il trono e l’altare
nella primavera del ’76, per risolvere i problemi derivanti dalla crisi economica, incapaci di trovare un accordo, i partiti andarono alle elezioni anticipate, facendo cadere il governo sul pretesto dell’aborto. Ricordate il voto nero del 1° aprile in Parlamento, l’enorme mobilitazione di cui fummo capaci, il dibattito, gli anatemi del fronte laico? Credo che per un certo periodo quasi tutte noi siamo state convinte di aver inciso così profondamente nella realtà politica istituzionale da provocarne la crisi. Oggi penso che dobbiamo ulteriormente ridimensionare questo convincimento, rendendoci conto che fummo solo un pretesto, una pedina, un’arma di ricatto nel gioco politico «più importante», un modo democristiano di far pressione sulla sinistra per strappare concessioni in cambio di maggiore arrendevolezza sulla questione aborto. Oggi, alla vigilia dell’entrata in vigore della legge 382, sullo scioglimento degli enti inutili e il passaggio alle Regioni delle funzioni finora assolte da essi; oggi, durante la trattativa per la revisione del Concordato, lo Stato Vaticano tira in ballo le nostre coscienze per ricattare lo Stato Italiano. Le donne — noi — siamo di nuovo una merce di scambio in trattative da cui siamo escluse. Leggendo le reazioni dei «laici» e dei «cattolici» alle uscite di papa Wojtyla, si intuisce la preoccupazione non tanto per la sorte della legge sull’aborto, quanto piuttosto per l’irrigidimento vaticano sul tema del concordato. Si rischia di andare ad un balletto in cui lo Stato Italiano concede qualcosa al Vaticano purché non si tocchi la legge sull’aborto. Sono in ballo questioni come l’istruzione religiosa obbligatoria nelle scuole; il regime matrimoniale con la trascrizione automatica nei registri dello stato civile non solo dei matrimoni religiosi, ma anche degli annullamenti della Sacra Rota; i finanziamenti pubblici agli istituti religiosi; l’esenzione fiscale.
I due Poteri hanno scelto il terreno di scontro più «facile», meno importante per loro, giocandosi in modo perfidamente sottile l’angosciosità del problema aborto, sul quale solo noi donne e non certo Benelli o Karol o chiunque altro di loro può dire alcunché. Ma costringendoci alla difesa della legge, dandoci in pasto la bomba scomunica e l’attacco religioso allo stato italiano, ci costringono ad una battaglia di retroguardia, difensiva, impedendoci di occuparci anche degli altri temi sul tappeto e che ci riguardano comunque, anche se meno «evidentemente».
Mi sento giocata come donna, mi sento chiamata a difendere dal mio specifico problema un’istituzione che non mi vuole soggetto politico pesante, che vuole solo il mio appoggio indiretto. Sfruttando il mio sfruttamento e la mia oppressione, ancora una volta.
Non voglio affrontare il nodo del rapporto tra Stato e Chiesa. Manca un’analisi femminista dello Stato, manca una riflessione più profonda sul significato dell’istituto religioso sulla mia coscienza e sul mio essere sociale, di donna. La mia è solo un’impressione da verificare e da approfondire. Dire «politica maschile», «potere maschile» è dire tutto e niente, ancora, perché all’interno dei due termini devo chiarire, da donna, cos’è maschile e cos’è classe e come l’uno o l’altro mi riguardano. So solo che i problemi politici ed economici «più ampi» mi toccano e mi coinvolgono, dal momento che li subisco come cittadina e come movimento politico. So solo che non voglio fare esclusivamente battaglie difensive, che le mie conquiste, anche se parziali, non si debbono toccare.
Situazioni come quella che stiamo vivendo in questi giorni mi ricacciano in un ambito ristretto, in contraddizione con la crescita politica delle donne, mentre il Politico con la P maiuscola va avanti sulla mia testa. La scomunica mi conferma sempre di più che agli occhi del Potere non conto nulla.