finita; nessuno mi vuole più aiutare: la colpa è mia perché sono cattiva. Sono cattiva perché meno a tutti e mi faccio male, sono cattiva perché sto male quando ho le mestruazioni. Sono cattiva perché sono una disgraziata. I medici sono buoni con me, ma loro non contano, sono le infermiere che comandano e loro a me sopra non mi vogliono più perché sono cattiva. Anche le suore sono arrabbiate con me perché sono cattiva.
A cura di Donata Francescato con contributi di Lieta Harrison, Chiara Strutti e del Gruppo Femminista Triestino