analisi del lavoro casalingo
Una delle scoperte principali che abbiamo fatto quando abbiamo cominciato a guardarci intorno da donne è stata proprio, la casa, la struttura familiare come luogo di sfruttamento specifico della nostra forza lavoro. Dovevamo per forza privilegiare nella nostra analisi questa sfera «privata», queste mura domestiche al di fuori delle quali si ferma l’analisi marxista delle classi, nonché la pratica di organizzazione politica della sinistra, parlamentare e non. Dentro la cesa abbiamo scoperto il lavoro invisibile, questa enorme quantità di lavoro che ogni giorno le donne sono costrette ad erogare per produrre e riprodurre la forza lavoro, base invisibile — perché non pagata —su cui poggia la intera piramide della accumulazione capitalistica. Questo lavoro, che consiste nel fare i bambini e accudirli, nel rifocillare, tenere in ordine e rincuorare l’uomo dopo il lavoro, non viene mai presentato come tale,ma come una missione il cui compimento arricchisce la personalità di chi la svolge. Una donna è una madre, una moglie, una figlia affezionata solo se è disposta a lavorare al servizio degli altri per ore e ore, nei giorni di festa, nelle vacanze, di notte, senza brontolare.
Questo rapporto di lavoro viene visto sempre e solo in termini personali: è un fatto personale tra una donna e l’uomo che ha diritto di appropriarsi del suo lavoro. Si spiega continuamente alla donna che il suo mondo è la famiglia e non la società: nella famiglia quindi deve sfogare le contraddizioni legate alla divisione del lavoro tra uomini e donne che la società le impone. La casalinga è tata sempre esclusa dalle forme di organizzazione della classe operaia: non le è rimasto quindi ohe trovare soluzioni individuali. A livello individuale, per esempio ha dovuto affrontare il continuo aumento dei prezzi: quando il salario non basta più si sostituisce la carne con lo sformato di patate, altrettanto nutriente, ma che richiede un’ora in più di lavoro, oppure si va ai mercati generali o alla macelleria fuori porta per risparmiare qualche lira sulla spela. L’aver lasciato che si scaricasse sulla donna, isolata nella casa, in termini di più lavoro, il peso principale dell’inflazione — questa arma che i padroni usano per svuotare le conquiste salariali degli operai — è stata una grossa responsabilità delle organizzazioni tradizionali del Movimento operaio e una grossa ragione di debolezza della lotta operaia stessa.
Il legame materiale che ci inchioda a questo lavoro è la nostra dipendenza dal salario dell’uomo, il fatto che questo salario è non solo scambiato con più ore di lavoro diretto, ma comanda, mette in moto intorno a sé, altro lavoro, quello della donna nella «fabbrica» domestica. Poiché la ricchezza prodotta viene distribuita alle donne per lo più attraverso il lavoro di un uomo, si crea, su questa base,’ quella stratificazione tra le donne che è stata assunta a torto come vera e propria distinzione di classe: dove il criterio di appartenenza alla classe operaia o a quella borghese è sempre riferito all’uomo da cui la donna dipende, come se non valesse, anche per la. donna, una definizione di classe determinata dalla sua posizione all’interno di rapporti di produzione specifici.
Certo, scambiare i propri servizi con una fetta più grossa di reddito, comporta grossi privilegi: una casa bella vuol dire meno lavoro, vuol dire infatti acqua calda, spazio per dividere chi studia da chi guarda la televisione e da chi fa il bucato, vuol dire che i figli non si ammalano per l’umidità, ecc. Se i soldi non bastano per pagare un affitto alto (e sono tutti alti), è la donna, che, aumentando ì suoi ritmi di lavoro, deve impazzire ogni giorno per portare a tavola qualcosa che sembri un pranzo completo, per vestire i figli in modo che non sembrino troppo diversi dagli altri, quando già tante altre cose servono a discriminarli. Tuttavia diciamo che una casalinga è in se stessa sempre una proletaria, anche se il suo status sociale varia in rapporto al reddito dell’uomo da cui dipende (nessuno ha mai pensato che uno schiavo non fosse più tale se aveva un padrone ricco che poteva garantirgli un livello di vita superiore a quello degli altri schiavi). (…)
Che il lavoro della casalinga sia svolto in forme precapitalistiche o proto-capitalistiche, non significa affatto che esso oggi non sia capitalistico e perfettamente funzionale ad una fase di sviluppo del capitale che vede come centrale non tanto la produttività di fabbrica, quanto la produttività media sociale. Poter contare su questa enorme quantità di lavoro non pagato — proprio perché gli viene mantenuta l’apparenza di non essere produttivo, al limite di non essere neppure lavoro — significa per il capitale abbassare enormemente i costi di produzione di quella fondamentale merce che è la forza-lavoro. Significa anche poter manovrare liberamente il mercato della forza-lavoro, in rapporto alle proprie necessità congiunturali, che sono necessità di rispondere alle lotte operaie: 1) creando una disoccupazione non conflittuale perché la donna espulsa dalla produzione organizzata socialmente è da sempre attesa dal lavoro di casalinga; 2) castrando la capacità di lotta degli operai col taglio o la riduzione del secondo salario familiare.
Da «L’Offensiva» – Quaderni di lotta femminista n. 1.