parità? solo sulla carta
E’ iniziata la lunga marcia del femminismo all’interno delle istituzioni comunitarie. La Conferenza di Manchester.
Il lavoro della donna, nelle sue sovrapposizioni con il lavoro domestico e con l’allevamento dei figli, e in generale la questione della distribuzione dei compiti tra i due sessi, non solo all’interno della famiglia, ma soprattutto nelle attività professionali, sono stati al centro della Conferenza organizzata a Manchester il 28-29 e 30 maggio dalla Commissione della CEE con la collaborazione della “Eqteal Opportunity Commission” inglese. L’autorevolezza dell’organismo che ha preso l’iniziativa è pari all’ambizione della Conferenza: quella di formulare “un nuovo progetto europeo per i problemi delle donne”.
A Manchester erano presenti rappresentanti delle commissioni nazionali per il lavoro delle donne o per l’eguaglianza di possibilità e rappresentanti dei ministeri che a vario titolo si occupano d; questi problemi. I documenti di base per la discussione erano stati commissionati a studiose dì vari Paesi. Tra questi documenti vanno ricordati quello su “Innovazione tecnica e occupazione femminile nella CEE; prospettive a medio termine” di J.I. Gershurmy della Università del Sussex; “La segregazione sul lavoro: un serio ostacolo -all’eguaglianza”, di Margery Rovell, della London School of Economics; “Accordi sociali e legislativi che tuttora impediscono la piena partecipazione alla società del lavoro” dì Martine Levy, del Comité du Travail Eéminin di Parigi; e infine “Mutamento degli equilibri fra uomini e donne in materia di responsabilità domestica e lavoro retribuito”, di Hanna Beate Schopp-Schilling dell’Aspen Institute di Berlino.
Nei /tre -giorni di discussione, che in generale hanno visto una comunità di intenti delle varie delegazioni nazionali, sono stati analizzati i progressi conseguiti nei Paesi della CEE in attuazione dei provvedimenti comunitari, ma sono anche state rilevate le carenze ancora esistenti e si è discusso dei modi e delle nuove iniziative per ottenere la effettiva attuazione delle norme comunitarie. Per garantire giuridicamente la parità della donna, la Comunità europea ha emanato tre direttive in materia di lavoro femminile. La prima, del 10 febbraio 1975, riguarda la parità di retribuzione fra lavoratori di sesso maschile e femminile; la seconda, del 9 febbraio 1976, concerne l’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e alle condizioni di lavoro. Una terza direttiva, sulla graduale attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne nel campo della sicurezza sociale è stata emanata il 19 dicembre 1978 e gli Stati membri della CEE hanno tempo fino al 1984 per emanare leggi di adempimento. Queste leggi sono state emanate, per quel che riguarda l’Italia, solo relativamente alle prime due direttive, ma ciò non si è tradotto in nessun significativo cambiamento della diseguaglianza di fatto della donna sul posto di lavoro (Vedi l’articolo di Elena Marinucci sul numero 3/4 1980 di Effe).
In realtà né le leggi di attuazione, né le connesse disposizioni regolamentari ed amministrative, hanno prodotto grandi cambiamenti. In quasi nessuno dei Paesi dell’Europa dei Nove, la legislazione contro le discriminazioni è pubblicizzata. La conoscenza della legge, soprattutto per quel che riguarda la nozione di discriminazione indiretta è, nel migliore dei casi, insufficiente. Le donne, i sindacati, i datori di lavoro non sono in grado nel complesso di rendersi conto di come la legge potrebbe essere utilizzata per attuare il cambiamento. Le procedure per intentare una causa sono lunghe e finiscono per scoraggiare chi vi dovrebbe far ricorso.
Perfino in Gran Bretagna — che ha la legislazione più avanzata e in cui è stata creata una speciale Commissione per garantire alle donne l’eguaglianza di
possibilità, e che autorizza una discriminazione positiva per le donne a livello di formazione e stabilisce norme contro la discriminazione indiretta — le cose sono andate piuttosto a rilento. In quattro anni — rileva nel suo rapporto Margery Povell — la Commissione si è servita in misura minima dei propri poteri investigativi in materia di occupazione e di conseguenza non ci sono state vere e proprie pressioni sui datori di lavoro affinché attuassero dei cambiamenti radicali.
E’ ormai chiaro che la segregazione sul lavoro è il risultato di più fattori collegati tra di loro e ohe, se si vogliono ottenere dei risultati, occorre portare avanti un’azione su più fronti. Non basta emanare delle leggi. Il livello occupazionale delle donne dipende ovviamente dalla congiuntura economica generale. Se permangono gli elevati livelli dì disoccupazione che caratterizzano ormai Ì Paesi della CEE, si smorzerà qualsiasi impulso verso il cambiamento, anche perché i primi settori ad entrare in crisi sono stati, e lo saranno sempre di più, quelli tradizionalmente femminili, quali ad esempio il tessile e l’abbigliamento. Llntroduzione di elaboratori elettronici avrà anch’essa sempre più un’incidenza negativa su alcuni lavori specifici di ufficio e nel commercio, diminuendo la necessità dì impiegare manodopera in attività che sono normalmente riservate alle donne. Le conseguenze dello sviluppo delle nuove tecnologie sull’occupazione in generale e su quella femminile in particolare hanno fatto oggetto — a Manchester — dì preoccupate considerazioni.
In generale il quadro tracciato sulla condizione della donna nel mercato del lavoro, e sulla sua evoluzione recente, è piuttosto scoraggiante e non mostra di aver subito particolari mutazioni nell’ultimo ventennio. In questo periodo, mentre il tasso dì attività della popolazione maschile è andato sistematicamente diminuendo, il numero delle donne aventi un’occupazione retribuita si è accresciuto nella maggior parte dei Paesi industrializzati dell’occidente, più rapidamente della popolazione femminile totale.
Però, guardando con maggiore attenzione i dati, si rileva che a livello europeo questo fatto è dovuto in gran parte all’occupazione delle donne sposate a cui si è accompagnata una maggior durata della vita lavorativa delle donne in generale. In Italia, dove invece nell’ ultimo ventennio la partecipazione femminile alla forza lavoro “ufficiale” è andata diminuendo, si è verificato un massiccio passaggio all’area del “lavoro nero”. In generale molte donne sono andate ad accrescere la fetta di occupazione femminile sottopagata e precaria, accettando retribuzioni basse, orari brevi e condizioni di lavoro mediocri. Se è dunque vero che oggi, sotto la spinta della ventata femminista degli ultimi dieci anni, un certo numero di donne occupa posti di lavoro dai quali in precedenza erano escluse, è pur vero che continuano ad esistere lavori “maschili” e lavori “femminili”, e non è scomparsa la segregazione delle donne sul lavoro, in senso sia “verticale” (cioè per livello della gerarchia aziendale), ohe “orizzontale” (cioè per tipo di occupazione). I motivi di tale segregazione sono di carattere economico, sociale e strutturale e non sono facilmente eliminabili; anzi gli argomenti che di solito vengono addotti sulla forza fìsica e il lavoro prioritario della maternità sono utilizzati strumentalmente per rafforzare tali ostacoli.
L’aspetto più nuovo della Conferenza dì Manchester riguarda il fatto che per la prima volta a livello istituzionale si è discusso del peso delle responsabilità domestiche che cade soprattutto sulla donna e sulla necessità dì adottare speciali provvedimenti per assicurare una divisione più eguale del lavoro domestico. La Conferenza ha espresso l’opinione che la divisione delle responsabilità familiari è un requisito essenziale per la parità dei coniugi. L’effettiva realizzazione delle direttive comunitarie, in materia di parità dì retribuzione e di eguaglianza di opportunità richiede quindi che la Commissione europea formuli anche una direttiva che riguardi il congedo parentale per necessità dì famiglia e solleciti gli Stati membri ad incrementare le strutture e i servizi sociali non solo per l’assistenza all’infanzia, ma anche per gli anziani e gli handicappati.
A Manchester sono state avanzate varie proposte: la costituzione di una Commissione europea per la parità; il rafforzamento di taluni servizi della Commissione della CEE, come l’Ufficio per il lavoro femminile e l’Ufficio per l’informazione della stampa e delle organizzazioni femminili; la raccolta e la distribuzione di dati statìstici; l’incoraggiamento di corsi a carico del Fondo Sociale Europeo per l’addestramento professionale delle donne; la preparazione dì direttive europee per la realizzazione di schemi di valutazione del lavoro che diano effettivamente la possibilità di eguale retribuzione per lavoro di pari valore; il lancio a livello europeo di una campagna di “presa di coscienza” della divisione delle responsabilità familiari, politiche, sociali e culturali tra uomo e donna.
Tra tali proposte la più interessante è la prima, quella che riguarda la futura” creazione di una Commissione europea per la Parità, avente il compito di assistere la Commissione della CEE. Questa Commissione dovrebbe collegare i vari organismi esistenti a livello nazionale. In ogni paese della CEE esiste infatti un qualche meccanismo che va dal “Ministero per la Condizione femminile” in Francia alla “Equal Opportunities Commission” in Gran Bretagna con compiti più o meno estesi.
Solo in Italia non esiste niente del genere. Dopo la triste esperienza del sottosegretariato alla Condizione femminile con l’ineffabile Beffardi, Cossiga aveva costituito una Commissione interministeriale che a quanto ci risulta non si è poi mai riunita.
Una precedente commissione creata nel ’75 per preparare il documento per la Conferenza dell’ONU a Città del Messico è svanita anch’essa nel nulla. La Commissione per la tutela del lavoro a domicilio non si riunisce da due anni.
A Manchester il Ministero del Lavoro ha annunciato la costituzione di una commissione di studio sulla condizione femminile “avente lo scopo di esaminare in profondità tutti gli aspetti del delicato problema che comporta le più ampie valutazioni e conoscenze della odierna realtà sociale italiana” (sic!).
Anche tale commissione ha avuto vita breve e solo sulla carta. Non si è infatti mai riunita.
Oggi, presso lo stesso Ministero del Lavoro, è stata istituita un’ennesima commissione, questa volta per la famiglia, nel cui ambito si è costituito un gruppo di lavoro sui Problemi della condizione della donna per la realizzazione dei princìpi di eguaglianza nella famiglia, nel lavoro, nella società: tutela della maternità, tutela del lavoro casalingo”.
Se da questo gruppo di lavoro uscisse un’indicazione su quale potrebbe essere il meccanismo più adatto al nostro Paese, avremmo fatto un passo avanti, forse piccolo, ma nella giusta direzione.