scozia

gli occhi glauchi del cinema delle donne

“La sfinge del femminismo non ha risposto alle domande capitali”

settembre 1979

Edinburgo. I ragazzi che sul parco verdissimo cessano da sanguigni giochi scozzesi e circondano via via il cerchio di giovani donne sedute sull’erba, non sanno che questo è un “International forum”. Magari pensano a un pic nic. Ma certamente, capiscono rapidamente che si tratta di un incontro austero: le giovani donne inglesi dardeggiano sguardi cerulei che non lasciano dubbi, le tedesche sono gravi; solo le italiane, ormai un po’ stufe dopo cinque giorni di discussioni, progettano, facendo finta di niente, passeggiate per la antica città rimasta loro sconosciuta. E’ il festival del cinema femminista che si è svolto dal 20 al 25 settembre nella capitale scozzese, al lato del megafestival di Edinburgo, musica teatro e cinema. Le donne, una cinquantina, (diciannove le registe) si sono incessantemente incontrate dalle nove e mezzo di mattina fino alla tarda serata per assistere a film, partecipare a un seminario “aperto”, ritrovarsi in piccoli gruppi, incontrarsi di nuovo tutte insieme e poi, magari, andare anche ai cinema aperti al pubblico. Il seminario femminista si è svolto al College of Art.

Gli schermi si sono riempiti di storie esemplari (il regista porno finalmente contestato da due donne patisce un’evirazione intellettuale e sociale “The speli of the past”, Barbara Evans, non manca nemmeno la strega col carnefice); di subalternità rivisitate con facile occhio femminista (una bella sequenza di foto, Jeni Thornley, Australia, che scopre la libertà e che, quindi, non farà come sua madre, di cui le foto); di tecniche – filmiche – non- esproprianti-il –soggetto, come in “Taking a part” di Jan Worth, inglese, in cui due prostitute che raccontano la loro storia leggono brechtianamente dal principio alla fine su quadernini da loro scritti. Strana lezione ha tratto la regista (lei dov’ è?) da tanta autocoscienza. Ci sono tutti i film di Chantal Ackermann, c’è un documentario su Simone

De Beauvoir di Josee Dayan e Malka Ribowska, fatto con una cooperazione franco-belga nel 1978; fa discutere (io non l’ho visto) una pellicola lunghissima (più di due ore) dal titolo “Song of the shirt”, una produzione inglese sulla storia delle cucitrici dall’epoca vittoriana in poi. Qualcuno, al seminario, si azzarda a dire che è noioso: l’osservazione viene pedagogicamente raccolta dalle inglesi e dalle americane per rispondere che i film divertenti “tengono la gente inchiodata alla sedia, creano un’identificazione che esclude la coscienza”. Ho sentito con le mie orecchie affermare che “il film che tende la pazienza fino al limite, crea una spinta alla ribellione che forse è proprio quello che vogliamo”. In realtà a una osservatrice saltuaria come io sono stata, il dibattito è sempre sembrato girare intorno alla più antica discussione sull’arte, sulla sua utilità, (oh Zdanov!); intere biblioteche, svolazzavano, invisibili, sulle teste delle partecipanti al festival. Cos’è il cinema femminista- Chantal Ackermann ha il diritto di mostrare le donne nude, o le “espropria”? Qual è la vera donna, quella non ricalcata sull’immagine che di lei l’uomo ha inventato? Come si fa diventare un film “pratica femminista”? Gli uomini devono assistere al dibattito? Eccetera. La sfinge del femminismo non ha risposto a tutte queste domande capitali.

 

Il guaio è che la parte “theoretical” ha preso tanto spazio da lasciare a bocca asciutta tutte quelle che forse volevano chiedere come si fa ad arrivare a mettere le mani su una macchina da presa, chi può insegnare come usarla, come funzionano le due case di distribuzione al femminile (l’olandese Cinemien e l’inglese Cow film), cosa producono mai le produttrici femministe (Sheffield film co-op, Inghilterra), come sopravvivono le riviste di cinema (“Frauen und film”, Germania, “Camera Obscura” e “Jump cut” negli USA). “Però loro hanno fatto tanti film insieme, sanno come lavorare in collettivo” dicevano benevole le italiane nel parco preparandosi a sfondare l’educato cordone di scozzesi per andare a fare una passeggiata nel centro di Edinburgo; almeno l’ultimo giorno, dopo tanto impegno rivoluzionario, tanti film sul rapporto madre figlia, tanti sguardi cerulei e dardeggianti, così diversi dai nostri, almeno oggi.