le parole del silenzio
Dove sono andate a finire le eroiche partigiane, le gloriose martiri della resistenza che combattevano a fianco dei loro uomini? Per saperlo leggetevi il breve saggio sulla nuova partigianeria al femminile di A.M. Mori.
Perché le donne non si sono pronunciate sul caso Moro?
È questo il perno su cui ruota il libretto della giornalista-scrittrice Anna Maria Mori: «Il silenzio delle donne e il caso Moro» e che ci impone, come redattrici di Effe, di dare un’«opinione» su quanto la stessa afferma nella premessa del suo testo.
In realtà ci siamo poste, sgomente, la domanda: «Ma abbiamo noi un’opinione?» o, come scrive la Mori, «La donna nel mondo politico e in quello della carta stampata (…) sembra essere ben lontana dal ruolo di soggetto d’opinione: il suo ruolo, allora, è quello di strumento d’assenso o consenso per l’una o l’altra corrente d’idee guidata dagli uomini che fanno la politica e l’informazione» ? Ed in effetti, nonostante la buona volontà ed un certo impegno, pare che noi non siamo annoverate tra coloro che fanno ed,hanno un’opinione. Almeno questa sembra essere l’idea generale che si ricava dalla lettura del«manuale della perfetta Professional Woman» della Mori, ed è probabile che molti ed altre ancora la pensino così.
Non abbiamo mai pensato di essere giunte ai livelli della stampa che la Mori cita nel suo testo, né che quanto pubblicato sui nn. 4 e 5 della nostra rivista (vedi Effe di Aprile e Maggio 1978, pgg. 6 e 7, editoriale) relativamente al caso Moro potesse essere tanto incisivo da assurgere a livello d’«opinione», ma il fatto che, come noi, tanti altri periodici rappresentativi della stampa femminista siano stati totalmente ignorati dall’autrice ci consola. Come si dice: Mal comune mezzo gaudio!
Ci consola meno il fatto che la Mori, pur negandoci come soggetti di opinione (si intende che le donne, viceversa, sono oggetti d’opinione) non analizzi con la dovuta attenzione quel «certo silenzio» cui fa riferimento. Ci sembra difatti ingenuo ritenere che il mancato pronunciamento da parte della stampa femminista (la Mori non se ne abbia a male se ci inseriamo a viva forza tra le «donne del mondo della carta stampata» ) possa essere qualificato come «assenza»; in effetti se la mancata «alternativa femminista» doveva, per «esserci», timbrare il cartellino di presenza su taluno di quei quotidiani citati nel testo e se il fatto che a Roma, durante il convegno femminista sulla violenza (25/27 marzo ’78, Casa della Donna) le donne «ribadivano la loro estraneità a tutta la vicenda»; se questi atteggiamenti, dunque, vengono interpretati come ruolo inesistente della donna nel più ampio quadro politico del Paese, ci sembra allora il caso di chiederci se la Mori non si confonda nel giudicare sinonimi concetti quali: silenzio=consenso/non presenza; rifiuto=non giudizio; estraneità=non opinione; ci domandiamo fino a qual punto essa possa aver dimenticato che silenzio e rifiuto talvolta sono sinonimi di giudizio e presa di posizione. Nel caso specifico l’unico punto di vista possibile.
Chiedere espressamente al movimento femminista qualsiasi altro intervento su un caso del peso politico della vicenda di Moro significa non rammentare i contenuti e le lotte del movimento femminista stesso contro lo Stato di polizia (non possiamo dimenticare gli arresti o le arbitrarie perquisizioni di quei giorni, o le grida in Piazza del Gesù, sotto la sede democristiana: «Pena di morte!» ), o ancora contro la retrività di talune forze politiche (dimenticare che la D.C., dalla liberazione ad oggi, gestisce un tipo di potere che in parte è causa di quanto avvenuto). Dimenticare vuol dire rimuovere la realtà che lo Stato che ci governa tende a pianificare qualsiasi opposizione. Ed in particolare durante quei cinquantacinque giorni le forze di maggioranza, proprio attraverso quella stampa cui si richiama la Mori, tendevano ad una coerenza pseudo-democratica che non faceva altro che irrobustire il cordone sanitario che la D.C. aveva stretto intorno a se stessa, chiudendo in questo modo qualsiasi alternativa possibile di spazi liberati. Già i nostri spazi sono pochi, da quel giorno sono ancora di meno. Già in questo Paese la donna non è soggetto politico, già l’essere considerata minoranza e massa di spostamento per l’uno o l’altro versante della politica dei partiti, la rende da sempre pedina neutrale di uno Stato che non fa altro che perpetuare le proprie capacità di distruzione. perché proprio la donna avrebbe dovuto addossarsi la responsabilità e prendere una posizione su quanto accaduto? perché le donne intervistate dalla Mori avrebbero dovuto far di più o forse pronunciarsi loro su una alternativa/risposta che nessuno sapeva dare? Ribadita la nostra posizione contro la violenza e contro certe forme di terrorismo politico, va però detto che non ci scusiamo, né chiediamo perdono per non essere intervenute, né crediamo che questo nostro articolo possa essere la famosa «opinione» che, volente o nolente, la Mori ci richiede. Pensiamo viceversa che il silenzio è (qualche volta) simbolo di coerenza politica.