la prima è stata alice
«Fu così che, in qualche ora, in trenta metri di pellicola e con una minima spesa, la giovane Alice Guy terminava il suo lavoro e diventava la prima donna regista del mondo».
Prima di riportare ciò che è stato scritto su Alice Guy nel libro «Femmes cinéastes» di Charles Ford, riteniamo di dover verificare quanto sia stato scritto su di lei nei sacri testi della storia del cinema.
Questa verifica è necessaria in quanto, attraverso le nozioni-base che ci vengono fornite sulla storia del cinema, il nome di Alice Guy non è così comunemente noto come quello dei fratelli Lumière o di Méliès. Abbiamo analizzato i seguenti testi: «Storia generale del cinema» e l’enciclopedia «I cineasti» di George Sadoul, «Storia del cinema» di Paul Rotha e David Griffith e «Cinema muto» di Luigi Rognoni. I risultati sono deludenti e confermano, ancora una volta, come l’atteggiamento degli storici nei confronti della donna sia uniforme. Il testo di Sadoul, considerato quasi un Vangelo da chi si occupa di cinema, è il più ricco di notizie su Alice Guy. Ma che tipo di notizie? Innanzi tutto, si sottolinea costantemente il ruolo di Alice Guy, essere, cioè, la segretaria di Leon Gaumont, proprietario di una delle prime case di produzione-distribuzione. La sorte di questa segretaria, però, fu più fortunata di quella di tante altre; infatti, quando nel 1899 il pubblico si stancò dei semplici cortometraggi con l’arrivo del treno o le sfilate militari e cominciò a chiedere film con messinscena, «il principale (Gaumont) pregò la sua segretaria, Alice Guy, di volersi occupare della faccenda». Sadoul ci elenca allora tutta una serie di film realizzati in quel periodo, ma tace completamente sul lavoro di Alice Guy; si limita ad informarci che «per parecchi anni Mademoiselle Alice provvide alla messinscena». Naturalmente il merito di tale innovazione nel campo dello spettacolo cinematografico va tutto alla Gaumont e si attua un sottile processo di annientamento della personalità dell’autrice, laddove, invece, si spandono fiumi di inchiostro su altri realizzatori non certo migliori di Alice. Sadoul non dice mai, in questo libro, che Alice Guy fu la prima donna regista al mondo. Gli interessa soltanto il suo ruolo di segretaria e la nomina solamente quando ella «assumeva», dietro incarico di Gaumont, qualche regista. E anche il suo ruolo di realizzatrice viene visto in funzione del suo essere segretaria, come se, tutto il lavoro da lei svolto, fosse limitato dal permesso di spingere il pulsante della cinepresa, niente di più. Andando avanti, la totale indifferenza che Sadoul mostra verso l’opera di Alice si trasforma in disprezzo. Infatti nel libro si legge: «Nel 1904 la produzione Gaumont si orienta nettamente verso la messinscena. Fin qui, per la direzione dei suoi film, Leon Gaumont si era accontentato dell’opera della sua segretaria Alice Guy». Non volendosi più «accontentare», Gaumont assume (anzi, fa assumere da Alice Guy) Henri Gallet, al quale viene attribuito il film «La fée aux choux» che, invece, Ford indica come primo film di Alice. Ma le contraddizioni e le notizie contrastanti non mancano: lo stesso Sadoul, nella sua enciclopedia «I cineasti», definisce Alice Guy «la prima donna regista del mondo» e, smentendo sé stesso, attribuisce a lei «La fée aux choux». A questo punto la confusione è totale e, visto che il libro di Ford non è così noto come quello di Sadoul, la corretta informazione storica va a farsi benedire. Ma c’è di più: per Paul Rotha, David Griffith e Luigi Rognoni, Alice Guy non esiste affatto, nemmeno come segretaria. Ciò lascia sconcertati, ma permettte un’analisi approfondita sull’evidente volontà, da parte degli storici, di annullare la personalità, l’importanza, il lavoro svolto da una donna. E non in riferimento ad una figura minore, bensì nei confronti della prima donna regista, elemento questo che, in un mondo dove prolifica il nozionismo, è ancora più incomprensibile.
alice guy la pioniera
Alice Guy era la segretaria personale di Leon Gaumont. Figlia di un modesto e onorato libraio di Rue de Vaugirard, fu costretta a mantenersi, e prese servizio presso Gaumont come dattilografa. Intelligente e coraggiosa, divenne presto la più. stretta collaboratrice dell’industriale, che non poteva che apprezzare la sua dedizione. Alice Guy, che tutti chiamavano Mademoiselle Alice, per affetto e rispetto, aveva assistito alla dimostrazione del 22 marzo (nota: il 22 marzo 1895 i fratelli Lumière avevano presentato il loro apparecchio) ed era rimasta seriamente impressionata. Non c’è da stupirsi che, di conseguenza, la giovane segretaria — aveva ventitré anni, essendo nata nel 1872 — si precipitò al Salone Indiano del Grand-Café per le prime rappresentazioni pubbliche del Cinematografo Lumière. Uscì da qui con la stessa emozione provata nel mese di marzo, ma con una specie di delusione confusa e inesprimibile. Questa delusione derivava dal fatto che sullo schermo del Boulevard, come su quello di Rue de Rennes, aveva visto solo dei documentari: l’arrivo del treno, la sfilata di un reggimento, le Tuileries, la piazza Bellecour di Lione, una partita a carte… In questo modo, senza saperlo, Mademoiselle Alice intuì la presenza dello spettacolo cinematografico. Un giorno, prendendo coraggio a due mani, si rivolse a Leon Gaumont e gli disse: «Non pensate che tutte queste piccole bande comincino ad essere monotone? È quasi sempre la stessa cosa e c’è il rischio che ci si stanchi. Quello che bisogna fare è raccontare delle piccole storie. Io vorrei molto raccontarne qualcuna. Mi autorizzate, signor Gaumont, a realizzare dei piccoli film?» Leon Gaumont, uomo serio e severo, non amava gli scherzi. All’inizio credette che la sua segretaria lo prendesse in giro. Poi, avendo capito che parlava seriamente, le rispose: «Dopo tutto, perché no? Occupatevi di queste piccole storie, ma resta inteso che il vostro lavoro non soffra per i vostri capricci. Voi potrete fare i vostri film la domenica». Leon Gaumont, che sarebbe diventato presto, grazie alla coraggiosa iniziativa della sua collaboratrice, uno dei più importanti produttori del mondo, non potè fare a meno di pensare che la giovane Alice Guy si lanciava in una avventura dove l’attendevano solo dei dispiaceri, dato che il mestiere di regista cinematografico non era adatto per una donna. Ecco come René Jeanne ha raccontato il seguito degli avvenimenti: «Felice come si può esserlo a vent’anni e sicura che il suo lavoro non ne avrebbe sofferto, dal momento che, ormai il suo lavoro erano queste “piccole storie” delle quali aveva parlato al suo padrone e alle quali si consacrò con tutto il suo cuore e la sua intelligenza, Alice Guy, senza perdere un minuto, si mise al lavoro. Volendo raccontare una “piccola storia”, era ancora troppo influenzata dall’infanzia per non raccontare una favola. Immaginò quindi che due giovani sposi passeggiando in campagna, mano nella mano e facendo progetti per l’avvenire, arrivano in un campo di cavoli e vedono apparire una fata che, con un colpo di bacchetta, fa apparire dentro uno dei cavoli un neonato che si succhia il dito. Titolo: ” La fée aux choux” (La fata dei cavoli). Si può immaginare una “piccola storia” più semplice e più ricca di buone intenzioni? Per la realizzazione, dovendo tener conto della mentalità del suo padrone in fatto di economia, scelse come interpreti due suoi amici, per i quali sarebbe stato un divertimento, sostenendo lei stessa il terzo ruolo». Tutti gli storici cinematografici sono d’accordo che Alice Guy fu la prima donna regista. In compenso, le hanno spesso contestato il merito di essere stata, dopo Louis Lumière, la prima persona al mondo a realizzare dei film, dunque, il primo cineasta senza distinzioni di sesso. Al giorno d’oggi, è stato rigorosamente stabilito che, contrariamente alle affermazioni azzardate di certi specialisti della questione, Alice Guy realizzò «La fée aux choux» all’inizio del 1896, qualche settimana prima del debutto di George Méliès, da sempre considerato come il vero creatore dello spettacolo cinematografico, prima di tutto per l’abbondanza della sua produzione e poi per l’ingegnosità con la quale ha arricchito la tecnica cinematografica. Ma fu Alice Guy che, nel film «Le Noél de Pierrot» (Il Natale di Pierrot) utilizzò per la prima volta i mascherini e le sovrimpressioni, fu lei che si servì della ripresa a ritroso per «Une maison démolie et reconstruite» (Una casa demolita e ricostruita).
“mi autorizzate, signor gaumont, a realizzare dei piccoli film?”
Meravigliato del debutto della sua segretaria come regista, Leon Gaumont le diede i mezzi per continuare a raccontare delle piccole storie. Alice realizzò: «Les petits voleurs de bois vert» (I piccoli ladri del bosco verde), «La Momie» (La Mummia),) «Le courrier de Lyon» (Il corriere di Lione)), «Le Cake-Walk de la Pen-dule», «Le Gourmand effrayé» (Il ghiotto spaventato), «Déménagement à la cloche de bois» (Sloggiare alla chetichella). Gaumont le mise a disposizione un vero studio e da allora la produzione della casa cinematografica diventò la più importante dal punto di vista quantitativo e la più ambiziosa per quanto riguardava i soggetti: «La Esmeralda», «Faust et Mephisto», «Vendetta», «L’enfant de la Barri-cade» e anche «Passion du Christ» (1898) che molti attribuiscono a Victorin Jasset. Dieci anni prima dei famosi registi americani David Warìk Griffith e Thomas Harper Ince, Alice Guy realizza i film, controlla il lavoro dei suoi collaboratori, compra dei soggetti e assume degli assistenti. Preoccupato per le sue ricerche tecniche, Gaumont si appoggiò completamente su di lei per tutto ciò che riguardava la produzione dei film. Potendo disporre di un budget sempre più sostanzioso, Alice Guy ingaggia degli attori che venivano dal caffé concerto, dalle Folies e dallo Chàtelet, si assicura la diretta collaborazione di Denizot, un trovarobe sempre in cerca di lavoro, di Henri Gallet, cantante di Montmartre e anche di Victorin Jasset che tenterà, con tutti i mezzi, di diventare un «ladro di gloria». Con l’andare del tempo, mentre Alice Guy diventava sempre più famosa, al punto da essere investita di poteri che nessuna donna ebbe mai nella storia del cinema, il proprietario della Cité Elgé mise a punto il suo Chronophond, ingegnosa combinazione tra la cinepresa e il fonografo. In questo campo come negli altri, Alice Guy fu la pioniera poiché cominciò a realizzare, sindal 1899, poco prima di Méliès e Zecca, dei film sonori con il Cronophone Gaumont. Dopo un primo tentativo, «Les Soeurs Mante» (Le sorelle Mante), Alice presentò la classe del Conservatorio di Rose Caron nelle opere liriche più popolari all’epoca: «Carmen», «Manon», «Mignon», «Les dragons de Villars», «Les cloches de Corneville», «La fille de Madame Angot», «La vivandière» e «Le couteau», dopo di che filmò anche qualche canzone del repertorio di Dranem, Mayol e Polin, divi del caffè concerto della fine del secolo, Purtroppo, dato che il procedimento non soddisfaceva sul piano tecnico, la produzione dei film «parlanti» e «cantanti» fu rapidamente abbandonata. Un evento di carattere sentimentale modificò presto la vita di Mademoiselle Alice. Per quanto fosse una direttrice artistica, Alice Guy non era meno donna delle altre e si innamorò follemente di uno dei collaboratori, l’operatore Herbert Blaché, nato a Bruxelles ma di origine inglese, che presto sposò. Blaché fu inviato da Gaumont a Berlino per dirigere la succursale tedesca e per sorvegliare la diffusione del Chronophone che era stato perfezionato; Alice Guy, ormai Alice Guy-Blaché dovette seguire il marito e abbandonare la direzione degli studi. Per la giovane donna, un capitolo si era chiuso e cominciava un’altra vita» sempre in campo cinematografico.
Durante ,i tre anni che passò accanto a suo marito a Berlino, Alice Guy-Blaché si dedicò soprattutto alla vita familiare — ebbe una figlia ed un figlio — dimenticando per un po’ le gioie della creazione cinematografica. Nel 1910, nuovo cambiamento. Leon Gaumont, avendo venduto a due americani A diritti di sfruttamento del suo Chronophone, mandò i coniugi a sorvegliare sul posto l’andamento degli affari. Gli affari non andarono troppo bene, perché i concessionari erano, nel frattempo, falliti. Recuperati i diritti per l’America, Gaumont mandò i coniugi Brache a Flushing, nello stato di New York, dove aveva acquistato una modesta fabbrica trasformandola subito per le sue necessità in un teatro di posa e di musica per le piccole bande destinate ai clienti del Chronophone. Dato che i tecnici occupavano il teatro solo qualche giorno alla settimana, Alice Blaché vide in ciò una eccellente occasione per riprendere la sua attività come realizzatrice. Assunse subito del personale. Il lavoro non era facile perché il materiale girato a Flushing, era spedito a Parigi per essere sviluppato nei laboratori Gaumont. Alice Guy aveva acquistato sicurezza e dirigeva con fermezza gli interpreti dei suoi drammi e delle commedie che ottennero un vivo successo. Attori famosi come Gladden James, Burton King e Winnie Burns parteciparono alle riprese di questi film, di cui i più conosciuti furono «Falling Leaves», «Face at the Window» e «The Rose of the Circus». I titoli inglesi indicano che si trattava di una produzione americana. Dopo il crescente successo dei suoi film, desiderosa di indipendenza, non facendosi spaventare dalle enormi responsabilità, Alice Guy decise di fondare la sua casa di produzione. Dato che Herbert Blaché era legato da contratto a Gaumont fino al 1915, Alice lo lasciò a Flushing e se ne andò da sola, con due assistenti e un amministratore, ad installare la nuova casa di produzione Solax Film Corporation a Fort Lee, nel New Jersey.
A partire dal 1913, qui realizzò un numero impressionante di film di tutti i generi per i quali ricorse a degli attori di grande rinomanza, presentati spesso in una serie intitolata «Popular Plays and Players». Infaticabile, Alice Guy mandò avanti la casa di produzione, appassionata, realizzò le opere più ambiziose e coraggiose, non esitando ad utilizzare delle bestie feroci per il film «Beasts of the Jungle». Interamente padrona del mestiere, al meglio delle sue capacità creative, Alice Guy tra il Ì919 e il 1922 diede il meglio di sé, con i film più rappresentativi. I prodotti della Solax furono diffusi tramite le maggiori case di distribuzione, come la World, la Pathé, l’Inter-national e soprattutto tramite la Metro. Questi drammi di tutti i giorni, non avevano più niente a che vedere con le piccole storie puerili e naif dell’inizio della carriera comune del cinema e di Alice Guy. Le storie erano accuratamente elaborate, gli arredamenti scelti con buon gusto, la regia efficace. Alice Guy esercitava sugli attori una specie di dolce fascino che le permetteva di essere esigente. Olga Petrova, la vamp della Solax, si rifiutava di lavorare sotto la direzione di Herbert Blaché, perché riusciva a star bene solo con Alice. Si può notare come la produttrice-regista della Solax Film Corporation preferisse di gran lunga lavorare con le attrici. Era soprattutto una questione di sensibilità e Alice Guy conosceva meglio la psicologia femminile e sapeva meglio, di conseguenza, far capire alle attrici le giuste espressioni che riflettessero sentimenti reali. Nel 1922, malgrado il continuo successo dei loro film, i coniugi Blaché si resero conto che, di fronte alla straordinaria potenza delle grandi firme hollywoodiane, non era più possibile mantenere in attività una minuscola società indipendente. La Solax Film Corporation fu liquidata e Herbert Blaché si trasferì sulla costa del Pacifico per mettere a disposizione di qualche grossa società il suo lavoro di regista. Quanto ad Alice Guy, divise il suo tempo fra la vita familiare, le università, dove tenne numerose conferenze sulla psicologia femminile e l’esordio del cinema, e la stesura di articoli per dei giornali europei. Qualche anno dopo la morte del marito, ritornò in Europa, fermandosi prima a Parigi e poi a Bruxelles dove sua figlia era la segretaria personale dell’ambasciatore degli Stati Uniti. Durante il breve soggiorno a Parigi, le fu reso un solenne omaggio dalla Cineteca Francese, le furono dedicate delle trasmissioni alla radio e alla televisione e, nel corso di una sobria cerimonia alla Società degli Autori e dei Compositori, ricevette la Legion d’Onore dalle mani di Jean-Jacques Bernard.
Dopo che sua figlia andò in pensione, Alice Guy la segui oltre oceano per vivere i suoi ultimi anni negli Stati Uniti, in una quieta località del New Jersey. Abbiamo potuto parlarle, per l’ultima volta, nel gennaio del 1965. Aveva 93 anni e conservava tutta la sua lucidità e un’entusiasmo ancora vivo per il cinema. Non potendo spostar si come voleva, Alice Guy seguiva con interesse i film trasmessi dalla televisione. Non nascondeva la sua preferenza per i film americani, che amava vedere perché, diceva «in genere sono superiori dal punto di vista qualitativo e dell’ingegno quando non cercano di imitare quelli degli altri Paesi». E aggiungeva in una lettera: «Apprezzo molto i film canadesi sugli animali. Non amo il jazz, né i film che parlano di crimini e di violenza». Purtroppo, le cineteche hanno conservato poco dei suoi film. Schiacciata dalla dirompente notorietà di George Méliès, fu una vittima dell’oblio che copre spesso i pionieri. Ciò non toglie che il suo nome sia indissolubilmente legato all’epoca eroica del cinema. Essa non fu solamente la prima donna regista, ma anche una delle tre persone, con George ‘Méliès e Ferdinand Zecca, che per prime capirono che il cinema non doveva restare, come sostenevano i suoi inventori, uno strumento scientifico, ma che poteva diventare un generatore di gioie e emozioni. Alice Guy può rappresentare un modello per le donne coraggiose che vogliono intraprendere una professione nella quale l’elemento femminile è così raro. La piccola segretaria ha dimostrato che con la forza della volontà e la perseveranza una donna, può vincere gli ostacoli che sorgono contro una vocazione così insolita, e acquisire una fama in un’attività artistica considerata adatta agli uomini. Forse Alice Guy non ebbe tutte le qualità indispensabili per essere una grande artista nel campo cinematografico, e può anche essere che sia giunta troppo presto nella storia di un’arte che ancora era allo stadio primitivo. Alice Guy ha il merito della priorità incontestabile e aprì la strada alle donne che seguirono.
(Introduzione e traduzione dal «Femmes cinéastes» di Charles Ford).