Difenderla per conservarla, migliorarla, per non abortire mai più clandestinamente

novembre 1980

LA LEGGE 194/78 SULLA TUTELA SOCIALE DELLA MATERNITÀ’ E L’INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA

 

« Effe » ha fatto parte del coordinamento nazionale per l’applicazione della legge 194/78 fin dal suo nascere all’indomani dell’approvazione della legge. Publichiamo alcuni articoli elaborati collettivamente dal coordinamento per fornire materiale di supporto a quante si impegneranno nella difesa della legge.

 

Il tema dell’aborto, sollevato in Italia e in Francia da gruppi femministi e settori radicali, e poi gestito da un largo schieramento politico che ha prodotto la legge 194/78, è stato negli ultimi tempi, alquanto trascurato da una parte delle donne. Le donne rimproverano alla legge, oltre a gravi lacune reali (il problema delle minori, l’estensione dell’obiezione di coscienza) l’ottica ipocrita che obbliga le donne a subire prospettazioni e fornire giustificazioni, e non l’hanno mai sentita, realmente, come propria, anche se non sono mancati momenti di mobilitazione per ottenerne l’attuazione in molti ospedali.

Tuttavia la situazione attuale appare assai grave. Il coordinamento per l’attuazione della L. 194/78 aveva formulato proposte di un radicale miglioramento della legge. Ma, oggi su di essa è pendente la minaccia della decisione della Corte Costituzionale, ed è contemporaneamente, sottoposta a tre referendum: uno del partito radicale, due del “Movimento per la vita”. Occorre allora impedire, che, per il momento la legge sia cancellata respingendo nella clandestinità, alla mercé dei “cucchiai d’oro” e delle mammane, le donne che, per condizioni economiche e sociali hanno bisogno dell’aborto gratuito nelle strutture pubbliche. Bisogna, allora, trovare momenti di impegno collettivo e aggregare un fronte il più possibile vasto per impedire che sia cancellata questa legge che garantisce autodeterminazione della donna. Le lotte delle donne, in caso di vittoria del “Movimento per la vita” sarebbero ricacciate indietro di decenni, con effetti di frustrazione, di riflusso inimmaginabile.

Cerchiamo dunque di esaminare alcuni aspetti giuridici e sociali, per il dibattito che precederà il voto referendario.

1) La punizione dell’aborto e comunque il suo divieto non possono essere giustificati con la particolare concezione della Chiesa dal 1869 in poi (in precedenza, teologi e papi erano molto oscillanti sul punto: fu Pio IX ad affermare che l’embrione diveniva un essere umano con la fecondazione). Le concezioni religiose di alcuni gruppi di cittadini, in uno stato laico non possono essere imposte a tutti. La legge in generale si propone soltanto di perseguire interessi politico-sociali di varia natura, che nel caso dell’aborto sono stati sempre gli interessi demografici dello Stato. Infatti la relazione al Codice Rocco, usa espressioni del tipo « non sarebbe quindi conforme alle direttive della politica demografica del nuovo Stato Italiano un Codice Penale che non apprestasse tutti i possibili e più energici mezzi dì lotta contro la nefasta azione che mira a sopprimere la fecondazione ». Ma non è men chiaro in altre legislazioni pur inserite in una diversa organizzazione sociale. E’ noto che nei paesi dell’Est europeo, dove pure esiste, almeno dagli anni ’50, il riconoscimento del diritto alla donna all’aborto, con notevole estensione, si verificano continui interventi limitativi, in corrispondenza dell’andamento del tasso di incremento demografico. Ciò è avvenuto in Bulgaria nel 1968 e nel 1973, con modifiche legislative che vietano l’aborto alle donne senza figli o con un solo figlio (salvo casi eccezionali), in Ungheria e in Cecoslovacchia nel 1973. E’ evidente quindi che all’Est come all’Ovest, la donna è ancora vista in gran parte del mondo come riproduttrice, indipendentemente dal suo consenso, e in molti Paesi la sua sessualità non merita alcuna considerazione: come si esprimeva il professor Doleris dell’Accademia cH Medicina francese, nel 1918, il dovere della donna è « partorire, ancora partorire, sempre partorire! Che la donna si rifiuti alla maternità, che essa la limiti, che essa la sopprima, e la donna non merita più i suoi diritti, la donna non è più niente… volontariamente sterile, essa ricade al rango di prostituta, di fille de joie, i cui organi non sono che degli strumenti, dei giocattoli osceni invece di restare il modello augusto, venerabile di tutti i secoli futuri».

2) La concezione dei cattolici tradizionalisti (del resto contraria anche alla contraccezione scientifica) e applicabile anche a molte pratiche contraccettive:-basti pensare alla diffusione, su larga scala, di nuovi prodotti abortivi che non comportano operazioni chirurgiche o intervento medico, come i prodotti acceleratori del flusso o Io stesso IUD. La verità è che nessuna persona di buon senso può accettare l’equazione ovulo fecondato-persona, ma il terrorismo ideologico di certi settori cattolici si spiega con la volontà di imporre, attraverso mediazioni confessionali, una drastica restrizione ad ogni forma di autodeterminazione della donna, che incute paura per la carica eversiva che rappresenta rispetto ad un assetto sociale. Infatti le dichiarazioni ufficiali della Chiesa ammettono che « non ogni trasgressione dì una norma morale deve essere necessariamente perseguita penalmente» ma concludono che « pur riconoscendo la validità teorica di tale principio, neghiamo che, di fatto, le autentiche esigenze del bene comune ne giustifichino — sia pure come male minore — l’applicazione al caso dell’aborto.- la pena ha pure una funzione educativa… Perciò la sua eliminazione nel caso dell’aborto è destinata facilmente ad affievolire, se non addirittura a spegnere, la coscienza dei più circa l’aborto quale crimine contro la vita umana» .(Il diritto a nascere Documento del Consiglio permanente della GEI, 11-1-1972, pubblicato nell’Osservatore Romano del 17-18 gennaio 1972).

3) La sentenza della Corte Costituzionale n. 27/1975 ha affermato che il concepito non può in alcun modo concepirsi persona e non esiste equivalenza tra il diritto alla vita e alla salute della donna, che è già persona, e la salvaguardia dell’embrione che deve diventarlo. Tuttavia, dopo questa esatta
premessa, la Corte arriva ad una soluzione profondamente contraddittoria, ritenendo che il feto sia tutelato mediante richiamo ai diritti fondamentali dell’uomo (art. 2 Costituzione), tra i quali è il diritto a venire in vita. Non si capisce però come si possa contemporaneamente non essere ancora persona ed essere titolare di diritti inviolabili dell’uomo.
E infatti la Corte avverte la difficoltà dicendo che il feto è titolare di diritti in violabili dell’uomo, «sia pure con le caratteristiche sue proprie ».

La Corte non ha però escluso che oltre al diritto alla vita e alla salute fisica e psichica della madre possano esistere altre situazioni che prevalgano sul ed. diritto del nascituro, giustificando l’aborto.

D’altra parte anche la sentenza della Corte, a parte la grave contraddizione rilevata, non si pone un problema assai serio: fra i « diritti inviolabili della persona » dovrebbe pur rientrare quello della donna alla libera disponibilità del proprio corpo e della propria sessualità. Poiché, come abbiamo detto, ìl confine teorico tra contraccezione e aborto è spesso labile, il problema della libertà di abortire non è diverso da quello della libertà di « non concepire » che nessun no, almeno a parole, contesta.

4) Se così è, il problema della liceità dell’aborto, non si può risolvere in termini « religiosi » o filosofici, ma secondo la comune coscienza sociale: lo sviluppo dell’embrione è un processo biologico che termina con la nascita di una persona. Tanto più vicino è il momento della fecondazione, tanto più l’embrione è lontano da ogni parvenza di persona.
Nel processo si deve trovare un punto di equilibrio nel quale prevale incondizionatamente l’interesse della madre, co me estrinsecazione del diritto alla libera disponibilità del proprio corpo. Punto d’equilibrio che la legislazione dei Paesi più evoluti (come del resto la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti), colloca intorno al terzo mese; oltre tale data vengono poi previsti casi particolari nei quali il diritto della madre prevale su quello del feto.

5) L’aborto in Italia, già prima della sentenza della Corte Costituzionale del 1975 e la legge 194/78, nonostante il rigore formale dei divieti e le predicazioni del Papa e della CEI, era ampiamente depenalizzato nella prassi, salvo singoli rigurgiti di attività processuali. Segno evidente che era ormai un fatto accettato dalla coscienza sociale come inevitabile. Per molti anni, di fronte alle centinaia di migliaia di aborti annui si procedeva solo per singoli, eccezionali, eccessi di zelo, per autodenunce politiche, o per eventi drammatici, purtroppo frequenti (morte di donne in seguito a pratiche abortive). Non c’è mai stata alcuna difficoltà nel reperire «cucchiai d’oro» o «mammane» formalmente sconosciuti solo alla polizia. Di fronte a questa realtà, la sanzione penale ha come unico effetto quello di creare «l’aborto di classe» e infatti abortire non è mai stato un problema per le donne della borghesia medio alta.

Di fronte a queste premesse, abbiamo l’incognita dei referendum. Si sono, purtroppo, molto ristretti i margini d’azione per migliorare la legge, perché il Parlamento, per evitarli, dovrebbe emanare una nuova legge conforme alla volontà dei richiedenti. E non è certo possibile fare una legge che sia, contemporaneamente più liberalizzatrice (come richiedono i radicali) e più vicina alla volontà degli aderenti del « Movimento per la vita », che vuole la sostanziale abrogazione dell’aborto e il ripristino della situazione anteriore alla legge 194/78. E’ vero che, nella parte in cui i referendum del « Movimento per la vita » non ammettono neppure l’aborto terapeutico (perché la donna non solo non ha la libera disponibilità del proprio corpo, ma neppure il diritto alla salute riconosciuto a tutti i cittadini dall’articolo 32 della Costituzione!), il referendum diverrebbe inammissibile, ma resterebbero in vigore in tutte le altre. Giuridicamente non c’è, quindi alternativa: bisogna difendere la legge. Il referendum radicale, del resto, non intaccando il nodo dell’obiezione di coscienza e consentendo il libero mercato degli aborti, di fatto riprivatizzerebbe il servizio, ripristinando la discriminazione per le donne meno abbienti. Dobbiamo, invece, pretendere che il servizio funzioni, moltiplicando la vigilanza e lottando per l’istituzione del servizio nei poliambulatori.

Dobbiamo, quindi, far capire cosa c’è dietro tanti « ideali »: la concezione della donna riproduttrice, senza libertà sessuale, senza-diritto alla disponibilità del proprio corpo, senza diritto alla salute. La volontà di ricacciare le donne che hanno bisogno dell’aborto nella clandestinità, nella disperazione, nella dipendenza economica e morale, dal loro partner.