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Il 20 marzo ha avuto inizio in tutta Italia la raccolta delle firme necessarie per poter indire otto referendum abrogativi di leggi militariste, clericali ed autoritarie, già depositati nei mesi scorsi in Corte di Cassazione dal Partito Radicale che ne è il promotore.
La procedura consente un tempo di raccolta di tre mesi: perché la campagna possa quindi essere portata avanti, al 20 giugno i quattro milioni di firme utili (500.000 per ogni referendum) dovranno essere già stati raccolti. Per quali aspetti l’iniziativa dei radicali può trovare il consenso delle donne e, in particolare, delle femministe? A mio avviso, queste, in linea di principio, dovrebbero essere interessate a tutto il pacchetto dei referendum. Se li esaminiamo ad uno ad uno, infatti, vedremo che: il I ed il II (in materia concordataria) colpiscono l’invadenza clericale che è stata storicamente una delle cause fondamentali della soggezione sociale della donna; il III ed il IV (sui codici militari) colpiscono il militarismo che è stato ed è l’espressione più odiosa del potere maschile e dei suoi esiti sanguinari;
il V (riguardante l’ordine dei giornalisti) colpisce l’egemonia corporativa della classe giornalistica, composta, come ogni classe dirigenziale, prevalentemente da maschi; il VI ed il VII (libertà di informazione e di antenna) colpiscono il monopolio televisivo e la manipolazione dell’informazione che sono stati e sono uno strumento fondamentale del condizionamento psicologico delle masse femminili ad opera del potere maschile;
l’VIII (alcuni articoli del Codice Penale) soprattutto, perché vuole eliminare una serie di articoli del Codice «Rocco», che hanno soppresso e sopprimono fondamentali diritti della donna e dell’infanzia in campo educativo e sessuale.
E’ evidente, quindi, che quest’ultimo referendum investe più direttamente le masse femminili. Basti dire che da un suo successo potrebbe scaturire l’eliminazione della ‘egge criminale contro l’aborto, che condanna le donne ad una condizione di delinquenza fittizia, di angoscia e di rischio sanitario quando addirittura non alla morte. Dipende dall’irresponsabilità della nostra classe politica se in Italia ogni anno milioni di donne ricorrono all’aborto nelle condizioni inumane che conosciamo. Una concezione più civile della donna, svincolata dall’oppressione medioevale dell’apparato clericale, permetterebbe una organizzazione capillare della diffusione dell’informazione contraccettiva e l’istituzione di consultori gratuiti, nonché l’introduzione nelle scuole dell’educazione sessuale, sistematicamente ignorata dagli apparati di potere.
Questa situazione di voluta noncuranza, consente, come è emerso da un’inchiesta condotta da alcune femministe, che l’educazione sessuale in alcune scuole venga impartita dall’insegnante di religione (quasi sempre un sacerdote) con quali esiti si può immaginare.
Oltre all’abrograzione del reato d’aborto l’VIII referendum mira ad eliminare altre leggi che hanno lo scopo principale di tenere la donna in una condizione di sottosviluppo psicologico e farne oggetto di violenza fisica e psichica:
a)l’estinzione dei reati contro la moralità sessuale con il matrimonio (il cosiddetto matrimonio di riparazione);
b)l’attenuazione di pena per la violenza esercitata quale presunto mezzo di correzione;
c) il delitto d’onore.
Aderire all’iniziativa radicale contro il regime autoritario, clericale, patriarcale e misogino, potrebbe rappresentare, quindi, per le femministe una occasione di lotta e di incontro con le altre donne per prendere coscienza della comune oppressione.
Ribadita la priorità assoluta per la donna dell’VIII refendum, per parte mia vorrei richiamare l’attenzione sul VII referendum che da un punto di vista psico-politico non è da trascurare: l’abolizione del monopolio TV via cavo. Beninteso è questa solo una riforma parziale perché soltanto l’abrogazione del monopolio televisivo di regime in atto nel nostro paese risolverà la questione dell’informazione. Ma sarebbe già un grosso passo avanti lo sviluppo di reti alternative cavo. L’importanza di questo referendum, a mio parere, sta nel fatto che la radice prima della soggezione sociale della donna deve ricercarsi nel condizionamento psicologico a questa imposto dai sistemi educativi e dai modelli comportamentali tradizionali. Ebbene per spezzare o, comunque, contestare validamente questi modelli e sistemi, l’unico strumento adeguato, su scala di massa, è appunto la televisione in un paese, ove, notoriamente, solo una minoranza esigua della popolazione legge i giornali. Inoltre il piccolo schermo, come purtroppo abbiamo potuto imparare a nostre spese, ha una capacità di penetrazione e di suggestione infinitamente maggiore di quello di altri strumenti. E’ quindi abbastanza ingenuo ritenere che sia possibile raggiungere e risvegliare le masse popolari femminili se non si strappa ai clericali, agli autoritari, agli androcrati in genere, il monopolio dell’informazione televisiva.
Giustamente — come dice Simone De Beauvoir — la libertà della donna comincia nell’utero, ma è altrettanto vero che può finire sul piccolo schermo.