sul lavoro a domicilio

«dobbiamo lottare perché sia rifiutata la logica di un lavoro che ci isola nelle nostre case e ci rinchiude senza possibilità di uscita nel ruolo di donna-sposa-madre».

maggio 1978

nel campo del lavoro la donna è sera-pre stata una forza-lavoro di riserva mobilitata nei periodi bellici e nei periodi di forte espansione economica cacciata nelle case, a quel lavoro domestico mai riconosciuto né retribuito che tutte facciamo da sempre, nei periodi di crisi economica. In questi periodi i nostri effettivi spazi occupazionali, rimangono più che mai chiusi nell’ambito del lavoro sottopagato e precario, che l’uomo anche oggi non intende accettare alle nostre condizioni. Del resto, noi donne, costrette ad un lavoro domestico, che ci fa dipendere sempre e comunque da coloro che portano in casa un salario, siamo pronte ad accettare una qualsiasi forma di lavoro che ci consenta di avere comunque dei soldi nostri, sottraendoci alla nostra atavica «improduttività».
Del resto, anche la dequalificazione professionale che caratterizza la nostra condizione sul lavoro, la assoluta cadenza dei più elementari servizi sociali, unita alla necessità di svolgere comunque la nostra mole di lavoro domestico come figlie, mogli, madri, sorelle, contribuiscono a far sì che un numero sempre maggiore di noi donne sia costretto ad inserirsi nella spirale di un lavoro come quello a domicilio, precario, sottopagato che viene comunque ad aggravare la nostra condizione di isolamento e di sfruttamento. Partendo da questa che è oggi una realtà per tante di noi, realtà su cui molti si prodigano con studi e statistiche sempre più complesse, vogliamo esaminare quanto sino ad oggi è stato fatto, in sede legislativa e sindacale, per risolvere il problema del lavoro a domicilio e in che misura noi donne possiamo incidere su questa realtà di isolamento e di sfruttamento che ci indebolisce tutte. È del 1973 la legge che ha voluto regolare per la prima volta in modo compiuto tutti gli aspetti di tale -rapporto di lavoro.
Le garanzie che noi donne dovremmo ricevere da questa nuova normativa dovrebbero essere ad esempio:
1 – il riconoscimento di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato e conseguente diritto delle lavoranti a domicilio di ricevere tutte le indennità di straordinario, di anzianità e accessori, nonché gli assegni familiari e tutele previdenziali;
2 – l’obbligo da parte del datore di lavoro di denunciare le donne che lavorano a domicilio per lui, speciali commissioni costituite per la tutela e il controllo di tutto lo svolgimento del rapporto di lavoro a domicilio;
3 – l’inserimento dei sindacati nelle commissioni di controllo del lavoro a domicilio;
4 – il divieto assoluto di ogni forma di intermediazione attraverso mediatori o intermediari che possano in qualche nodo permettere al datore di lavoro ai non comparire personalmente nel rapporto;
5 – il divieto di qualsiasi attività in cui siano impiegate sostanze nocive per la salute delle lavoranti a domicilio;
6 – la previsione di sanzioni penali per le ipotesi più gravi di violazione della formativa sul lavoro a domicilio. Ma purtroppo, la legge, per la macchinosità di tutto il sistema di controlli creato, non potrebbe raggiungere il suo scopo, anche se ci fosse una effettiva volontà politica di applicarla. Non solo ma risente di incrostazioni ideologiche arretrate, come ad esempio all’art. 1 che prevede la possibilità dell’aiuto accessorio dei membri della famiglia del lavoratore a domicilio, conviventi ed a carico, istituzionalizzando così una ulteriore forma di lavoro nero nei confronti di queste persone (bambini, anziani, invalidi) le cui prestazioni lavorative restano prive di qualsiasi riconoscimento o tutela. Ancor più grave la previsione dell’art. 8, in cui si sancisce quale unico parametro di retribuzione il cottimo pieno, cioè retribuzione direttamente commisurata alla quantità di lavoro prodotto, con l’esclusione del principio affermato non solo dall’art. 36 della Costituzione ma ormai da tutta la legislazione più recente che comunque ha eliminato questo sistema, a favore quanto meno del cosiddetto cottimo misto (paga base minima + cottimo).
Ma al di là di queste considerazioni sulle carenze della legge, la realtà, a cinque anni dalla sua entrata in vigore, è ben più drammatica, nulla infatti è cambiato nella condizione delle lavoranti a domicilio.
— Nessuna lavorante a domicilio, oggi, percepisce un salario che rispecchi le tariffe del cottimo pieno, né gode di una quasivoglia forma di assistenza previdenziale.
— Le commissioni di controllo non sono mai state costituite, se non formalmente.
— I mediatori continuano la loro o-pera di sfruttamento e di speculazione ai danni delle lavoratrici. — Nessun giudice penale ha condannato i datori di lavoro per le continue violazioni alla legge sul lavoro a domicilio.
Per questo noi donne che non riconosciamo né deleghiamo più a nessuna organizzazione che non sia il movimento delle donne, la tutela dei nostri bisogni, dobbiamo prepararci allo scontro su questo terreno. Dobbiamo lottare perché sia rifiutata la logica di un lavoro che ci isola nelle nostre case e ci rinchiude senza possibilità di uscita nel ruolo di «donna-sposa-madre» per cui è comodo poter lavorare senza dover lasciare il focolare domestico. Per questo sentiremo sempre estranea e contro di noi una legge che regola questo lavoro e che non fa che stigmatizzare la nostra debolezza e la nostra incapacità nel gestire i rapporti di forze nel campo del lavoro. Questa lotta può avere una speranza, può essere un modo di uscire dal nostro isolamento solo se sarà gestita da tutte noi a livello istituzionale. Dobbiamo avere la forza ed il coraggio di denunciare tutto lo sfruttamento ed i soprusi di cui siamo vittime nelle nostre case anche attraverso il lavoro a domicilio.
Dobbiamo invadere con la nostra azione l’istituzione-giustizia, affinché il potere sia costretto a farsi carico dei nostri problemi e dal nostro bisogno di spezzare il nesso lavoro a domicilio – lavoro nero – lavoro domestico. Dobbiamo utilizzare questa legge che oggi deve divenire per noi uno dei campi di mobilitazione e di lotta per la liberazione di tutte noi dalla nostra condizione di emarginazione.