artemisia pittrice in roma

…è bello riportare a galla esistenze femminili culturalmente significative e tentare di ricostruire la storia della donna nell’arte.

maggio 1978

«il nome di donna fa stare in dubbio finché non si è vista l’opera ma farò vedere a V. S. che cosa sa fare una donna» scriveva, irruente e fierissima, nel lontano 1649, la pittrice Artemisia Gentileschi ad un suo cliente, don Antonio Ruffo. E sempre a lui diceva per fugare ogni dubbio sulla sua abilità: «Ill.mo S.r. Mio l’opere saran quelle che parleranno…» e ancora: «lei vedrà in effetti che questo talento che me ha dato Iddio de questa poca vertù la spenderò in qualche parte».
Artemisia Gentileschi romana, Sofo-nisba Anguissola di Cremona, Lavinia Fontana di Bologna come Elisabetta Sirani, Fede Galizia di Milano, Giovanna Garzoni di Ascoli Piceno, Giulia Lama veneziana come Margherita Caffi e Rosalba Carriera.

riscopriamo le donne in arte
Dal Cinquecento al Settecento in Italia è una vera esplosione di protagoniste in Arte figurativa quasi che dopo il genio di Giotto, di Raffaello, di Michelangelo sia stato possibile anche alla genialità femminile trovare un suo spazio, seppur piccolo, ed esprimersi.
È bello riportare a galla esistenze femminili culturalmente significative sconosciute o dimenticate, e tentare, dopo il silenzio, durato troppo a lungo, di ricostruire la storia della donna in Arte.
Prima di Sofonisba, di Lavinia, di Artemisia e di Elisabetta altre donne si cimentarono in pittura ma della loro vita non sappiamo quanta parte ha la verità quanta la leggenda; così della loro creazione, non possiamo, perciò, definirle, almeno per ora, personalità artistiche. Di Caterina De Vigri nata a Bologna nel 1413 e vissuta nella solitudine del chiostro si racconta, per esempio, della sua abilità nel disegno, nelle lettere nella musica. Ed ella fu «di tanta virtù» da essere, dopo la sua morte, proclamata santa. Stracolmo di fervore mistico è il libretto che lasciò morendo: «io, Caterina, poverella bolognese, da me stessa soprannominata cagnuola, per divina ispirazione scrissi di mia propria mano questo libricciuolo, e in vita mia non l’ho mai manifestato a persona che sia». Cantava, suonava, scriveva «meglio di ogni altra della città» (che è sempre Bologna), nei primi del 500, Properzia De Rossi. Predilige la scultura.
Di lei, il critico Vasari, disse: «Fu giovane e virtuosa non solo nelle cose di casa ma in infinite scienze». Prima di Caterina e di Properzia altre donne ancora crearono: nei monasteri, nelle lunghe giornate d’inverno, nelle calde giornate d’estate, chine a ricopiare i manoscritti, a dipingerli, chine a ricamare arazzi per la chiesa o per i regnanti del tempo. Poco di loro sappiamo, nulla della loro arte ci è rimasto. Erano ricche. I loro padri nobili e mercanti, avevano deciso la loro segregazione a vita. Erano colte.

donne colte in convento
Nei conventi ebbero possibilità di studio: così impararono a scrivere, a leggere, a decorare i manoscritti che pazientemente ricopiavano. Battagliere ed intrepide le prime donne di professione artistica Sofonisba, Lavinia, Artemisia e le altre (essere pittrice per una donna di allora significava, non dimentichiamolo, uscire dal modello sociale imposto, significava studiare e poi viaggiare, andare a vedere i grandi capolavori nei centri d’arte Roma, Firenze, Bologna, Milano, Venezia, significava saper contrattare con i clienti) esse cercarono e ottennero l’affermazione. Come risulta dai resoconti dei cronisti del tempo esse raggiunsero la celebrità. Era tempo felice per l’arte, era quindi possibile che, occasionalmente, il soave spirito divino potesse «toccare» una donna, da sempre creatura inferiore! In onore di Elisabetta Sirani, alla sua morte, (avvenuta in circostanze oscure, lei aveva solo 26 anni) fu eretto un grandioso catafalco. La Fontana riuscì ad ottenere, primeggiando sui tanti colleghi maschi, la commissione per un quadro di altare in San Paolo fuori le mura. L’Anguissola fu chiamata dalla corte di Madrid. Regnava Filippo II e lei fu la dama preferita della regina Elisabetta di Valois. Vi si recò accompagnata da due gentiluomini, due dame, due servitori. Costituiva un’attrazione per una corte una donna pittrice. Curiosità! Meraviglia! In una lettera scritta da Andrea Cioli nel 1614 a Pietro Guicciardini leggiamo a proposito della Gentileschi: «si è sparsa qua una voce quasi pubblica che il S. R. Horazio Lomi de’ Gentileschi sia uno de i più eccellenti et famosi pittori, che si trovino oggi in co-testa alma città, il che vien qui tanto più facilmente creduto in considerazione dell’opere che nella medesima riflessione si veggono della s.ra Artemisia sua figliola…» Non è questo l’unico caso di una figlia che supera in bravura e… in fama il padre pittore. Lavinia Fontana, prima di sposarsi era già una professionista e suo marito, si racconta, era il sartore delle sue figure. Il padre di Elisabetta Sirani non voleva che la figlia facesse la pittrice. Poi si ammalò di gotta, lei lo sostituì e con il.suo lavoro mantenne la famiglia. Sofonisba in Spagna pittrice di corte, assicurò a suo padre nobile provinciale, un sostanzioso reddito. Nella bottega del padre Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi, Fede Galizia, Elisabetta Sirani appresero il mestiere. Era certamente più facile per una donna che aveva attitudini al disegno perfezionarsi se il padre era un pittore!
All’Anguissola e alle sue sorelle insegnò un maestro di Cremona. Il padre della Gentileschi nel desiderio di dare alla figlia una preparazione più completa fece venire un insegnante. Nonostante la presenza di una dama di compagnia questi la violentò. Ne nacque un famoso processo. Elisabetta Sirani a 17 anni aveva già elencato in una lista i lavori che aveva fatto. Sofonisba Anguissola si dipinse con un libro fra le mani a 14 anni, Giovanna Garzoni, sedicenne, firmò un quadro della Madonna. Fede Galizia a 12 anni aveva già dato prova della sua abilità. Aveva 16 anni Artemisia Gentileschi quando fece «Susanna e i vecchioni». Precocità! Genialità! Diciamolo finalmente! «Il cesto di pesche», un dipinto della milanese Fede Galizia, è considerato uno dei primissimi esempi di pura natura morta in Italia: solo «Il cesto di frutta» del Caravaggio è precedente. Artemisia Gentileschi si espresse in imponenti tele dal tema mitologico e religioso. In molte chiese milanesi si possono vedere i lavori di Fede Galizia e a Giulia Lama le guide veneziane attribuiscono molte pale d’altare. Era, quest’ultima, un po’ ribelle dato che fu la prima, nel 700, a rompere con la tradizione che vietava alle donne artiste lo studio, su modelli, del nudo maschile. Sceglie di non sposarsi; Scelta di Raffaello, di Leonardo, Michelangelo che non stupisce; se fatta da una donna è fuori dalle regole. È stravaganza.
Interprete ideale della mondana e raffinata società dei primi del Settecento è ‘Rosalba Carriera mentre Giovani” Garzoni si esprime in delicate nature morte su pergamena. Lasciata la sua casa di Ascoli Piceno Giovanna fece ciò che da sempre facevano i suoi colleghi maschi: studiò. A Venezia, a Roma, a Napoli e poi si fermò a Firenze. A Sofonisba Anguissola che visse nel secolo XVI e a Lavinia Fontana che morì nel 1614 i clienti chiedevano soprattutto autoritratti. Una donna che dipinge era una eccezione, così desta curiosità!
All’Anguissola i critici rimproveravano di non saper guardare al di là del suo specchio. Allora lei, per provare che sapeva fare di più e di meglio, rappresentò le sue sorelle che giocavano a scacchi. Quadro che divenne argomento di conversazione nei salotti. Se pur, come abbiamo visto, celebrate e geniali, il giudizio da parte dei signori teorici nei confronti di queste prime donne di professione artista, contiene sempre un so che di limitato. Un moto di perplessità lo accompagna, un senso di stupore lo caratterizza. Sono donne quindi diverse quindi inferiori. Composizioni grandi, piene di figure, ambiziose, ricche di novità formali non sono per loro.
«Alle donne non è mancato l’intelletto, ed è risaputo che quando sono ben istruite sono capaci di eccellere, però il Signore non ha dato loro la proprietà del giudizio ed ha fatto ciò per renderle sottomesse all’uomo».
Eccelle in nature morte Margherita Caffi. Sono molte a partire dal Seicento tra fiamminghe, olandesi, francesi le pittrici che si dedicano accanto alla ritrattista alla natura morta. Un genere fu stabilito molto femminile, il soggetto storico… così complicato è… invece maschile. Ecco che allora un po’ alla volta anche per motivi di ordine pratico (leggi: famiglia, gravidanze, difficoltà di spostamento) lo spazio per la donna si restringe. Ma è questo un discorso che riguarda altri secoli.
Leggiamo invece le considerazioni sul lavoro di Lavinia Fontana, la pittrice bolognese famosissima nella sua città e a Roma dove si stabilì su invito del Papa. «Le cose di Lavinia sono valutate in tutta Italia, e, se è vero che tali cose non hanno l’eccellenza ed // valore di quelle stesse cose fatte dagli uomini, dato che sono fatte da una donna che ha lasciato le cose che meglio le si addicevano, sono lodate per buone ragioni…».
«Non meno preziosi perché fatti da mano di donna sono quei pochi pezzi di altare che si possono vedere in alcune nostre chiese…». Un cliente parlando dei quadri di Lavinia che possedeva, rivolto ad amico, scrive: «Come lavoro di donna sono da lodare».
Una morte oscura lega alla leggenda Artemisia Gentileschi ed Elisabetta Sirani ambedue per certi versi le più vicine a noi. Artemisia violentata. Studiose americane hanno messo in luce come tale drammatica vicenda sia presente nella sua opera, nell’intensità espressiva delle sue eroine: Giuditta, Susanna, Cleopatra, Diana, Ester… Elisabetta che dipinse prevalentemente figure femminili. «Pennello lacrimato» fu definita la sua arte. Ma accanto alle sue serafiche Madonne, alle sue Maddalene e Sibille eteree ecco una Giuditta trionfante, una Timoclea, fuori dai canoni, che si ribella ai suoi aggressori.