solo la donna può decidere
La battaglia per l’aborto e la lotta per la liberazione della donna sono state sinora sinonimi della problematica del femminismo. Lo sono stati almeno all’esterno, nei resoconti giornalistici, e nei dibattiti. Ma ora che il dibattito sull’aborto investe il paese, ci sembra opportuno un momento di riflessione.
Da quando il progetto socialista è stato presentato alla camera, il dibattito sull’aborto si è spostato: la battaglia delle femministe, che da quattro anni ha invaso le piazze e molte pagine di giornali, viene ora monopolizzata dalle forze politiche.
Se ne discute a livello politico, quasi lo si baratta al momento della composizione del governo, e, fatto grave, lo si isola come problema a sé stante. Aborto prò o contro e basta. Il vasto discorso della liberazione della donna e i motivi per i quali le femministe scelsero questa battaglia vengono dimenticati o deformati dalla polemica partitica. Ed è per questo che dovremmo forse ripercorrere la strada che ci portò, quattro anni fa, a scegliere il tema dell’aborto quale battaglia, e rivedere in quale contesto questo aborto veniva considerato una battaglia da privilegiare, in quanto elemento catalizzatore di una situazione femminile mondiale. L’analisi della situazione della donna, fatta in prima persona da donne, partiva prima di tutto dalla nostra scontentezza del ruolo che avevamo, che ci eravamo costruite, che ci era stato assegnato. Esisteva uno specifico femminile proposto non da noi ma dalla cultura e dalla consuetudine, dal costume e dal linguaggio. Ed era il modello che di noi ci proponevano gli altri e al quale ci dovevamo adeguare pena l’esclusione, l’infelicità, la nevrosi. Si cominciò allora ad individuare i momenti della nostra oppressione: e fra questi si pose l’accento anche, se son solo — come si è voluto spesso allo esterno del movimento far credere — sull’oppressione sessuale individuando nella maternità, voluta, mancata, non desiderata, o rifiutata, uno dei momenti determinanti della condizione dell’essere donna.
Focalizzando il discorso sulla maternità si individuarono poi gli anelli successivi del discorso che portò alla lotta per l’aborto. Perché si vuole un figlio? E — soprattutto — quando si vuole un figlio lo si desidera veramente o non è piuttosto uno dei ruoli, quello di madre, un modo di considerare la donna, un individuo sempre visto in una sua funzione e mai a sé stante?
Quale il margine di libertà? Una gravidanza voluta è bene accetta fin dall’inizio, non pone problemi. Ma quante volte una maternità è voluta? Ci guardammo intorno, Gli anticoncezionali erano proibiti. Solo poche privilegiate usavano la pillola con falsa ricetta. Eravamo nel 70, la Corte Costituzionale non si era ancora pronunciata a favore. Chi faceva propaganda finiva in galera. Ma ancor oggi la situazione non è poi molto mutata. La battaglia giusta era quindi quella per gli anticoncezionali gratuiti. Ma c’erano gli aborti. Il rifiuto della disperazione, l’angoscia per chi vi era costretta di nascosto, rischiando la vita, senza soldi, ma anche con i soldi, carbonare braccate che rischiano la galera. Affrontando quindi il problema dell’aborto il primo problema era riferito alle condizioni nelle quali l’aborto avveniva. Ma poi subito si poneva il problema di quel che accadeva nei paesi, quei pochi, in cui l’aborto era permesso. Chi decideva? La commissione dei medici. Con quale diritto? In base a che cosa possono due tre medici permettere a una donna di abortire, concederle questo privilegio, e rifiutarlo ad altre che lo chiedevano? Solo la donna può decidere se accetta questa scelta, di essere madre per la prima, la seconda o la terza volta. Solo lei e nessun altro. Neppure il suo compagno — dicemmo allora e diciamo oggi — può imporglielo. Neppure lui era cosciente della sua paternità, e anche se lo fosse stato senza che fosse cosciente della sua maternità la donna, è lei che deve dire di sì, perché a lei toccherà la parte più difficile e impegnativa. Dire di no e dirlo in prima persona era quindi il modo di affermare i propri diritti, il diritto di essere donna in prima persona. E se la prima clamorosa battaglia delle femministe era una battaglia «contro la vita», era a favore della propria vita, dei propri diritti, della propria identità. Il no alla maternità era anche il sì alla maternità, a una maternità cosciente, a una maternità che impone alla società nuovi valori. Ma oggi la battaglia dell’aborto è stata isolata dal suo contesto. Il femminismo e l’aborto sono diventati una equazione obbligata, e se da una parte è positivo il fatto che il dibattito finalmente si sia aperto anche in Italia, dall’altra è estremamente pericoloso che si veda nell’aborto il banco di prova del femminismo. Il femminismo è altro: dibattere sull’aborto, manifestare in piazza è stato un modo clamoroso di parlare dell’oppressione della donna, di porre il potere maschile sotto inchiesta, di denunciare le responsabilità di tutti e di aggredire anche i partiti di sinistra che si sono battuti per alcuni diritti della donna, tacendo sull’aborto, perché è un fatto privato e non politico. Ma se raggiungere il permesso all’aborto è meglio della ignominia di oggi, non l’aborto ma la volontà della donna di dire sì o no alla maternità era e rimane lo scopo del femminismo, delle donne. E quindi ci batteremo per l’aborto affinché, quando occorre, sia consentito: ma è un momento tattico del femminismo, non è il femminismo. E staremo bene attente nel considerare gli alleati che ci troviamo a fianco nella battaglia per l’aborto. Spesso fra loro e noi donne non esiste nulla in comune. La nostra unione è solo apparente e durerà solo quel momento. Fautori dell’aborto sono ad esempio quell’ampia schiera di uomini, chiamiamoli neomaltusiani, che vedono con l’aborto legalizzato uno dei tanti modi per controllare le nascite. Se la manodopera dovesse un domani venire a mancare e loro continuassero ad avere le leve del potere potrebbero essere altrettanto fautori della maternità coatta. Altri alleati sono molti liberali, rappresentanti degli interessi del padronato che vedono di buon occhio la riduzione del costo della maternità delle operaie e delle impiegate di cui si sono sempre lamentati e che hanno sempre posto come giustificazione nella loro continua discriminazione al momento di assumere donne. Una volta legalizzato l’aborto saranno i maggiori fautori affinché questo venga applicato e in un domani non molto lontano la battaglia delle donne sarà per difendere la propria volontà di mantenere il posto e scegliere contemporaneamente la maternità. E persino fra i nostri alleati più sinceri, quelli che si battono per un diritto della donna alla libera procreazione, spesso vogliono in fondo far tacere la loro cattiva coscienza, di aver schivato per decenni un problema reale ma spinoso, isolando però il problema dal contesto femminista che l’ha innescato, e riducendolo ad un diritto civile al di fuori dal suo contesto di libera decisione della donna. E non a caso si parla, nei partiti di sinistra, di depenalizzazione — il fatto che il reato di aborto sia una legge fascista scotta agli antifascisti — oppure di legalizzazione, sostituendo alla volontà dello Stato la volontà della commissione sanitaria composta da medici. La libertà fa paura a tutti e quella delle donne ancora di più.
Danielle Turone Lantin
Firenze – Domenica 12 gennaio. Il Movimento femminista promuove una manifestazione per protesta contro la violenza esercitata dalle istituzioni contro quaranta donne presenti nella clinica del prof. Conciani. Nella clinica, gestita dal C.I.S.A. (Centro Informazioni sterilizzazione e aborto) si praticava l’aborto con il metodo Karmann, il più sicuro, igienico e meno traumatizzante dei metodi finora conosciuti. I fatti sono noti. Le ospiti della clinica al momento dell’irruzione della polizia sono state sottoposte a interrogatori e a «visite» ginecologiche umilianti; sette di loro, trasportate ancora sotto l’effetto dell’anestesia all’ospedale, sono piantonate come fossero criminali. Il codice patriarcale trasforma in criminale la donna che voglia gestire il proprio corpo — in particolare il proprio utero —. E con l’avallo della legge chiunque può appropriarsene: dall’autorità divina che «infonde la vita», al medico, alla polizia, al marito {vedi diritto di proprietà sui figli), al maschio che impone comunque la sua sessualità, al padrone che vuole carne per la fabbrica.
ORE 14,30 – In piazza Santa Croce i primi gruppi presenti si chiedono se la piazza riuscirà a riempirsi: molte donne non possono facilmente lasciare a casa i figli e in più non c’è il partito che organizza le paga il viaggio.
ORE 15 – Cominciano a confluire nella piazza le rappresentanze delle organizzazioni che aderiscono alla manifestazione: Pdup-Manifesto, Partito Radicale, Avanguardia Operaia, AIED, Lotta Continua, ecc. I tre quarti sono donne. I gruppi femministi giungono da ogni parte d’Italia. Si discute come svolgere il sit-in. Noi donne del movimento non intendiamo dare la parola agli uomini. Consideriamo positiva la loro adesione politica sull’obiettivo aborto libero e gratuito, lo personalmente trovo la loro posizione coerente con ;l discorso di classe che stanno portando avanti. La migliore adesione, sulla piazza, è il silenzio. E cioè lasciare lo spazio a noi donne, proprio a noi che subiamo l’aborto e tutto quanto ci proviene dal possedere un utero: sessualità oppressiva, maternità coercitiva, divisione sessista del lavoro, lavoro casalingo, ecc.
ORE 15,30 – La piazza è gremita, siamo in tante «Siam più della metà…». Il movimento delle donne comincia il sit-in con canti, slogans, interventi volanti. Gli striscioni del movimento femminista son rosa e rossi e gli slogans propongono i temi della mostra fotta autonoma: «Il patriarcato non ci fa paura, la lotta delle donne sarà sempre più dura»; «L’utero è nostro ce lo gestiamo noi»; «Fuori le donne che hanno abortito dentro Fanfani e il suo partito»; «Sessualità clitoridea»; «Salario al lavoro domestico»; «Soldi alle donne»; «Aborto ‘libero, gratuito e subito»; «La famiglia borghese si abbatte e non si cambia»; «Aborto libero e vasectomia»; «Donne sfruttate uscite dalle case»; «Difendono il feto per sfruttare il bambino»; «Legge fascista sei tu l’abortista»; «Più devianza e meno gravidanza». Slogans che testimoniano anche la diversità di analisi, di posizioni, di creatività che esistono tra i vari gruppi del movimento.
ORE 16 – Nasce l’esigenza di uscire dalla piazza. Il corteo non è autorizzato. Si ‘hanno delle perplessità anche per ‘la presenza in città di gruppi di fascisti organizzati. ‘Ma siamo tante, più di cinquemila e ci sentiamo forti. Vogliamo girare per le strade di Firenze, mostrare alle donne e alla città la nostra presenza e la,nostra volontà politica. Si forma quindi il corteo. I maschi si organizzano immediatamente in un servizio d’ordine, con ‘l’intento di proteggerci. Quattro file ad aprire il corteo. Non è facile riuscire a passare ma infine alcune di noi riescono a formare il cordone di apertura. A questo punto tornano a sentirsi gli slogans della piazza: «Il patriarcato non ci fa paura…».
ORE 17-11 corteo arriva a Piazza della Signoria. Iniziano i canti e le danze tra la sorpresa dei presenti disabituati a manifestazioni politiche dove la fantasia é protagonista. La statua dì Perseo con la medusa sconfitta ottiene un cartello: «lo sì che sono un aborto». Le reazioni dell’opinione pubblica sono state favorevoli, per quanto è stato scritto dai giornali e quanto abbiamo sentito per le strade. Alcuni giornali — però — non ‘hanno perso ‘l’occasione per fare qualche battuta circa ‘le «frange estremiste e spontaneiste del movimento». Alcuni slogans sono stati definiti «non politici» {.«Facciamo l’amore tra donne così non abortiamo»). Come se riscoprire la sessualità con < l’altra», la sorellanza, la propria identità in un mondo dove da millenni gli uomini si amano, si rispettano e sono solidali (fratelli!) tra loro, sia un problema al di fuori della storia.
I partiti non hanno aderito alla manifestazione. Ma hanno comunque espresso le loro posizioni. Hanno voluto notare — per esempio — come fa manifestazione fosse autonoma ed hanno anche elogiato il fatto che né i radicali né gli extraparlamentari han preso la parola.
PCI — attraverso le colonne dell’Unità — mette in risalto che le femministe non hanno puntato solo sull’obiettivo aborto — che viene definita una battaglia difensiva — ma sui contenuti più generali della condizione della donna.
Ma questa è la lotta che portiamo avanti da sempre: prima d’ora eravamo state ghettizzate come quelle dell’obiettivo aborto da tutte le istituzioni «maschili.» Nel riportare i fatti di Firenze, sulle colonne dell’Unità, il più grosso partito di massa emigra forse dalla sfera aborto verso il pianeta «condizione della donna» perché non ha mai con coerenza e coraggio preso posizione per l’aborto libero e gratuito? (Non esiste, infatti, un suo progetto di legge in Parlamento né ci risulta — a livello ufficiale — che abbia mai appoggiato — almeno finora — quello esistente).
O ci consiglia ancora, come alternativa, la pillola (non per uomo, ovviamente?).
I fatti di Firenze mi pongono una riflessione: dobbiamo avere più paura del recupero ohe della repressione. L’autonomia è la maggiore forza che abbiamo.
Lara Foletti
Il costo sociale dell’aborto
Vedendo sulla copertina dell’Espresso una povera crista In croce, l’Osservatore Romano è uscito in escandescenze di un furore senza precedenti in quelle pagine, solo perché quella povera crista, con Ja sua pancia grossa, simboleggiava il calvario del milione o due di donne che ogni anno in Italia sono costrette ad abortire di nascosto da una legge infame. All’Osservatore Romano e a tutti coloro che di fronte a una povera crista in croce per motivi di aborto sono capaci soltanto di simili risentimenti bestiali, abbiamo pensato di fare il solo discorso che essi, forse, possono capire.
Intendiamo dire il discorso dei soldi: cioè il costo sociale che attraverso le nostre pance e il -nostro portafoglio tutto il Paese paga, per il solo fatto che l’aborto è proibito.
Se l’aborto fosse un intervento permesso come lo è l’appendicite, fra visita, analisi, anestesia, ‘intervento col metodo Karman di aspirazione con eurettage (cioè ceri tutti il crismi e le massime garanzie connesse ad un intervento chirurgico) il suo costo reale non supererebbe le 50.000 lire.
L’aborto invece in Italia è proibito. Perlopiù in teoria (e talvolta, per motivi di persecuzione politica, anche in pratica) la paziente, i suoi compilici, il medico, la mammana e l’anestesista finiscono in galera. Questo rischio fa aumentare il costo dell’aborto In una misura che è intenzione del nostro articolo stabilire coi massimo realismo possibile, facendo i conti della serva sulla nostra pancia di italiane.
Un aborto cosiddetto di lusso può costare 6-700.000 lire. Non mi dimenticherò mai di Lucia, una diciottenne minuta con uno sguardo da passerotto ferito, che ho incontrato qualche settimana fa a Roma. Le avevano fatto un raschiamento senza anestesia, gliene era derivata una brutta annessite, malgrado avesse pagato 300.000 lire: il costo odierno, appunto, di un aborto così così. In quanto all’aborto-week end in Inghilterra, fra le 80 sterline della clinica e il viaggio coi’ voli charters, costa 180.000 lire complessive, l’aborto fiorentino «alia Conciani» costava sulle 100.000 lire. L’aborto con la sonda di una mammina ne costa 80-50.000. E’ ragionevole concludere che il costo medio di un aborto in Italia (per il solo fatto che questo intervento è clandestino) viaggia intorno alle 200.000 lire. Leviamo -le 50.000 che, come dicevamo prima, costituiscono il costo vero dell’aborto. Le 150.000 lire che restano sono il plusvalore che ogni aborto fatto in -Italia paga alla propria illegalità. Ogni anno in Italia si fanno da uno a due milioni di aborti secondo le stime più accreditate. Ne deriva che il costo-plusvalore dell’aborto proibito va da 150 a 300 miliardi all’anno. Questi conti della serva sulle ‘nostre pance non costituiscono esagerazione polemica, anzi: c’è infatti chi parla di 3 milioni’ di aborti all’anno. Con le cifre che abbiamo appena calcolato ,in breve tempo, si farebbe la riforma sanitaria italiana.
«Sono soldi che escono, dalle tasche di quelle ‘Sporcaccione che -abortiscono, si arrangino!» potrebbe consolarsi a -pensare qualcuno. ‘Rispondiamo che ciò è vero solo apparentemente ed in parte, e ci accingiamo a dimostrarlo. I poveri sono molto più numerosi dei ricchi’. Molte italiane, quindi, abortiscono con l’aiuto della mammana, il che, oltre alla cifra pagata per l’intervento fa nascere un altro costo sociale. La mammana, infatti, ti infila una sonda per procurare un falso «aborto spontaneo». «Metrorragia» scriverà sulla sua cartella il. medico dell’ospedale, e da questo momento, a pagare, è la mutua, cioè tutti i cittadini italiani con le -loro tasse. Sono 2-4 giorni di degenza media più le cure: cioè, al minimo, altre 80 mila lire che l’aborto della mammana è venuto a costare, e questa volta alla collettività. Secondo una ginecologa particolarmente informata, circa il 40% degli aborti clandestini in Italia vengono fatti mediante la sonda, il che produce complicazioni di varia gravità nel 70% dei casi.
Citavamo poco fa il caso della piccola Lucia, che dopo aver pagato 300.00 lire un raschiamento, sveglia, sta ancora curandosi -la sua annessite. Aggiungiamoci anche quello di una nostra collega che abortì due anni fa per 250.000 lire, ricavandone una «infezione agli annessi-» passata poi ad un rene. Da allora, in cure varie, è costata alla mutua un 800.000 lire, e non è ancora guarita. Annessiti, metriti e endometriti conseguono infatti molte volte anche da aborti pagati cari. Possiamo quindi concludere che oltre la metà di tutti gli aborti praticati di nascosto in Italia costeranno altri denari, per lo più alla mutua. Ed ecco un quadro schematico delle complicazioni post abortive, e dei ‘loro presumibili costi.
Aborto incompleto (cioè un raschiamento o un Karman praticati male, per cui bisogna ‘ritornarci sopra). Costo: 2-3 giorni di ricovero, cioè 80-100.000 lire circa.
Endometriti ed altre infezioni. Sono le più altamente frequenti. Fra degenza e cure, si va da 100-200.000 lire in su.
La sterilità (che spesso consegue l’endometrite) comporta grosse spese di accertamenti e cure, per la donna che si trovi finalmente nelle condizioni di permettersi’ un figlio e volerlo. Anche qui, a pagare, è per lo più la mutua. Come minimo siamo sulle 700.000 lire.
Infezioni più gravi, che richiedono un ricovero urgente: 8-10 giorni di ospedale più cure, cioè da 250.000 lire in su.
Setticemia con o senza perforazione.Dal punto di vista dei soldi questi casi sono forse i meno cari. Infatti, o guarisci subito, o muori’ con la stessa velocità. Chiudiamo col costo degli intrauterini. La spirale potrebbe infatti rientrare nelle proibizioni’ connesse all’articolo 552 del Codice Penale: quello che, per i famosi motivi di stirpe, vieta ciò che interrompe la fertilità. L’interpretazione è quanto mai ambigua, ma nel clima di vaga proibizione che per questo circonda (a spirale, ciò è sufficiente a renderne costosissima l’applicazione.
La spirale come oggetto costa infatti 10.000 lire. L’AIED, l’AED e a Firenze Conciani, per applicarla, facevano pagare 20.000 lire in tutto, ma la maggior parte dei ginecologi privati chiedono 80-100-150.000 lire. Anche qui, un plusvalore-spirale sulle 60-130.000 lire, e una spirale dura al massimo tre anni.
Leslie E. Leonelli