perchè gli uomini hanno paura d’innamorarsi
la nostra cultura è piena d’immagini che descrivono l’innamoramento del maschio come «essere intrappolato»; «cadere nella rete». Immagini che illustrano efficacemente la condizione di immobilità-impotenza vissuta nella primissima infanzia nel rapporto con la madre.
quasi ad ognuna di noi è capitato di conoscere, per esperienza diretta o indiretta, uomini che manifestavano con comportamenti di «avvicinamento e fuga» ripetuti, diversi gradi di paura ed ansietà di. fronte alla prospettiva di vivere con una donna un rapporto affettivo intenso. Fa inoltre parte degli stereotipi culturali il riconoscere alle donne una grossa capacità d’amare e agli uomini una certa inabilità nel gestire i lati affettivi dell’esistenza.
Tradizionalmente questa diversa disponibilità all’«amore», è stata attribuita ad una varietà di fattori culturali, economici e sociali che hanno favorito l’emergere e il perpetuarsi di ruoli maschili e femminili. Le spiegazioni più ricorrenti ad esempio sottolineano che gli uomini e le donne vengono addestrati fin dall’infanzia a privilegiare gli uni il pubblico — il mondo del lavoro, della politica, le altre il privato — il mondo degli affetti. Perciò uomini e donne imparano ad affinare quelle particolari caratteristiche che garantiscono una affermazione in questi ambiti così diversi. Inoltre, per noi donne in particolare, l’amore, inteso come il riuscire a farsi amare da qualcuno significa a volte vedersi offrire l’unica professione largamente disponibile nell’attuale mercato del lavoro — il casalingato — e garantirci un mezzo di sostentamento, oppure un ruolo sociale. Gli uomini al contrario avrebbero meno energia da convogliare nei sentimenti, perché le dedicano ad accumulare ricchezza e potere nel mondo esterno.
Tutte queste e altre numerose interpretazioni di carattere politico, sociale e culturale centrano senz’altro alcuni aspetti della problematica dei rapporti uomo-donna nella nostra società. Mi sembra tuttavia che per quanto riguarda il fenomeno dell’innamoramento in particolare — ma anche per chiarire meglio perché in tutte le società le donne sono state escluse dal potere maschile — occorra riscavare anche a livello biopsicologico.
Mi sembra necessario cioè esplorare i dati della biologia e della psicologia alla luce sempre d’un contesto economico e sociale senza però privilegiare esclusivamente quest’ultimo.
L’innamoramento come regressione a stadi diversi di sviluppo
L’innamoramento tra un uomo e una donna è accompagnato spesso dal fenomeno della regressione: noi donne riviviamo con l’uomo alcuni aspetti del nostro primo rapporto con una figura maschile, di solito nostro padre. Gli uomini a loro volta riprovano attraverso l’incontro con una donna alcune sensazioni, sentimenti ed esperienze già vissute con la prima figura femminile, di solito la madre.
Questa regressione è comune nei due sessi, ma costituisce una esperienza fortemente diversa, perché gli uomini e le donne regrediscono a due fasi differenti di sviluppo infantile — noi donne verso l’età del rapporto edipico, l’uomo a un livello di sviluppo molto inferiore, ed esattamente ai primi mesi di vita, in cui si è stabilito il primo importante legame con la madre.
Ora quando i bambini affrontano i rapporti primari con la madre e con il padre, in età diversa, hanno naturalmente a disposizione strumenti molto differenti per risolvere i problemi.
L’incontro del bambino-a con la figura femminile avviene in uno stadio di sviluppo, in cui il bambino è privo di due fondamentali capacità, che sono alla base dell’autonomia; la mobilità ed il linguaggio. Infatti il lattante giace per lunghi mesi semimmobile nella culla.
È letteralmente incapace di muoversi liberamente nello spazio e dunque ad esempio di avvicinarsi ad una persona amata o di allontanarsi da qualcuno che gli dà fastidio. Il bambino piccolo è in un certo senso prigioniero nella sua culla e inoltre non avendo sviluppato il linguaggio non sempre riesce a comunicare i propri bisogni e dunque ad aumentare la probabilità che vengano realizzati. In questo contesto di estrema dipendenza sia il bambino che la bambina acquisiscono a contatto con la madre un codice di comunicazione e comportamento prevalentemente emotivo e non verbale, sensoriale e corporeo.
Più tardi, dai due ai quattro anni, bambine e bambini che sono divenuti mobili e parlano, dunque hanno acquisito il potere di allontanarsi e avvicinarsi agli altri e di chiedere e di protestare con maggiori probabilità di essere capiti, acquisiscono un rapporto più intenso con il padre. Questo rapporto con la prima figura importante maschile può offrire frustrazioni o giustificazioni come quelle con la madre, ma sia le une che le altre vengono vissute in un contesto in cui il bambino-a sente di avere un maggiore potere sull’ambiente grazie proprio all’acquisita mobilità e capacità espressiva verbale. Con il padre dunque si sviluppa maggiormente un rapporto basato su un codice prevalentemente verbale, simbolico.
Ora se nell’innamoramento si ha una regressione, i maschi si trovano a poter riaffrontare un rapporto che gli ricorda quello vissuto con la madre in un periodo di sviluppo infantile in cui hanno sperimentato la massima impotenza e la più immobilizzante dipendenza, oltre che naturalmente alla maggiore gratificazione simbiotica.
Noi donne invece al massimo rischiamo di regredire alla nostra fase edipica, dunque verso i tre-quattro anni, quando abbiamo costruito il nostro sia pur difficile e competitivo rapporto con il padre, trovandoci già in possesso sia del codice corporale acquisito con la madre che del codice verbale e culturale.
Se si ipotizza dunque che l’innamoramento attraverso la regressione porta a un ritorno a fasi diverse di sviluppo per l’uomo e per la donna, si capisce perché gli uomini tendono ad avere più paura d’innamorarsi in una situazione eterosessuale (1). Essi rischiano più di noi donne di vedersi ripiombare in una situazione di rapporto in cui la disparità di potere uomo-donna, rivissuta nel senso di bambino-figura materna — è più estrema. Infatti la nostra cultura è piena di immagini che descrivono l’innamoramento del maschio come: «perdita di libertà» «si è fatto intrappolare», «è caduto nella rete». Immagini che illustrano efficacemente la condizione di «immobilità uguale impotenza di muoversi» vissuta nella primissima infanzia.
Altre espressioni quali «perdere la testa» illustrano i lati positivi dell’esperienza d’innamoramento, il ritorno ad un codice di comunicazione corporeo: «ci parlavamo con gli occhi», «non c’era bisogno di parole tra noi» ecc. Questi aspetti dell’innamoramento solo comuni ai due sessi, che rivivono fra l’altro probabilmente il primo simbolico rapporto con la madre nei momomenti di completo soddisfacimento.
Gli aspetti negativi dell’amore, la possibilità di essere rifiutati o peggio abbandonati possono essere vissuti nell’esperienza dell’innamoramento in modo diverso per noi donne e per gli uomini. Infatti noi possiamo nel rapporto con l’uomo vivere un’esperienza di abbandono ad un livello molto regressivo, come abbandono della madre, ma è molto più probabile che noi viviamo il rifiuto d’uomo come abbiamo vissuto i primi rifiuti da parte di nostro padre. Rifiuti che abbiamo subito ad un’età in cui potevamo usare sia il linguaggio che la mobilità per difenderci, e per competere per ottenere l’affetto paterno e materno. Invece i maschi nel rapporto con una donna, rivivono probabilmente solo e sempre il rapporto con la madre — e ovviamente le altre donne successive.
Essi rischiano di ripiombare, in una esperienza d’amore adulto negativa, nel vissuto d’una relazione infantile con la madre, caratterizzata da una completa e tremenda disparità di potere. In questo iniziale rapporto solo la madre-donna si muove e parla e può fare, l’altro è immobilizzato, spesso impotente. Infatti spesso gli uomini non riescono letteralmente ad andarsene, a troncare un rapporto anche infelice, mentre le donne una volta deciso piantano con molto più coraggio e decisione. Sono letteralmente più mobili, se ne vanno. Gli uomini invece, è esperienza comune, vanno e vengono nei rapporti, indecisi tra moglie e amanti, come se non potessero affrontare l’esperienza del distacco e della separazione.
Questa disparità di potere tra donna e uomo che ogni maschio rivive all’inizio della sua personale storia potrebbe contribuire a spiegare la paura e l’ostilità maschile verso le donne.
Disparità di potere ingigantita dalla capacità femminile di procreare. C’è infatti un mito persiano che dice che una donna ha creato il mondo e che essa ha poi partorito diversi figli maschi. Questi, estremamente disorientati da quell’atto irripetibile, si spaventano e pensano: chi ci dice che se può dare la vita non possa anche togliercela? E la uccidono dominati dalla paura.
Nel mito la paura deriva dall’invidia delle capacità creative e distruttrici attribuite alla madre; nella realtà probabilmente il diverso grado di paura che differenti uomini manifestano di fronte a noi donne e di fronte all’innamoramento deriva anche probabilmente dal grado di frustrazione e di impotenza sperimentale nella primissima infanzia. Anche la spinta maschile verso il potere la fama e il successo sono probabilmente più grandi quando più elevata è la necessità di difenderci dalle percezioni di queste prime esperienze. Culturalmente si potrebbe avanzare l’ipotesi che anche l’iniziale disparità di potere tra donna e uomo, rivissuta da ogni singolo maschio sulla propria pelle infantile, abbia motivato gli uomini a creare una cultura maschile che escluda la donna. Il mondo delle creazioni maschili — dalla guerra alla politica, dall’arte alla religione — servirebbe anche a creare un contropotere da utilizzare contro lo strapotere femminile percepito nella infanzia.
Quanto in diverse culture gli uomini abbiano bisogno di differenziarsi dalle donne, contrapponendo un potere esclusivamente maschile, potrebbe essere approvato, studiando il rapporto tra diversi -tipi di allevamento e svezzamento infantili e cerimonie d’iniziazione maschile. In alcune tribù ad esempio i riti d’iniziazione implicano un chiaro processo di rinuncia al mondo esterno femminile. —.per esempio divieto di rapporto con madre e/o sorelle — e interno — rinuncia a certi comportamenti ritenuti femminili. Il dover sancire attraverso speciali procedure il rifiuto del femminile, riconosce l’attrazione che questo mondo esercita sui maschi, attrazione che è in parte contaminata dalla paura e dall’invidia. Da quest’ultima scaturisce probabilmente il desiderio compensa-torio di creare spazi da cui escludere le donne, come gli uomini si sentono estranei al potere femminile.
Sarebbe interessante a questo proposito fare un esame comparato delle varie civiltà, cercando di appurare se proprio nelle società in cui viene più riutilizzata l’esclusione della donna (vedi l’Islam ad’ esempio) non sia in realtà più forte la paura del potere femminile da parte degli uomini, paura ritrovabile sia nei miti e nelle leggende, sia nei rapporti quotidiani tra i sessi. In fondo si ha bisogno di schiacciare e reprimere quello che si teme di più.