consultori, una esperienza da continuare
l’esperienza di un consultorio autogestito in una borgata di Roma.
Mezzo di emancipazione e politicizzazione delle donne.
Ve lo raccontiamo con le parole delle protagoniste.
nel dibattito in corso per definire i compiti e le finalità dei consultori, mi è sembrato opportuno ascoltare e riportare le idee e le esperienze di alcune compagne di una borgata romana (Torre Gaia) che hanno tentato l’anno scorso di mettere su una struttura di consultorio autogestito. I temi che escono dalla discussione di Olga, Gloria, Maria Grazia, Lina e Maria e Roberto, due compagni di medicina che hanno seguito questa esperienza, sono un contributo importante proprio perché in termini problematici, mettono a fuoco la borgata nel suo complesso di struttura separata, «altra», in cui l’organizzazione di un consultorio si configura in un modo del tutte particolare.
Olga – Il consultorio è stato una buona iniziativa, perché nelle borgate le donne non sono tutte emancipate e politicizzate; certe forze politiche come il PCI e il PSI che qui sono forti, non si sono mai fatte carico di certi problemi, non si sono mai posti nella condizione di informare e formare le donne. Una casalinga come me, che non ha fatto altro che star dietro a casa, marito e figli ha bisogno di crescere e prendere coscienza, di imparare cose che per un certo tipo di educazione che si è ricevuta non si sanno ancora. L’idea di creare una struttura di consultorio è nata prima di tutto come momento di aggregazione di tutte le donne della borgata, con un’assemblea in cui abbiamo finalmente parlato dei nostri problemi.
Gloria – I primi problemi affrontati sono stati quelli dei contraccettivi, dell’analisi del corpo sia dell’uomo che della donna, con l’aiuto di Maria e Roberto, due compagni di medicina; poi l’educazione sessuale nella scuola, da creare come materia, perché il rapporto con i figli, specie da parte di donne di una certa età, non è aperto a queste cose. Nelle nostre riunioni, infatti, ci siamo trovate ad avere anche i bambini insieme alle madri e si imparava insieme a capire il funzionamento degli organi sessuali, si sdrammatizzavano i tabù.
Olga – A me certi discorsi mettevano a disagio, diventavo rossa se c’era mia figlia presente, non perché non avessi mai parlato con lei di certe cose ma perché era difficile socializzarle in un gruppo. Sarebbe bello che il consultorio diventasse un posto dove la donna potesse andare ad esporre tranquillamente i propri problemi, sicura di capire ed essere capita.
Gloria – Infatti l’obiettivo che ci eravamo poste noi non era quello di avere una struttura che ti consentisse un rapporto «stregonesco» con gli esperti, ma era quello di risolvere i problemi tutte insieme. L’esigenza è nata durante uno spettacolo sulla condizione femminile di Cecilia Calvi, che abbiamo fatto l’anno scorso e a cui hanno partecipato più di duecento persone; in quell’occasione, un guippo di donne ha preso la parola e, dopo aver sottolineato l’importanza di controinformazione che un lavoro del genere aveva, hanno però affermato che non poteva essere sufficiente, Da qui sono nate le prime riunioni e la consapevolezza che sarebbe stato necessario acquisire strumenti conoscitivi per analizzare la nostra condizione. Tanto per dare la dimensione di che tipo di problemi esistano in questa borgata, basta citare il caso di una donna di venticinque anni, incinta, che non sapeva che differenza ci fosse tra il clitoride e la vagina. Olga – Ma non è la sola; tante altre ragazze giovani, sposate continuano ancora a ragionare e a comportarsi come le proprie madri e le proprie nonne. È per questo che tutte le iniziative di informazione che portino ad una lotta comune sono importanti; anche l’organizzazione dei Mercatini Rossi, che abbiamo portato avanti come Collettivo Politico, perché ci dava a tutte l’opportunità di non andare più a sfiancarci a far la spesa a Piazza Vittorio per risparmiare. C’è da dire che, come al solito, il PCI ha frenato queste nostre iniziative, facendo addirittura riunioni di caseggiato con le donne che avevano aderito a queste lotte.
Anche riguardo al consultorio che volevamo noi il PCI ci ha messo i bastoni tra le ruote, tanto è vero che appena aperto il consultorio regionale di Torre Nova, che si limitava a distribuire la pillola, ha cercato di favorire quello.
Gloria – Il consultorio che pensavamo noi, infatti, si poneva anche problemi di medicina preventiva e del lavoro, perché partivamo dalla analisi della realtà sociale in cui siamo inserite, La donna in borgata fa -il manovale di domenica, per aiutare il marito, ha le ma-rane sotto casa e corre il rischio di prendersi il tifo, non ha a disposizione strutture sociali a cui affidare i figli. Cause strutturali, che non possono certo essere risolte distribuendo contraccettivi. Il discorso è simile a quello che si trova ad affrontare l’operaio in fabbrica che paga milioni l’anno di contributi e che ha a disposizione, come struttura più rivoluzionaria, le Unità Sanitarie Locali; sappiamo bene che non serve fare la visita schermatografica o fare le analisi ai lavoratori di certi raparti di galvanica, se poi non si fa nulla per cambiare l’organizzazione del lavoro.
Olga – C’è da sottolineare anche l’inefficienza degli ambulatori della mutua, che stanno a dieci chilometri di distanza, a Centocelle: dovevo fare una visita ginecologica e non solo sono stata trattata malissimo, ma non ho avuto nemmeno le informazioni che richiedevo; se ci fosse un consultorio organizzato in borgata, questi problemi si (potrebbero risolvere lì, perché nessuna di noi può permettersi di andare da uno specialista privato.
Gloria – Abbiamo fatto anche una ricerca sul tipo di malattie più frequenti in borgata: tifo ed epatite virale d’estate, a causa delle marane putride, e reumatismi, bronchiti, polmoniti d’inverno, dato che c’è una notevole maggioranza di edili; un altro dato è significativo: 4 medici su 10.000 abitanti.
Un’altra inchiesta che ci ha impegnato è stata quella sull’educazione sessuale, condotta tra i bambini a scuola. I risultati sono allucinanti e mostrano quanto lavoro si debba ancora fare perché tutti abbiano una informazione corretta di queste cose. Anche rispetto all’aborto ci sarebbe da fare un lungo discorso; basti dire che qui ci sono soltanto mammane e non è un caso che poco tempo fa è morta una donna, madre di cinque figli, con il ferro da calza. Quando facevamo riunioni di consultorio volevamo affrontare il problema dell’uso del metodo Karmann per combattere questa piaga, ma con il non proseguimento dell’iniziativa tutto si è arenato.
M. Grazia – In effetti il programma del consultorio ce lo eravamo date abbastanza precisamente, ma per motivi organizzativi non è andato avanti; volevamo l’aiuto di una ginecologa dell’AIED, ma non era disponibile e anche i compagni di medicina che, in un primo tempo si erano prestati, per motivi personali, non ce l’hanno fatta più a proseguire.
Maria – Io alle autogestioni non ci credo, perché tutte le esperienze che ho avuto sono fallite. Per aprire un consultorio ci vogliono persone specializzate, fondi, locali; io, per esempio, pur facendo medicina, pur essendo informata sulla legge regionale dei consultori, non mi sento preparata a organizzarne uno. Inoltre il personale medico e paramedico che può lavorarci deve essere pagato, non si può intervenire a livello volontaristico, perché altrimenti una struttura non funzionerà mai.
M. Grazia – Il consultorio che dici tu lo hanno aperto a Torre Nova, ma non ha una grande affluenza di persone; quindi il problema non è tanto quello di trovare tecnici disponibili, quanto di far sì che tutti partecipino, che tutti siamo informati, che tutti lottino insieme. Si deve creare un centro sociale, in cui le donne si confrontino su tutti i loro problemi, perché per esempio di donne chiuse in casa, che non possono parlare con il marito perché torna stanco dal lavoro, che si abbrutiscono a strofinare la casa, che non sanno niente di quello che accade all’esterno, qui ce ne sono molte. Di queste donne deve essere il consultorio.
Maria – È vero che il consultorio deve essere una struttura aperta, ma continuo a pensare che se non c’è personale specializzato rimani sempre a livello di esperienza e mai di organizzazione. L’AIED quando è nato è stato importante per le donne di tutte le età riguardo al problema degli anticoncezionali.
M. Grazia – Ho i miei dubbi, perché quando ci sono andata mi ha dato l’idea di un posto alla moda, frequentato da donne borghesi che non si ponevano nemmeno lontanamente i problemi che abbiamo noi.
Poi, per quello che ho capito io dell’impostazione dei consultori regionali, mi sembra che siano fatti per la famiglia più che per la coppia o per la donna; non si cerca cioè di cambiare certi ruoli sociali, ma li si lascia inalterati cercando, al massimo, di razionalizzarli.
Roberto – Infatti, nel consultorio che si stava creando in borgata, si voleva andare oltre alla pianificazione familiare; il discorso era quello di un diverso ruolo della medicina, che deve essere preventiva e non solo curativa, che deve dare gli strumenti conoscitivi della malattia a chi non li ha, che deve inserirsi in un ambito politico-sociale. L’ambulatorio di quartiere come il consultorio non sono strutture separate dalla vita sociale, devono collegarsi con il comitato di quartiere, con le eventuali fabbriche o luoghi di lavoro per affrontare problemi che la gente effettivamente ha giorno per giorno.
Maria – Diciamo allora che si si attua un consultorio come quelli approvati dalla legge regionale, si crea una specie di ambulatorio INAM decentrato; se invece si organizza un consultorio au-
togestito si rischia di non trovare mai personale che ci lavori, perché non lo si può pagare.
Forse bisogna fare una fusione tra queste due cose, fare in modo che ci sia personale specializzato in contatto con il comitato di quartiere, che presti la sua opera d’informazione e formazione rispetto ai problemi che quest’ultimo propone. Ma penso che finché la società rimarrà quello che è, sarà sempre difficile portare avanti certi discorsi.
Gloria – Continuo a ripetere che anche se sei in grado di avere a disposizione diecimila ginecologi, sociologi, psicologi non tasta, non serve se io non mi metto insieme alle altre donne a discutere, a riappropriarmi di una capacità di analisi che sia unificante. L’esperto deve dare solo in un momento iniziale gli strumenti per capire certe cose, ma poi tutte insieme dobbiamo muoverci e lottare.
Questa esperienza, pur con i suoi limiti, ci ha fatto vedere quanto sia aggregante parlare del proprio corpo, del proprio ciclo mestruale, dei propri rapporti con i figli, dei problemi di vita che sono uguali per tutti. Una struttura non calata dall’alto, con i medici «buoni e democratici», ma l’avvio di un discorso più generale, di conquista di sempre maggiori spazi politici di intervento: questo si proponeva il nostro consultorio e questo dovrà ritornare ad essere.