i ruoli

la rivoluzione dell’uguaglianza

giugno 1975

 

Se la lotta ai ruoli sessuali, la «rivoluzione dell’uguaglianza» come qualcuno l’ha chiamata, solleva… grossi interrogativi sul futuro dei bambini che vivranno questo nuovo tipo di socializzazione, essa non sembra poter mutare granché nel rapporto attuale tra l’uomo e la donna.

Solo la nostra maturità politica potrà impedire che questo nuovo gioco delle parti non sia una ripetizione della vecchia commedia.

Iniziata tra i ceti medi delle società che rappresentano le punte più avanzate del capitalismo, la messa in discussione dei ruoli sessuali si estende anche da noi. In Italia il fenomeno interessa, per il momento, solo alcune famiglie delle categorie privilegiate come gli intellettuali e i professionisti, dove maggiori sono gli strumenti culturali a disposizione, più grande il risentimento provocato da un contesto sociale esterno sempre meno stabile e rassicurante, e quindi più forte la spinta a rifugiarsi in una relazione di coppia più intima e gratificante come è quella garantita dal moltiplicarsi delle attività congiunte tra maschio e femmina.

Ma cosa nascondono e quali conseguenze avranno le nostre richieste: lavatevi i calzini, fatevi da mangiare, curatevi dei figli che sono anche vostri, oltre a rappresentare la protesta e la denuncia di una funzione, la nostra, funzionale a tutti fuorché a noi stesse? I limiti quantitativi e qualitativi della tendenza alla sdifferenziazione dei ruoli sessuali all’interno della coppia sono chiari: quantitativamente la differenziazione è possibile, almeno in questo momento, solo per quelle famiglie che non solo, come abbiamo notato sopra, posseggono gli strumenti concettuali e quindi ila maturità culturale per sentire questa esigenza, ma in cui il compagno-marito-padre dispone di sufficiente tempo libero da trascorrere all’interno delle mura domestiche. Sono quindi escluse dalla tendenza le famiglie proletarie, nelle quali infatti la divisione dei compiti tra marito e moglie rimane ben netta: il marito esce di casa ogni mattina per andare a lavorare e vi rientra la sera per mangiare davanti al televisore, mentre alla moglie rimane tutto il peso della casa e della cura dei figli. I limiti qualitativi della sdifferenziazione sono definiti dallo stesso modo di produzione capitalistico e quindi dalla divisione del lavoro che il sistema impone, tra le classi sociali come tra i sessi.

La coppia borghese è dunque l’unica che può porre in atto, a tutto vantaggio, il processo di sdifferenziazione, che diventa anzi l’unico modo per superare, o quantomeno per attutire, nell’immediato, i crescenti conflitti che confrontano maschi e femmine, e quindi la coppia e la famiglia: la frustrazione dell’individualità e dei suoi valori, ‘la mancanza di obiettivi, la perdita di senso del sé e della vita, l’isolamento del nucleo famigliare, la mancanza di aiuti esterni per tirare avanti un ménage il cui carico di lavoro non accenna a diminuire. Bene quindi per la coppia (se c’interessa salvare questo rapporto), e i figli?

Il sociologo americano Parsons sostiene che la differenziazione del ruolo tra i genitori facilita l’identificazione del bambino con il genitore dello stesso e che tale differenziazione è essenziale per lo sviluppo di una personalità «normale» nel figlio. Secondo questa interpretazione una madre permissiva, che dà affetto e sostiene, e un padre negatore, esigente e perfetta impersonifìcazione dell’autorità esterna, favorirebbero la formazione di una personalità equilibrata nei figli. Sarebbe insomma più facile per il figlio maschio (poiché il problema per Parsons, è chiaro, si pone solo a questo livello), identificarsi con un padre severo che non con un padre permissivo. La psicanalisi, sia detto per inciso, è d’accordo con questa interpretazione, allorché fa dipendere il superamento del complesso edipico del maschio dalla paura che il figlio avrebbe di essere castrato dal padre. Sul piano pratico varie ricerche hanno però dimostrato che l’identificazione del bambino avviene con il genitore meno frustrante e comunque che la possibilità che il bambino ha di formarsi un’immagine di sé equilibrata, esiste solo se gli atteggiamenti dei genitori sono abbastanza simili, e cioè non si scontrano spingendo il bambino verso orientamenti particolaristici che lo porterebbero in conflitto nella percezione di se stesso. Sembra anche che i bambini meno ansiosi provengano da famiglie con genitori a ruolo meno rigido e che anzi l’interiorizzazione dei valori parentali avvenga più facilmente laddove disciplina e educazione hanno la stessa matrice. Se quest’ultima interpretazione è vera, ne deriva che la spinta alla sdifferenziazione dei ruoli maschio-femmina avrebbe una doppia funzione: da una parte il maschio-padre troverebbe all’interno del nucleo famigliare un sostitutivo al ruolo e al potere che il sistema sociale più ampio in questo momento gli nega, dall’altra il con concetto di autorità troverebbe il modo di reintrodursi nel rapporto coi figli e quindi nei processo di socializzazione, sebbene in forme meno scoperte e drammatiche. Ma non è tutto. Le ricerche ci descrivono la personalità dei figli socializzati da genitori non differenziati come caratterizzata da ciò che viene definito un «lo mutevole», cioè da un concetto del sé basato non sull’identificazione con le strutture sociali e le istituzioni dominanti, ma sulle esperienze fenomenologiche del soggetto, che sarebbe incline a trascendere la frammentazione, a assorbire il conflitto, a riparare il frazionamento esterno. Questo tipo di personalità sarebbe essenzialmente intuitiva, introspettiva e riflessiva, tesa a separarsi da quei gruppi permanenti che tradizionalmente forniscono valori già pronti. Questa descrizione apre due alternative, poiché, se da un lato lascia intravedere un futuro popolato da individui pieni di possibilità inesplorate e potenzialmente in contraddizione con il potere costituito, dall’altro solleva il rischio di un’involuzione sociale crescente. Non si può non notare, infatti, come tale tipo di personalità, chiaramente disfunzionale all’attuale modello di divisione del lavoro, sia invece estremamente funzionale a quel processo di emarginazione progressiva delle forze produttive che sembra diventato imperativo per un sistema che deve fare sempre più ricorso alle macchine per sostituire una forza-lavoro diventata troppo costosa. Se la personalità a «lo mutevole», insomma, predispone chi la possiede all’accettazione dell’emarginazione, al distacco e al disinteresse per il potere, essa può anche comportare l’abdicazione alla gestione dei conflitti sociali e quindi il rifiuto di assumere un ruolo politico. Se ciò si verificasse, i bambini socializzati da genitori sdifferenziati sarebbero destinati a ingrossare le fife degli emarginati-consumatori, secondo uno schema di assorbimento

del conflitto che il sistema sta già mettendo in atto da tempo con le donne, gli anziani e le forze di lavoro giovanili,

E’ chiaro allora come la nuova figura del «madro» e del «casalingo» si dimostrino estremamente funzionali al sistema del maschio e al maschio del sistema: il «madro» altro non è che un tentativo di rendere più amica la figura del padre sostituendo al padre non gratificante del passato, punto di concentrazione dei sentimenti ostili del gruppo famigliare, la presenza amica di un’autorità più facilmente interiorizzabile, mentre la migliore identificazione con i genitori così ottenuta, e la maggiore introiezione dei loro valori, sembrerebbero estremamente funzionali ad un periodo di mutamento qual è il nostro, un momento cioè ih cui il potere esterno, bisognoso di ristrutturarsi e di imporre nuove forme di dominio, ha bisogno di personalità duttili che lo seguano In questo processo di riadattamento.