parliamo della nostra salute
a Roma il 24-25-26 giugno s’è tenuto un convegno internazionale sulla salute della donna.
Circa 300 donne dei vari gruppi di self-help sono venute da molti paesi europei e anche dall’Australia, Canada, Messico e Stati Uniti per confrontare le esperienze.
Siamo un gruppo di donne che si occupa della salute della donna e pratica il self-help. Il nostro gruppo lavora ormai da tre anni; all’inizio facevamo le visite ginecologiche fra noi limitandoci a guardare ed a imparare le prime nozioni sul nostro apparato genitale, e nello stesso tempo facevamo autocoscienza su quello che ci accadeva. Ci incontravamo con altre donne nelle occasioni in cui era possibile. In seguito sentimmo il bisogno di approfondire le nostre conoscenze e cominciammo a documentarci sia sui testi di medicina che sui documenti che altri gruppi di self-help, di tutto il mondo, avevano elaborato. Iniziammo anche noi a produrre qualche documento per diffondere le esperienze degli altri gruppi assieme alle nostre. Alcune di noi hanno imparato a misurare i diaframmi; abbiamo cominciato a compilare schede su cui riportiamo i dati riguardanti lo stato del nostro apparato genitale lungo tutto il ciclo mestruale, dati che rileviamo con le visite quasi giornaliere. Abbiamo intensificato la collaborazione con i collettivi femministi di Roma. Ci sono stati numerosi incontri con gruppi sorti sul luogo di lavoro e nei quartieri. Ognuno di questi gruppi ci chiede notizie sulla nostra esperienza nel campo della salute e ci esprime il desiderio di dividere la nostra pratica per crescere personalmente e diffondere il self-help nell’ambito del proprio collettivo. Ci interessa soprattutto approfondire il nostro rapporto con la medicina in generale, e con i «tecnici» della salute in particolare. Vogliamo ridefinire il nostro «essere donne» per distruggere l’immagine che la medicina ci ha voluto imporre: i medici sono per la maggior parte maschi, e come tali si comportano nei nostri riguardi a volte con paternalismo a volte più sfacciatamente repressivi. Abbiamo deciso di non aprire un consultorio e stiamo indirizzando le nostre energie verso la costruzione di un centro di salute gestito solo da donne: siamo convinte che la conservazione della salute e la lotta alla malattia non dev’essere delegata ad una casta. Con il self-help, noi donne, inventiamo, un modo nuovo d’interessarci al corpo e alla salute, facendone una pratica sociale e socializzante. Dopo un’esperienza di propaganda in un quartiere popolare di anticoncezionali ci accorgemmo che qualcosa non andava, avevamo affrontato il problema con molta superficialità: da quella esperienza capimmo che prima di andare da altre donne ad «insegnare» qualcosa è basilare chiarire i propri problemi. Cominciammo così a fare self-help: solo allora capimmo la riluttanza di molte donne di fronte agli anticoncezionali; in noi stesse trovammo le loro contraddizioni e le loro paure e ci rendemmo conto che non si può parlare di anticoncezionali scavalcando i problemi della salute e della sessualità. Dalla pratica del self-help abbiamo tratto la visione di noi stesse come un «tutto» un’«unità», ci siamo rese conto dell’espropriazione a cui siamo sottoposte; vogliamo lottare contro tutto ciò che agisce in modo cieco e stupido sul delicato equilibrio del n’ostro organismo. Il s.h. non si esaurisce per noi in un modo diverso di fare medicina, ma piuttosto è una riappropriazione continua, il tentativo di inventare un modo nuovo di vivere, una pratica profondamente rivoluzionaria. Abbiamo sentito l’esigenza, a questo punto, di confrontarci con gli altri gruppi che, a livello mondiale, si occupano dei problemi della salute ed è per questo che il 24-25-26 giugno ci siamo incontrate per il convegno internazionale in Italia sulla salute della donna. Nell’organizzare questo convegno pensavamo di dare a tutte la possibilità di partecipare e di contribuire a questo lavoro senza voler dare noi, come gruppo, un taglio preciso alla discussione; per questo motivo c’era soltanto un minimo di struttura in commissioni e non assembleare ed inoltre avevamo mandato lettere d’invito precisamente ai gruppi che avevano lavorato sul problema della salute. Eravamo circa 300 da molti Paesi europei: dalla Grecia, dalla Spagna, Francia, Inghilterra, Germania, ecc. dall’Australia, dal Canada, dal Messico, dagli Stati Uniti. Pensiamo di aver lavorato con molta serenità e senza stroncare la creatività di ognuna. Le commissioni erano così divise: Comunicazioni internazionali sulla salute della donna – La donna e le istituzioni mediche – La ricerca controllata dalle donne – La politica dei consultori – La politica degli anticoncezionali – Parto – Ormoni sintetici: loro uso ed effetti – Infezioni e malattie genitali – Aborto: pratica e leggi – Salute e lavoro – Alimentazione – Cure alternative con le erbe – Donne e invecchiamento – Aspetti politici del self-help – La storia della donna come guaritrice – Sessualità. Da quasi tutte le commissioni è venuto fuori che il self-help inizia con l’auto-visita ma deve andare molto oltre, coinvolgere il corpo e la psiche della donna e porsi in rapporto con le istituzioni mediche e politiche (vedi aborto, lavoro, parto, ecc.): questa era l’impostazione generale ma diverse sono le tappe attraverso cui si può raggiungere questo obiettivo: alcune donne pensano, che il loro lavoro dev’essere portato avanti con il riconoscimento delle istituzioni: per es. a Berlino ovest il collettivo per la salute della donna cerca di aprire un consultorio in cui si possa accedere con la mutua e dove le donne che lavorano vengano pagate. Altre donne pensano invece che l’entrata nelle istituzioni distruggerebbe o per lo meno inquinerebbe i contenuti del femminismo, per loro le istituzioni sono una controparte e non uno strumento, come le compagne francesi di Aix en Provence che hanno continuato la pratica dell’aborto anche dopo la sua legalizzazione. Veniva comunque fuori che la lotta va portata avanti su due fronti: dentro le istituzioni mediche e nelle strutture alternative perché l’importante è che si parta sempre dall’esperienza delle donne.
Ci sembra che il convegno sia stato un passo importante per poter allacciare rapporti di lavoro con gli altri gruppi femministi nel mondo.
La medicina degli uomini ha espropriato sempre più noi donne dalla gestione del nostro corpo, bollando il nostro desiderio di autonomia come «stregoneria».
Dall’elenco delle commissioni si può vedere che i temi toccati sono stati numerosi: in una commissione dove si parlava dell’uso del diaframma e del cappuccio cervicale, alcune donne spagnole sono intervenute violentemente per interrompere il discorso tecnico affermando di non dimenticarci degli obiettivi reali: come si fa a consigliare questo o quell’altro metodo contraccettivo, quando è chiaro che la maggior parte delle donne non hanno orgasmo con la penetrazione? È contro la repressione sessuale delle donne che bisogna lottare e non soltanto occuparsi della contraccezione che è diventata un metodo di controllo supplementare dello stato sulla popolazione. Lo si vede in alcuni Paesi del terzo mondo e nei ghetti americani. La contraccezione dev’essere affrontata analizzando la possibilità di una sessualità diversa. Una italiana racconta come la maggior parte delle donne passano attraverso gli stadi di utilizzazione passiva della contraccezione poi di rifiuto prima di affrontarla veramente. L’assenza di controllo sulla sessualità e sulla contraccezione da parte delle donne è vissuto più drammaticamente per ciò che riguarda l’aborto. Benché le leggi siano diverse nei vari Paesi, non c’è luogo dove spetti alla donna la completa decisione e dove l’aborto sia gratuito e depenalizzato. In Italia è stata una sorpresa sgradevole il veder rifiutato il progetto di legge e molte di quelle che consideravano più importante condurre la lotta sulla sessualità sono state costrette a rivedere le loro posizioni. A questo riguardo in Olanda malgrado una legislazione relativamente liberale, i gruppi femministi hanno creato un coordinamento nazionale per esigere la gratuità e la depenalizzazione insieme alla completa autodeterminazione. All’assemblea generale si è evocata la possibilità di riprendere quelle rivendicazioni per farne la base di una piattaforma internazionale comune a tutto il movimento. E stata anche affrontata la discussione sulla pratica autogestita dell’aborto. Malgrado il rischio di sopperire alle deficienze dello Stato, la difficoltà di rinnovare le file di quelle che praticano l’aborto, di stabilire rapporti tra le donne e di incaricarsi per lungo tempo di questa pratica, è stato ritenuto un lavoro indispensabile. L’esempio delle femministe di Aix en Provence dimostrava che l’adozione di una legge è del tutto insufficiente per modificare la situazione e che è indispensabile avere una pratica autogestita e collettiva. Nella commissione salute e lavoro si è parlato del lavoro domestico e dei sintomi a questo legati, non riconosciuti dalla medicina ufficiale: si apre un dibattito sul problema della presa di coscienza: da una parte non si riconoscono certe malattie come la depressione e la fatica, mentre dall’altra si fa di tutto per riconoscere come malattie fenomeni normali della donna come le mestruazioni e il parto; a volte si è costrette a pensare se l’essere donne è già di per sé una lunga malattia! Comunque fra poco saranno pronte le relazioni del congresso con le quali pensiamo di far uscire un documento che ogni compagna potrà comprare. Due parole sull’organizzazione: questo convegno al nostro gruppo è costato mesi di riunioni, di autocoscienza, di lavori extra, tipo vendere vestiti vecchi per trovare un po’ di soldi. Sono sorti innumerevoli problemi di carattere organizzativo, paura di non saper parlare, angoscia di non farcela. Il collettivo è molto cresciuto su questo lavoro: c’era chi spingeva a «fare», chi si faceva «trainare» un po’ scettica, serpeggiava, durante le riunioni fiume, la paura del fiasco; come cercare la sala, i microfoni, le sedie, che lingua parlare. Una compagna tornata da Parigi era disperata perché là si era trovata davanti la folla delle donne aggirantesi nei locali del convegno alla ricerca di commissioni fantasma, che vagavano incerte sul da farsi; durante le riunioni discorsi lasciati a metà per via delle traduzioni che duravano troppo a lungo; e per il timore di ripetere la stessa situazione era stata categorica: lettere d’invito solo ai gruppi che hanno lavorato sulla salute con la richiesta della presenza di non più di tre donne per collettivo; avevamo bisogno di lavorare seriamente, di raccogliere quante più informazioni era possibile, di confrontarci con tutti i gruppi. Poi finalmente la mattina di venerdì; eravamo tutte in tensione: quante saranno? Come andrà? Poi man mano le donne arrivavano, si formavano le commissioni, cominciavano i dibattiti. Che felicità per tutte noi! Livia felice azzarda una battuta: se non l’avessi organizzato io mi sarebbe piaciuto partecipare a questo convegno. Ce l’avevamo fatta! C’era una forte omogeneità di problemi di fronte ai quali si trovano le donne di Paesi diversi e d’altra parte la coscienza che non ci si deve fermare alle conoscenze tecniche per poter fare un discorso sul rapporto col nostro corpo.