POLEMICHE ESTIVE
sacrificarsi è bello
ormai è di moda, consumare con il gelato o la birra, un po’ di femminismo di seconda mano.
E così il Corriere apre un dibattito estivo con Giovanni Testori il quale sostiene che per le donne “sacrificarsi è bello” e che è “naturale” trascorrere anche le vacanze sacrificandosi per gli altri.
Purtroppo la grande maggioranza delle donne, in vacanza non ci va e questi mesi senza le scuole aperte, con le incursioni di parenti in visita, significano soltanto più lavoro, più ore in cucina sopportate con la convinzione di assolvere al loro “compito naturale”. Ma imbevute della stessa cultura sono anche quelle “che vanno in villeggiatura”.
Quante si sono riconosciute (e per questo il film piacque a tantissime anche digiune di femminismo) nella protagonista di Io sono mia che appena arrivata nella casetta in affitto in cui trascorrerà le vacanze, sorridendo educata e felice, tutta compresa nel “ruolo” si mette a sgobbare mentre il suo compagno corre verso il virile diritto allo svago con pinne occhiali e fucile mentre lei, amorosa, assolve al suo “dovere naturale” di preparare per lui i peperoni-buoni-come-quelli-che-fa-la-sua-mamma? E quando lui sazio ed ebete “la soddisfa” “usandola” brevemente e egoisticamente a complemento dei servizi che lei è destinata “per natura” a rendergli?
Fra queste, caricate di infinite responsabilità con un eterno ed immanente complesso di colpa (di cui la “cultura tradizionale” ha provveduto a fornirle fin dalla prima infanzia), qualcuna forse avrà trovato il tempo per leggere il Corriere. A qualcuna forse, con paterna benevolenza, qualche uomo avrà letto o riassunto, fra divertito e infastidito, qualche brano dell’articolo. Può essere l’inizio di una riflessione. Ha ragione Testori? O invece è l’epigono di una “mistica del sacrificio” che mostra tutta l’interessata ipocrisia di un sesso e di una cultura, che, considerandoli “naturali”, impone alle donne sacrifici, responsabilità, silenzi, di cui nessuno deve ringraziarle perché “per esse il massimo della realizzazione è di vivere in funzione degli altri”? Forse, chissà, per tante che si dichiarano antifemministe e felici della loro condizione, può essere stato uno shock salutare, sentirsi sbattere in faccia “per le donne il massimo della bellezza è vivere anche le ferie al servizio degli altri”.
Nel dibattito è intervenuta Ida Magli, la quale però, dopo aver contestato il “dato” della naturale vocazione della donna al sacrificio e dopo aver giustamente rivendicato alle donne il diritto, se così fosse, di passare “dalla natura alla cultura”, ha sostenuto che la cultura ebraico-cristiana non ha nessuna responsabilità né nell’invenzione né nella conservazione forzosa di questa “immagine” della donna. In realtà basterebbero le liriche (o deliranti?) espressioni di Testori a dimostrare che “la cultura” dell’ideologia cristiana, storicamente utilizzata ad asservire le masse al potere dei Re e dei capitalisti, sia tuttora l’instrumentum regni dell’uomo, sia cioè utilizzata per mantenere la donna nella “schiavitù del ruolo”.
Ma Ida Magli dice che contrariamente a quanto “di solito ritengono anche le femministe, il Cristo dei Vangeli per quanto riguarda il comportamento verso le donne, si discosta non solò dalla cultura del Vecchio Testamento, ma anche da tutte le altre culture”.
Il fatto è che invece, a parte certi atteggiamenti rivoluzionari ed anarchici che ne spiegano il fascino e la popolarità, il Cristo dei Vangeli inizia una cultura sessuofobica destinata a demonizzare e a svalutare la donna, Cristo secondo i Vangeli predica l’ascetismo. Egli disse: “alcuni nascono evirati e sono fortunati, altri si fanno evirare per guadagnare il Regno dei Cieli». Origene si evirò.
Tertulliano sostenne tra l’altro, che il celibato deve essere preferito “anche se perisse il genere umano”. Sant’Agostino scrisse che i celibi risplenderanno in Cielo e San Girolamo sostenne che anche il matrimonio è peccato: tutto quello che si può fare è renderlo indissolubile. San Paolo, esportando in Occidente una cultura orientale, scrisse agli Efesi: “gli uomini sono i signori della donna”, e ai Corintii: “l’uomo è l’ immagine della gloria di Dio e la don-la la gloria degli uomini” — e ancora: “non si permetta a una donna di educarsi e istruirsi, esse deve ubbidire, servire e stare tranquilla”. Come si fa a sostenere con Ida Magli “che per Cristo uomini e donne sono uguali, perché tutti figli di Dio»? Con orientalizzazione della cultura, legata all’espandersi del Cristianesimo, ucciso l’eros, demonizzata la donna (impura, creatura del diavolo, senza anima ecc.), con l’atto sessuale ridotto a funzione riproduttiva, cresce la mistica della maternità e del sacrificio che troverà poi — fino all’odierno Testori — infiniti poeti e corifei, Il demone-donna si fa santo con la maternità, e solo la maternità e il sacrificio redimono la Eva peccatrice. E la donna sempre più chiusa nel privato (perfino nel tempio, come le ebree, le cristiane sono segregate) viene privata della disponibilità del corpo’ e della mente: alle donne greche e romane non era interdetto l’aborto! Né la cultura. Anche se escluse dal pubblico — ed è questa l’alienazione subita dalle donne già prima del cristianesimo — non erano però costrette dalla religione al rango di coniglie-schiave-silenziose.
Ida Magli poi sostiene che il fatto che il messaggio di Cristo “non vincola le donne al dato naturale” della fattrice — a patto di rinunciare all’amore e alla sessualità — spiega il fenomeno del monachesimo mediante il quale numerose donne si sarebbero sottratte alla schiavitù domestica. A parte che mi sembra azzardato mostrare di ritenere che il monachesimo sia fenomeno che nasce col cristianesimo, come si fa a dire che “esse si rifiutavano così di essere strumenti di comunicazione e di alleanza fra gli uomini”, quando sappiamo bene che le “vocazioni” sono state, nella grande maggioranza dei casi, mostruose imposizioni (c’è tutta una letteratura sulle
monache che non è lecito ignorare) del maschio padrone-padre, marito, feudatario, vescovo, re ecc., in cui ancora una volta, per l’appunto le donne venivano usate come strumento di comunicazione e di alleanza? E quando si è trattato di “fughe” dal matrimonio e dalla maternità, non dimentichiamo che per la religione cristiana, se era necessario scegliere fra la vita della madre e quella del bambino, era la donna a essere sacrificata (S. Tommaso ecc.)!
E non è neanche vero che la la disposizione ai sacrificio, la dedizione perdono col rifiuto del matrimonio e della famiglia il loro dato naturale”. Anche qui un’abbondante letteratura religiosa e poetica si incarica di fare di tale missione un prolungamento dell’immagine femminile: sono preti o suore quelle sottopagate e sfruttate creature che sono “gli angeli delle corsie”? Infine Ida Magli scrive che malgrado che le femministe in questi anni abbiano detto e ripetuto che “sarebbe necessaria una cultura del tutto diversa in cui la dolcezza, l’amore e la carità non fossero più caratteristiche precipue e “naturali” delle donne” tuttavia “vincere la violenza del mondo appare impossibile”.
E certo lo sarà fino a quando ci si rifiuta, come accade a lei, di guardare in faccia la verità!
Per sconfiggere una “cultura” bisogna individuarne la matrice senza complessi e remore. E’ necessario che le donne e in particolare quelle che come lei hanno la responsabilità di formare l’opinione pubblica, vincano le contraddizioni che ancora le impacciano e smettano di perpetuare le mistificazioni nascondendo agli occhi delle altre la verità con cortine fumogene che consentono la sopravvivenza di “valori” in nome dei quali sono stati commessi tanti crimini contro le donne.