metti un sabato a merenda
Una delle poche trasmissioni settimanali di politica e informazione sulla donna, viene trasmesso al sabato pomeriggio. Come se l’attualità e l’informazione appartenessero ad un elité.
Si dice donna prosegue con un nuovo ciclo di trasmissioni sulla rete 2. Ogni sabato alle 18.30 una mezz’ora per noi. Uno spazio minimo per un programma realizzato in economia e che senz’altro risente sia dell’eseguita del budget a disposizione, che della struttura in cui si muove.
L’orario e il giorno sono stati programmati in base alla disponibilità della rete, non certo in base alla nostra. I dirigenti della seconda rete sono stati inamovibili, nonostante le vivaci proteste delle donne intervenute all’incontro organizzato a giugno dalle curatrici del programma per presentare questa seconda serie di trasmissioni e per fare un bilancio delle precedenti.
Sabato ore 18.30. Proviamo a immaginare il sabato della donna media italiana. Se lavora, se non lavora, se è casalinga, sé* è madre, se è fidanzata, se è studentessa, se è nonna a quell’ora del sabato possiamo immaginare per lei un’attività qualunque che approssimativamente non sarà dedicata alla poltrona davanti alla TV. Sarebbe interessante a questo proposito sapere cosa ne pensano gli addetti all’ufficio statistico della RAI. Non ci sentiamo dì ringraziare gli illuminati dirigenti della rete due per questa seconda serie di Si dice donna. Sappiamo che era il minimo che potessero fare dopo gli alti indici di gradimento e di ascolto della precedente edizione (indici di cui, sospettiamo devono essersi molto meravigliati e stupiti). Inoltre la RAI essendo una struttura pubblica di servizi informativi e culturali non può certo non tener conto dei cambiamenti della donna italiana avvenuti in questi ultimi anni, e, . al suo interno, della lotta delle donne presenti nella struttura stessa. Nessun regalo quindi, ma ancora delle piccole concessioni strappate a duri prezzi con una lotta rivendicativa che dura da anni. 25 minuti di trasmissione per esercitare una politica di consenso strumentale sia con le forze femminili interne alla struttura che con il movimento delle donne e le altre organizzazioni politiche, contro le altre 154 ore circa di trasmissioni in cui vengono riproposti i più vecchi e reazionari stereotipi femminili. Certo è difficile immaginare un cambiamento, anche la più leggera modifica di opinione in un pubblico continuamente bersagliato da messaggi informativi e persuasivi che tendono a mantenere il più retrivo status quo dell’immagine femminile più ancestralmente stratificata nella società italiana.
Nessuno aiuterà la donna a liberarsi dalla sua condizione passiva o gregaria, subordinata o emancipatoriamente attiva alla cultura e al potere maschile, se non se stessa.
In questo riconosciamo l’importanza fondamentale di ogni nostro piccolo spazio, anche se, come questo, all’interno di una struttura lottizzata in una logica di potere, già espressione essa stessa del potere sessista e maschile che riproduce sotto forma di informazione. Riappropriarci di una informazione a nostra misura, creare strumenti di crescita e aggregazione politica per una sensibilizzazione di massa delle donne: questo il succo della nostra lotta all’interno del mondo dell’informazione, dove raramente la donna fa notizia se non a livello di cronaca (come soggetto di cui registrare la devianza o come oggetto quando è vittima di innumerevoli violenze). Si dice donna è nata e continua a sopravvivere grazie alla volontà di alcune donne di veicolare attraverso uno strumento come la televisione i contenuti delle lotte del movimento dai suoi primi sporadici tentativi, prima individuali, poi di massa, fino ai nostri giorni. Le trasmissioni, articolate su un taglio di informazione tipo «magazine» sono composte di alcuni servizi culturali e di una parte di attualità con filmati realizzati settimanalmente su temi come l’Aborto, la Legge di Parità, il Divorzio, i Consultori. Cose che ci riguardano e sulle quali il più delle volte c’è un silenzio somigliante all’omertà da parte di un potere che si basa anche sull’ignoranza delle donne abituate da sempre a una delega massiccia di se stesse come individui sociali.
uno strumento di cultura e informazione
tre domande a Tilde Capomazza
Un settimanale di attualità e cultura che va in onda ogni sabato per 18 settimane. Questa in sintesi la definizione data dalle redattrici Tilde Capomazza, Daniela Colombo, e Annarita Buttafuoco che hanno curato anche questa seconda edizione di Si dice donna.
Tilde come è maturata l’idea di questo secondo ciclo di trasmissioni?
È stato soprattutto il successo che hanno avuto le sei puntate mandate in onda lo scorso inverno a spingerci a continuare e accogliendo le critiche e i suggerimenti delle donne del movimento a cambiarne quasi radicalmente la formula. Per noi tutte è molto importante continuare il discorso sullo specifico femminile in un mezzo di comunicazione di massa come la televisione.
Ma tu pensi sia possibile comunicare i nostri contenuti delle lotte portati avanti dal movimento delle donne a un pubblico così vasto e indifferenziato per età ‘cultura’ educazione?
Infatti, nonostante abbiamo avuto un buon indice di ascolto (circa 6 milioni di spettatori a puntata), nella precedente edizione abbiamo forse sopravvalutato la capacità di ricezione del nostro pubblico televisivo. I gruppi di ascolto organizzati dal servizio opinioni hanno indicizzato in certe puntate momenti di scarso interesse e di totale incomprensione su talune analisi fatte da donne del movimento femminista, accusate di essere troppo teoriche e lontane dalla quotidianeità femminile, e presentate con un linguaggio complesso e sofisticato’. Dobbiamo comunque ricordare che le difficoltà a capire un certo linguaggio non dipendono solo da un maggiore o minore livello culturale ma anche da resistenze inconscie nei soggetti in ascolto o da coinvolgimenti emotivi che possono provocare certi termini.
Quali sono le sostanziali differenze di questa nuova edizione di «Si dice donna» ?
L’anno scorso abbiamo articolato le trasmissioni toccando le tematiche più analizzate e discusse dal movimento: tra queste la sessualità, la maternità, il lavoro domestico, partendo dalle testimonianze dirette, un modo di comunicare coinvolgente e ad impatto. Quest’anno invece puntiamo molto più sull’informazione, abbiamo adottato una forma più giornalistica, con un ritmo più veloce e un occhio sempre attento all’attualità. Questo per essere maggiormente presenti e attive nella nostra lotta in cui anche Si dice donna, vuole essere uno strumento per tutte noi.