le donne iraniane e l’islam
E il Profeta ha detto: «La donne migliore è quella che quando la guardi ti rallegri, e se le ordini qualcosa la trovi pronta ad ubbidire,e se tu ti allontani preserva la sua intimità per te…».
«E dì alle credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non mostrino troppo le loro parti belle, eccetto quel che di fuori appare, e si coprano i seni d’un velo e non mostrino le loro parti belle altro che ai loro mariti o ai loro padri o ai loro figli …» Stira, XXIV, il.
Questo versetto coranico è messo in ombra da alcune donne iraniane quando parlano dell’ordine morale del Corano, dimenticato e tradito nel costruire una società di tipo occidentale, come del solo che nel tradurre il dato religioso in norma di comportamento sia nel privato che nel pubblico, presupponga una vera partecipazione delle donne alla vita sociale politica e religiosa. La donna, infatti, è chiamata alla partecipazione fin dall’età di nove anni, mentre per gli uomini questo avviene soltanto a quindici anni. L’uomo e la donna nella società islamica si completano, sono parte di una stessa anima. L’Islam annullerebbe quindi le disuguaglianze fra uomo e donna, il cui rapporto si sviluppa attraverso Dio. Cerchiamo di spiegare questa ambiguità. Essendo l’Islamismo monoteista, come il Cristianesimo e tante altre religioni, il suo Dio, essendo maschile, privilegia l’uomo che gli è simile, quindi essere «più» perfetto, mentre la donna è emanazione del corpo dell’uomo, dipende dall’uomo. La sua condizione si delinea più chiaramente in questi altri versi tratti dal Corano.
Sura IV, i4: «Gli uomini sono preposti alle donne, perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle». Commento del Profeta al versetto «… In quanto al fatto che Dio ha scelto alcune creature sulle altre, questo non è altro che un fatto razionale nei confronti della piena potenza della fede e della religione. Infatti la donna è in difetto nei riguardi dell’intelletto e della religione, siccome alcuni giorni al mese non può pregare e non può digiunare. E per queste deficienze quando porta testimonianze, un uomo vale due donne e due donne un uomo. Questo sia nell’amministrare il danaro sia nel commercio, per non parlare della guerra santa che è fatto obbligo ai soli uomini…. E il Profeta ha detto: la donna migliore è quella che quando la guardi ti rallegri, e se le ordini qualche cosa, la trovi pronta ad ubbidire, e se tu ti allontani preserva la sua intimità per te…». La religione islamica riconosce la donna come soggetto religioso, le garantisce uno status preciso, un ruolo che cancella la funzione, che aveva nella società preislamica, di merce di scambio ma non diventa che bene di consumo, simbolo del prestigio dell’uomo, soggetta completamente a lui. Il rapporto tra uomo e donna si sviluppa attraverso Dio, di fronte al quale essi sono soggetti religiosi uguali, ma non lo sono l’uno di fronte all’altra. L’Islam tutela la donna in quanto religiosamente pari all’uomo riconoscendole il diritto ad una «dote» che l’uomo è obbligato a pagarle e che diventa di sua esclusiva proprietà, per garantirla dal rischio di un ripudio o di una vedovanza. E ancora, per quel che riguarda la sfera della vita intima la donna non è strumento di piacere per l’uomo, è libera di esprimere la sua sessualità senza che niente di peccaminoso venga riconosciuto in ciò. Tutti questi dati positivi dell’islamismo nei confronti della donna non sono altro che una conferma della sua inferiorità. È certo che rispetto alla religione cattolica l’Islamismo può essere riconosciuto come meno violento e meno innaturale nei confronti della donna, questo soprattutto se si considera la sessualità, vissuta nel Cristianesimo come peccato o finalizzata solo alla procreazione. L’inferiorità della donna è sancita da entrambe le religioni, anche se con meccanismi diversi, più o meno ipocriti od evidenti (1). Dopo 25 anni di dittatura dello Scià, in cui il solo modello di donna proposto altro non era che la scimmiottatura della occidentale emancipata, con i limiti e le ambiguità e la violenza che questo comporta per la donna iraniana, ci sembra che cadendo nella trappola della religione musulmana, l’Islamismo non significhi così immediatamente liberazione della donna, come si tenta di farci credere. Rifiutando il ruolo ambiguo di donna in un modello di società occidentale, si ricade in quello altrettanto ambiguo dettato dalla «spiritualità musulmana». Forse è il caso di fare una precisazione politica più generale per aver chiara l’ambiguità della opposizione islamica, dove gli elementi religiosi, combinandosi con quelli socio-economici, generano una confusione che va ovviamente a discapito delle donne.
C’è da rilevare la differenza tra l’Islam Sciita iraniano e quello Sunnita, praticato soprattutto nel mondo arabo. Gli Sciiti, eredi spirituali del profeta Ali, non vogliono partecipare all’esercizio del potere temporale, mentre i sunniti hanno unito al potere religioso anche quello politico.
L’ordine morale sccila ha in sé elementi di opposizione a tutti i poteri che opprimono, è la religione del debole di fronte a chi abusa del potere (questo può essere una garanzia per la donna?). Il clero iraniano, formato dai mollah e dagli ayatollah, ha sempre mantenuto stretti contatti con le masse musulmane, vive in povertà e non prende alcuna decisione senza essersi consultato anche con la popolazione. È proprio in questa «autogestione» che si può trovare il potere, la credibilità del movimento religioso che vuole abbattere la feroce dittatura dello Scià. Ma la debolezza di questo movimento è nella totale mancanza di strutture organizzate. di un programma d’azione preciso. Il clero sciita perseguitato dagli Scià, ha consolidato la propria credibilità tra la popolazione; ed è anche su questo che può contare l’ayatollah Khomeini per instaurare la Repubblica Islamica. D’altra parte il, materialismo sfrenato della società occidentalizzante e corrotta del regime ha provocato una rinascita della pratica religiosa in tutte le classi sociali. La rivolta in Iran, quindi, è molto più della sollevazione di un popolo nei confronti del tiranno, è il rifiuto di un modello di sviluppo economico e sociale occidentale, cosa che ha significato, come si è visto, repressione nel sangue delle lotte per mantenere un potere economico controllato da Paesi stranieri e gli interessi di una minoranza di dirigenti corrotti. Questa società è stata espropriata dal suo passato, delle sue tradizioni, ed il massiccio ritorno a queste degli ultimi tempi, ha significato, per esempio, per le donne riportare il ciaddor, veste nera che lascia scoperti soltanto gli occhi. Questo per affermare la loro fede musulmana e per dimostrare la loro volontà d’indossare vestiti che non siano quelli occidentali propagandati dal regime. «Lo Scià ha ordinato alle donne di togliere il ciaddor per poter lavorare nelle fabbriche con abiti più pratici e più comodi» (Le Monde dipi, Die. 78). Tra l’occidentalizzazione e il ritorno alla religione islamica, ci sembra che le donne iraniane non abbiano altra scelta se non quella di riflettere sulla loro condizione e demistificare la loro presunta libertà.
Da una lettera di Atussa H., iraniana che vive a Parigi, comparsa su Le Nouveu Observateur, (6/12 nov, 1978, No. 730): «Le vostre spose sono per voi un campo, venite nel vostro campo come voi lo desiderate (Corano, Sura 2). Più chiaramente l’uomo è il signore, la donna la sua schiava che egli può usare secondo il suo capriccio, essa non ha nulla da dire. Che porti il velo nato dalla gelosia del Profeta per Aicha. Non si tratta di parabola spirituale, ma della scelta di un certo tipo di società. Le donne che non portano il velo sono spesso insultate ancora oggi, ed i giovani musulmani non nascondono che nella società che vogliono le donne dovranno comportarsi bene».
(1) Cfr. Bianca Maria Scarcia Amoretti, Donna e Islam, DWF N. 3, Aprile-Giugno
Iran/ intervista a shahin
Abbiamo incontrato Shahin dopo che con notevoli difficoltà avevamo tentato — invano — di metterci in contatto con donne iraniane presenti in Italia, Shahin si trova nel nostro Paese da diversi anni, lavora ed ha sposato un italiano. Il suo è un caso abbastanza speciale, ma la sua personalità e la sua «emancipazione» attuale ci danno, secondo noi, strumenti validi per la comprensione della situazione delle donne nel suo Paese senza togliere nulla delle differenze di condizione che ci possono essere fra lei, che ha compiuto una serie di scelte legate proprio al suo «essere donna in Iran», e le donne del suo Paese.
Allora… cominciamo da te! Come mai hai deciso di venire in Italia, è stato un caso?
La mia decisione di venire in Italia è stata molto condizionata dagli altri. Ho studiato a Teheran, ho fatto il liceo scientifico, poi ho sostenuto gli esami all’università. Questo accadeva nel ’69, allora le donne che tentavano di entrare all’università erano molto poche, mentre gli studenti erano tantissimi. Gli esami di ammissione sono molto difficili da superare. Io, dopo gli esami… ho fatto i bagagli e me ne sono andata. In Italia c’era già mia sorella, sempre per motivi di studio. Vi assicuro che per una donna, per una ragazza iraniana uscire da sola dal proprio Paese non è facile. Per la mentalità iraniana classica il mandare una ragazza — sola — all’estero è impensabile, e in questo è molto determinante la nostra religione.
Il fatto che tua sorella fosse già fuori, all’estero, è stato importante per te, rispetto alla tua decisione di andartene?
Certamente, direi determinante. Anzi vorrei molto parlarvi di lei, perché come donna iraniana rappresenta senz’altro un caso eccezionale. È più grande di me, ha trentasette anni (io ventisei) ha affrontato certi problemi vent’anni fa quando le condizioni delle donne erano certamente molto diverse. Ha affrontato le ire della famiglia, soprattutto dei parenti meno vicini, non quelli di mio padre, di mia madre o di mio nonno, che era un ayatollah, un uomo molto importante, ma aperto. Mia sorella ha deciso di lavorare a 18 anni e ha pure deciso di studiare, prima da sola in Iran poi all’estero. Si è trovata di fronte a molti ostacoli. È stata minacciata in tutti i modi, solo la mia famiglia l’ha difesa. Il nonno soprattutto, che era un uomo molto rispettato — alla sua morte tutta la città era ai funerali. Come nipoti di un ayatollah avevamo e abbiamo di fronte alla gente più doveri, le minacce arrivavano anche direttamente al nonno, gli si rimproverava che una donna della sua famiglia andasse a lavorare. Ma, nonostante fosse un ayatollah, era un uomo dalla mentalità molto aperta, si assunse la responsabilità delle scelte di mia sorella e disse che il fatto che fosse donna non poteva costituire un ostacolo. Se non fosse stato per lui, mia sorella non avrebbe potuto fare nulla.
Un altro motivo di minacce alla famiglia era poi il fatto che lei lavorava con degli stranieri. Insomma nessuno, tranne il nonno e poi mia madre e mio padre, accettava il fatto che lei, donna, esprimesse la volontà di fare ciò che voleva.
E per le altre donne della famiglia?
Posso dire che è stata mia sorella ad aprirci la strada. Ci ha facilitato, ci ha aperto le porte insomma. Sinceramente ti devo dire che nella mia famiglia abbiamo più donne che sono riuscite a realizzarsi che non uomini… Mia sorella è stata la prima a togliersi di dosso l’etichetta che la società ci appiccicava, soprattutto alla sua epoca. Oggi leggi che in Iran le donne sono emancipate, lavorano negli istituti, nelle società, nelle banche. Allora era diverso.
Tu ci ha detto che poi tua sorella, dopo anni di studio in Italia ed in altri Paesi occidentali è ritornata…
Si, avrebbe potuto andare a lavorare in America, ma una sera ha detto, me lo ricordo bene: «Voglio tornare in Iran, per far vedere a quella gente che per anni mi ‘ ha minacciato, che mi ha considerato una sgualdrina, quello che son capace veramente di fare». Infatti, oggi, nella sua professione è tra i migliori, tutti le si rivolgono, è molto richiesta, e ha dimostrato poi così che non c’è nessuna differenza fra un uomo e una donna… Di una donna iraniana ti ho parlato, in che condizione sociale era, aveva tutti contro, quante minacce ha subito.
…Ritorniamo a te.
Be’, quando è toccata a me tutto è ricominciato: obiezioni dei parenti… ire e così via. Ma mia sorella, sapendo quali ostacoli avrei incontrato, mi tempestava di telefonate per aiutarmi ad uscire fuori dalla situazione. Così è toccato a me e a mia sorella più piccola emanciparci. Dei miei fratelli non ti posso dire la stessa cosa. Noi donne siamo tutte laureate in famiglia, mentre i fratelli no.
Anche se questo non vuol dire che non ci siano uomini laureati in Iran. Quando ho fatto gli esami per entrare all’università su 200 uomini le donne erano circa dieci. Ma mi ricordo anche di una mia amica, una mia compagna di scuola, veramente in gamba, che veniva a lezione con le gonne lunghe, le calze scure e portava un foulard per non farsi vedere i capelli dagli uomini, che non potè partecipare al concorso perché i suoi genitori non volevano che studiasse. Anzi la tenevano sequestrata in casa perché non andasse a seguire i corsi di preparazione al concorso universitario! Finalmente, dopo gli interventi della mia famiglia, soprattutto di mia madre («ho due figlie anch’io e sono all’estero, ormai le donne sono emancipate; non ci sono differenze…»), dopo un anno, potè affrontare il concorso, fare l’esame e vincerlo fra i primi cinque…
Ci sembra di capire che nella tua famiglia, soprattutto fra le donne, c’è una grossa forma di solidarietà. È una caratteristicadella tua famiglia in particolare o è un fatto che si può generalizzare?
Non si può generalizzare. È nella mia famiglia. Devo ritornare per forza sul caso di mia sorella! Lei è arrivata a ricevere minacce di morte perché lavorava con degli stranieri. E secondo i parenti mio nonno doveva rinnegarla. Io al suo posto – quello di mia sorella intendo — non so come avrei fatto. Sulle prese di posizione dei parenti influiva la mentalità religiosa naturalmente…
Le donne della tua famiglia portano il «velo» ?
No. Mia madre se lo mette quando deve andare in visita a certi parenti, quelli più legati a certi aspetti formali della religione. Con questo ti dico anche che i miei sono molto religiosi, molto attaccati alla religione, per questo, poi, tu non puoi dimenticare e, oppure mettere una pietra su tutto … sono generazioni e generazioni che ci portiamo dietro.
Questo vale anche per te?
Anch’io sono molto religiosa, non sono praticante ma sono molto religiosa. Sono nipote di ayatollah. Però ti dico che per quella poca istruzione religiosa che ho, credo che sia più ricca di altre religioni, che ha più princìpi. Certo, tutto ciò che dice il nostro Corano oggi non puoi seguirlo: il fatto, per esempio, di andare in giro con il capo coperto (il Corano dice che la donna non deve far vedere i capelli ad un uomo). Oggi questo, per me come per tante altre donne, è impossibile. Però ci sono determinate altre cose, dei princìpi morali, nostri, presenti nel Corano ai quali non potrei neppure mettere una virgola, perché sono sempre basati su qualcosa. Il fatto di non mangiare la carne di maiale, per esempio, che non è soltanto un fatto religioso, ma anche igienico. Ma le preghiere quotidiane però non potrei farle, perché sto otto ore in ufficio.
Mia sorella invece le sue preghiere le fa: sia che si trovi in Iran, sia che stia a Londra, lei ha sempre con sé quello che voi chiamate il tappetino, e in qualsiasi luogo si trovi fa le sue preghiere.
Sappiamo che durante le mestruazioni le donne devono sospendere la preghiera…
Ti spiego. Per noi il sangue che esce è morto. Se mi ferisco un dito e mi esce del sangue, non posso mettere il dito in bocca, perché il sangue può far male, devo lavarmi subito. Il sangue che mi esce fuori, mi rende sporca… Durante il periodo delle mestruazioni — che dura sette/otto giorni — tu non devi fare le preghiere e neppure il digiuno, perché questo è legato alle preghiere. Così come nel periodo mestruale non posso neanche entrare nella moschea, cioè non è che non posso entrare, nessuno me lo impedisce, in qualsiasi condizione io sia, però io non entro perché non sono pulita. (In questi termini soltanto ti posso spiegare). Poi, dopo che non hai neppure una macchia, ti devi lavare tutta, essere sicura di non avere perdite. E dopo ancora c’è un rito, che oggi facciamo con la doccia. Non si può fare nella vasca da bagno, immerse. Prima ti devi lavare la parte destra del corpo, poi la sinistra, dall’alto verso il basso, l’acqua deve scendere… poi tutto il corpo insieme.
Tu continui a compiere questo rito?
Si, dopo ogni mestruazione e anche dopo ogni amplesso. Anche l’uomo deve lavarsi, con gli stessi gesti, dopo un rapporto sessuale. Inoltre io, dopo ogni mestruazione, devo fare un pensiero, una riflessione, mi rivolgo a Dio perché mi lavo, perché mi pulisco.
A questo punto ci viene da chiederti, come vivi le mestruazioni, se soffri fisicamente, ti creano dei problemi… noi, nel movimento delle donne in Italia e non solo in Italia, abbiamo parlato tanto di mestruazioni… ad esempio i dolori l’abbiamo considerati in rapporto al fatto che le mestruazioni per noi erano qualcosa di sporco, di vergognoso, di «impuro»...
Io durante le mestruazioni soffro, prendo delle pillole contro i dolori, ma non capisco il tuo discorso sull’impuro, cioè io dopo la mestruazione, quando mi lavo non mi sto purificando….
… È un discorso su cui poi vorremmo tornare, ma ci puoi parlare del problema della contraccezione per una donna iraniana?
Il nostro Corano non dice che devi avere l’amplesso per procreare. Non ce lo chiede. Io non mi sento in colpa perché non faccio figli. Certo, i miei genitori mi chiedono quando arrivano, ma è un fatto normale, nonostante siano molto religiosi, me lo chiedono così…
In Iran, all’interno di una coppia istituzionalizzata, esiste parità?
La donna rimane sempre la donna, sottomessa.’.. Non posso dirti di più; nella famiglia la moglie non si può permettere certe cose: non può uscire da sola con le amiche per andare al cinema. Parlo della famiglia media, non di quella modernizzata.
Questa modernizzazione coincide con le condizioni economiche migliori?
Naturalmente…
Ritorniamo alle mestruazioni.
Tu prima hai parlato di impurezza, ma io durante le mestruazioni mi sento diversa, non impura. In quel periodo non voglio avere contatto con mio marito, mi sento sporca, fino all’ultimo momento, .fino a quando ho qualche macchia. Io, quando ho avuto il primo ciclo non l’ho detto a mia madre, sempre per la vergogna, e quando lei lo venne a sapere non sapevo come affrontare il discorso. Me le sono portate appresso per due giorni, ma non per paura; perché mi vergognavo, perché mi trovavo diversa, un’altra. Mia madre, mi ricordo, chiamò mio padre, eravamo in villeggiatura, e glielo disse. Tutti erano poi contenti: per loro vuol dire, la salute di una ragazza. Era un po’ tardi, l’avevo avuto a 13 anni, mentre mia sorella aveva avuto il suo primo ciclo a 11. Io, per anni, finché mi sono piano piano maturata, ho sempre nascosto questo fatto, avevo i dolori ma me li portavo appresso senza dire una parola.
A questo punto della nostra conversazione l’argomento centrale diventa la religione, che del resto ci sembra abbia ‘dominato’ abbastanza finora. Siamo sempre a casa di Shahin, arrivano degli amici iraniani, il fratello con la moglie (ha sposato una italiana) e assistiamo a vari battibecchi fra di loro, soprattutto di ordine religioso e politico. Shahin difende i principi del Corano, soprattutto quelli che possono ancora oggi essere seguiti. Lei ha sposato un non-musulmano, che ha abbracciato la religione del Corano per poterla sposare, altrimenti il matrimonio non sarebbe stato riconosciuto in Iran. Ma quando sono andati in Iran in viaggio, lui non ha potuto entrare nella moschea della città santa, perché «impuro». E lei è d’accordo su questo. Abbiamo parlato di molte cose ancora, ad esempio dell’aborto, che secondo lei non rappresenta un problema per la donna iraniana; «L’aborto —- ci ha ancora detto — da noi è illegale. La religione non parla dell’aborto. Non è stato comunque un problema da affrontare. Le donne “borghesi” possono decidere se fare un figlio o no. Stiamo parlando di livelli sociali molto alti. Una donna diversa non può permettersi di scegliere: è talmente sottomessa al marito, alla sua volontà, che non esiste il problema. Non ho mai sentito di una donna che scelga l’aborto, né penso lo sentirò per i prossimi dieci anni. Non è un problema degli ayatollah, né del governo, è un problema diverso. La situazione delle donne in Iran naturalmente varia da regione a regione. Nel nord, ad esempio, se mi presentassi sbracciata mi massacrerebbero. perché li c’è quella parte della società talmente sottomessa al Corano, che non ti permette di cambiare…».
Abbiamo proseguito la nostra conversazione con Shahin soltanto il giorno dopo, perché l’arrivo del fratello ha reso impossibile il continuare.
Abbiamo così parlato soprattutto delle istituzioni e abbiamo tentato anche un discorso sulla situazione politica attuale. Il matrimonio è stato praticamente il nodo fondamentale del discorso e ci sembra comunque che la trascrizione dell’intervista sia sufficiente a dare la misura delle contraddizioni e dei problemi che ha di fronte oggi una donna iraniana.
Shahin – A me sarebbe stato impossibile scegliere di vivere con un uomo iraniano. L’uomo iraniano vede la moglie come un oggetto, come una sua proprietà, sulla quale può decidere della vita… rispetto alle mie modificazioni, oggi, non potrei mai sottomettermi ad un altro individuo, sia esso marito o madre o padre.
Quali sono diciamo le fasi attraverso le quali si arriva al matrimonio, in Iran?
Questa è una domanda molto interessante. L’uomo e la donna non possono decidere da soli, è la famiglia che decide per loro. Anzi sono le rispettive famiglie che decidono. Per esempio, nel caso di mia sorella, quando lei si è sposata i parenti hanno chiesto a lui quanto prendeva di stipendio, se poteva mantenere la loro figlia e così via; mi sembra uno scambio di materiali insomma.
E il divorzio?
Una volta il marito poteva abbandonare, ripudiare la moglie, oggi non può più farlo per legge, deve esserci il consenso di entrambi. Così come non esiste più la poligamia.
In questo ha influito il nuovo corso politico, chiamiamolo così, cioè la scelta di costruire questa società iraniana secondo un modello occidentale?
Oggi un uomo non si può permettere, per legge, di usare la donna. Almeno in questo abbiamo fatto un passo avanti! Le donne, diciamo, hanno la volontà propria di scegliere la vita e non di essere messe da parte come oggetti.
Una volta il marito doveva mettere da parte una somma di denaro, una speciedi dote, che serviva in caso di ripudio della moglie…
Ce l’ho anch’io! Col rito musulmano c’è nel contratto di matrimonio una cifra che nel caso in cui venissi ripudiata andrebbe a me. Io questo l’ho rifiutato. È un rito ma è anche una speculazione, una forma di scambio di denaro.
E una donna divorziata come viene giudicata?
Malissimo, ma anche qui dipende dai luoghi e dagli ambienti naturalmente. Lo stesso vale per una donna che tradisce il marito…
Parlaci dei tuoi genitori…
Mia madre si è sposata che era una bambina. Ha avuto la prima figlia a tredici anni e a trenta ne aveva sei. Per fortuna e questo lo dice anche lei — è un matrimonio ben riuscito. Oggi lei non ammetterebbe che le figlie si sposino a quell’età. Dice che lei, quando si è sposata, giocava ancora con le bambole. I miei genitori si sono sposati giovanissimi perché sono cugini di primo grado, io porto ugualmente il nome di mia madre e di mio padre. Ma questo da noi è normale. Nella mia famiglia ci sono molti matrimoni fra cugini di primo grado.
Che tipo di rapporto hai con tua madre, riesci a comunicare con lei su problemi anche molto personali?
Oggi con lei ho un rapporto molto aperto, la trovo una donna molto intelligente, è cresciuta molto con gli anni, anche perché ha avuto vicino mia sorella, che ha soltanto tredici anni di differenza, rispetto a lei, quindi è come una sorella per lei. Con lei parlo dei miei rapporti con mio marito, e anche del perché non voglio avere figli.
E rispetto alla tua sessualità…
Quando mi sono sposata, dopo la prima notte di matrimonio, mi trovavo in Iran, naturalmente, lei mi ha chiesto se ero soddisfatta di quest’uomo. Logicamente lei immaginava che io avevo rapporti con mio marito già prima del matrimonio ma non mi ha mai detto niente chiaramente. Sapeva che stavamo da sei anni insieme, che lui era straniero, occidentale, che era vissuto in un certo modo… non mi ha mai chiesto niente. Me lo ha chiesto dopo…
Quando hai occasione di tornare in Persia, e ti capita di parlare con amiche, cugine ecc, viene fuori il problema dei rapporti sessuali, o comunque della situazione della donna nel tuo Paese?
L’uomo iraniano quando vuole può avere una donna. La donna difficilmente si esprime, c’è una specie di vergogna, di immaturità sessuale che la obbliga a non fare passi avanti. Questo naturalmente per quel che ne so io, che sto qui, in Italia e che vado di tanto in tanto nel mio Paese. La donna aspetta che sia l’uomo a farsi avanti, a fare il primo passo.
L’altra sera abbiamo avuto occasione di conoscere tuo fratello; con noi ha parlato piuttosto di politica, ha espresso delle opinioni sullo Scià e sul regime, e abbiamo anche visto che con te si trova in disaccordo su molte cose e non solo politiche…
Si, con mio fratello ci sono molti contrasti e anche di ordine politico. Ma sono soprattutto i suoi princìpi morali sui quali non sono d’accordo, il suo modo di pensare sulle donne. Ad esempio io so che se d’estate io mi metto un vestito scollato lui non approva, ne è infastidito, perché non dovrei portarlo. Con la moglie è anche peggio. A me a quattordici anni, quando eravamo ancora piccoli e andavamo a scuola, controllava la lunghezza delle gonne, così come mi controllava all’uscita della scuola, se magari avevo degli intrallazzi. Addirittura, fino a circa un anno prima del matrimonio si è rifiutato di conoscere il mio fidanzato, non l’accettava. Secondo lui non dovevo avere amicizia con ragazzi italiani perché secondo lui loro vedono in una donna un rapporto sessuale e basta e poi quando hanno ottenuto quello che vogliono la piantano. Poi per lui la donna da sposare deve essere vergine…
Esiste un … mito femminile in Iran, un ideale di donna?
Sottomessa, con princìpi morali e vergine. Ti dico che nella maggior parte dell’Iran si usa ancora che la moglie consegni ai parenti del marito le lenzuola della prima notte. Secondo la religione, la donna simbolo è Zohreh, la figlia di Maometto, l’unica che ha parlato con gli uomini, per poterli convertire, vergine anche lei…
Che cosa significa affermare che le donne possono partecipare alla vita religiosa già dall’età di nove anni, mentre per gli uomini inizia dai quindici?
Significa che dal punto di vista musulmano la donna può sposarsi a nove anni. Le orientali si sviluppano prima di voi ad esempio. Mia madre si è sposata a dieci anni, racconta che le hanno dato le caramelle e le hanno detto di dire «sì» perché altrimenti il matrimonio non era valido.
Oggi però lo Stato non permette più il matrimonio in così giovane età. Lo permette dai sedici anni, ma nei piccoli centri lo fanno lo stesso.
Ci parli delle tradizioni, delle abitudini e dei costumi che sopravvivono, ad esempio, per il matrimonio?
Le tradizioni variano molto. Le donne che vanno spose vengono messe su di un cavallo mentre il futuro marito, dall’alto della casa, getta loro addosso delle mele o delle pere…
E il ciaddor…
In questi giorni il ciaddor è diventato un simbolo, si parla tanto di religione… le donne a Teheran lo portano anche se poi sono emancipate. Però ti devo dire che io a Teheran come donna non potrei entrare nei bar, fumare per strada, entrare in un locale e chiedere una birra… Non sono divieti, è il costume…
Tu, ormai occidentalizzata, allora non fai queste cose se vai a Tehèran?
Non mi viene di farle… è una forma di adattamento all’ambiente…
Ti vorremmo fare anche una domanda rispetto alla situazione attuale…
Da qui mi è molto difficile parlare della situazione. Non è mai successa una cosa del genere in Iran. La cosa mi spaventa naturalmente. Mai tanta gente è scesa per strada, donne, uomini, bambini, mai vissuta una rivolta popolare, così.
Comunque tu l’altra sera hai espresso delle opinioni, eri critica rispetto alla politica dello Scià…
Preferisco non parlarne.
Diciamo allora che non crediamo che stai tanto bene sapendo che i tuoi genitori, tua sorella stanno in mezzo alla rivolta…
Sì, sono preoccupata, penso anche che ci sia tanta immaturità da una parte e dall’altra. Invece sono molto avanzati.
Che cosa ha rappresentato l’occidentalizzazione che si è voluta imporre all’Iran,per le donne naturalmente?
L’occidentalizzazione è stata troppo brusca, soprattutto per le donne. Ha sconvolto tutti. Il mio e quello delle mie sorelle è un caso molto particolare, veniamo da una famiglia aperta, abbiamo avuto un certo tipo di educazione. Ma in generale il salto è stato enorme, da un estremo all’altro.
Oggi, abbiamo detto, le donne lavorano, ma il cammino della donna in Iran è ancora molto lungo. Finché la gente va avanti con i paraocchi, con i condizionamenti della religione le cose non cambiano. Io non condanno la religione che ha tanti lati positivi, ma anche tanti lati negativi… Considera la donna come se fosse un oggetto, come se fosse qualcosa da sfruttare e questo non lo ammetto.
Ma il cammino delle donne è ostacolato in ugual misura dalla religione e…
Tutto è condizionato dalla religione, la lingua, i costumi…
Tu pensi che la modernizzazione poteva rappresentare un elemento di rottura con la tradizione?
No, perché le cose sono molto legate. Ci vogliono anni…
Vogliamo dire: la politica dello Scià avrebbe potuto rappresentare il momento di rottura, di svecchiamento, per l’emancipazione, arrivare a qualcosa di positivo o è la stessa cosa del ritorno alla tradizione islamica?
Un certo progresso c’è anche stato, abbiamo anche avuto un ministro (dell’istruzione) donna…
Allora tu pensi che la politica degli ayatollah, oggi rappresenti un freno per le donne?
Certo, non ammetterei un governo islamico perché allora la donna torna indietro di mille anni, Oggi le donne sono laureate, lavorano, non si accontentano più di fare le donne di casa, di lavare i panni…
Allora per te questo è un aspetto positivo del regime?
Ha fatto qualcosa, certamente, anche se ha posto le donne di fronte a scelte troppo brusche…
Quanto questa cosa, secondo te, è stata richiesta dalle donne e quanto è stata imposta dal regime?
È stata imposta dal regime, per modernizzare il Paese, la donna non ha mai potuto fare quello che voleva. Anche se un certo ruolo della donna, come passatempo e oggetto del marito, si sta molto lentamente esaurendo. Le donne non lo accettano più: sanno che la situazione nelle altre società occidentali è cambiata e vanno anche loro per questa strada.
a cura di S. Costantini e M.G. Mostra