8 marzo: un sasso nella palude del parastato
quante parastatali avete incontrato l’8 marzo a Roma? Tanto poche, fra le trentamila, da diventare invisibili.
l’ITER — Poco dopo la sua data di costituzione (16-2-77), il G.F.E. (gruppo Femminista ENASARCO), avendo stabilito di portare avanti alcune iniziative concrete, la prima delle quali in occasione della scadenza dell’8 marzo, ha ritenuto opportuno diffondere nell’Ente una circolare. In essa tra l’altro si affermava che “tale giorno, che dovrebbe essere vissuto come una delle tante testimonianze di oppressione nei confronti delle donne, è stato invece volutamente mistificato dalla società consumistica che l’ha trasformato in un momento falsamente gratificante per le donne. Per questa presa di coscienza, il G.F.E. invita tutte le donne dell’Ente a rifiutare ogni strumentalizzazione dell’autentico significato di questa data, respingendo come offensiva della propria dignità, qualunque concessione paternalistica, quali ad esempio l’uscita anticipata o un “gentile” omaggio floreale, In alternativa si propone una manifestazione da tenere all’interno dell’Ente proprio l’8 marzo dalle ore 11 in poi, per consentire e stimolare un ulteriore momento di confronto e di aggregazione il più possibile massiccia da parte delle donne. Il G.F.E. chiede, pertanto, alle OO.SS. di poter disporre della Sala Conferenze e di prendere al più presto posizione nei confronti dell’Amministrazione circa la eventuale uscita anticipata in quella data”.
A tale circolare, da molti dipendenti commentata variamente ma soprattutto come ingiustificatamente aggressiva (?!), ne è seguita un’altra, diffusa il 7 marzo, con la quale si invitava tutto il personale, ed in particolare tutte le donne, a partecipare alla manifestazione dell’8 marzo. Programma: introduzione di una compagna e proiezione di un film-documentario sulla condizione femminile, dibattito aperto, vendita di libri sulla condizione femminile.
Nell’ambiente del Parastato nulla si muove, tutto è come mummificato ed una qualsiasi scintilla di vita è cosa strana quindi da respingere. Alla lunga anche tu, che ti senti molto viva, ti accorgi che stai morendo dentro quell’ingranaggio. Spesso neanche la buona volontà del sindacato “più efficace”, cristallizzato com’è da tante gerarchie, “può” nulla contro una tale situazione, contro il progressivo impoverimento del singolo individuo, contro l’apatia che pervade tutto e tutti. Ogni tanto però si viene travolti da qualcosa di apparentemente vitale: qualcuno ti dà il via per batterti e dibattere su qualcosa ma, dopo un sterile masturbazione intellettuale… più nulla.
Quante parastatali avete incontrato alla manifestazione dell’8 marzo a Roma? Tanto poche, fra le trentamila, da divenire invisibili.
Che cos’è il femminismo? Che vuol dire? Ma insomma, che vogliono queste femministe? In fondo qui mica siamo in fabbrica e quindi perché si sentono tanto emarginate, maltrattate, prevaricate? Questo, le persone in buona fede ma purtroppo nell’ignoranza. Altro, da coloro che in buona ‘fede non sono: ti guatano; ti tolgono il saluto; tentano di uscire dal problema ironizzando; arrivano al ricatto sessuale più sottile (“Sei così carina che potresti fare la mia segretaria”); quando sei in riunione per sole donne e ad una telefonata rispondi “pronto”, una soddisfatta voce maschile ti risponde “evviva il cazzo”; sui manifesti per l’8 marzo, dove c’è scritto “donne uscite dalle case”, qualcuno trova giusto aggiungere “chiuse”; e così mille altre cose. Ma, in fondo, coloro che fanno questo sono i meno pericolosi, i più deboli, le vittime di frustrazioni assurde, spesso della più completa impotenza sul piano esistenziale. I peggiori sono quelli che vogliono partecipare alle tue lotte ma ancora una volta per gestirle. Questo esattamente è emerso durante l’assemblea dell’8 marzo all’ENASARCO.
Qui, come in qualunque altro ambiente del genere (risulta dai frequenti contatti con altre parastatali), gli unici organismi che possono disporre di una sala per riunirsi in assemblea sono i sindacati, persino la CISNAL: le femministe no. Allora, come iscritta alla CGIL, mi sono rivolta ai dirigenti del mio sindacato e, per la verità, ho trovato una facile disponibilità da parte dello stesso. Immediatamente, insieme ad altre compagne, abbiamo preso contatto con i rappresentanti della UIL, che abbiamo trovato non solo disponibili ma da cui, nella componente femminile, abbiamo avuto una forte collaborazione. Infine, non ritenendo positiva alcuna preclusione, ci siamo rivolte alla CISL ed allo SNADE. Ovviamente hanno accettato, cioè per ovvi motivi. Chiaramente per nulla ci siamo rivolte alla CISNAL. I sindacati interessati hanno chiesto tutti congiuntamente all’Amministrazione l’uso della sala.
Ebbene, nell’ambiente, questo è passato come un atto eccezionale.
L’8 MARZO — La sala è piena. Molta gente in piedi sta perfino in corridoio. Certo, i commenti non sono tutti positivi. Molti gli uomini: curiosità? Vedremo. Arrivo trafelata con la pizza del film da proiettare. Le compagne tirano un sospiro di sollievo. La proiezione del film “La lotta non è finita” comincia mentre per la sala si aggira Franca, una compagna fotografa, per altro diffidata dal fotografare da parte di alcuni sindacalisti della CISL.
Partendo da questo semplice filmato, il G.F.E. intendeva aprire un dibattito sulla condizione femminile. Nella coscienza di non poter esaurire in poche ore tutto il discorso impostato dal femminismo, soprattutto dato l’ambiente femminile scarsamente femminista e scarsamente politicizzato, il G.F.E. intendeva arrivare a delle generalizzazioni, partendo da situazioni del tutto concrete riguardanti le donne: le mansioni; il ruolo; le esigenze; il tipo di rapporti esistenti con i colleghi e con la struttura; la struttura vista da se stessa e dagli altri; la discriminazione derivante dai modelli culturali; i rapporti interpersonali nell’ambiente di lavoro, falsati, anche se a volte in buona fede, a tutti i livelli. Si voleva parlare, e comunque in qualche modo se ne è parlato, della salute in senso ampio, totale. Della dipendenza di moltissime persone, ma in particolare delle donne, dagli psicofarmaci in quanto non si riesce, da soli, a modificare il sistema di vita strettamente collegato all’organizzazione del lavoro, un sistema che crea falsi bisogni per cui ci si ritrova a lavorare ed a consumare in un certo modo già previsto dall’organizzazione sociale. Ci si ritrova quindi, abbastanza inconsapevolmente o comunque con un grande senso d’impotenza, di una situazione sempre montante, in una spirale dalla quale non si riesce a venir fuori per cui frequentemente si evidenziano manifestazioni morbose quali l’ansia, la incapacità dei rapporti con il coniuge, l’incapacità di parlare con le altre donne, nostre simili, che s’incontrano per la strada.
Si perde la salute in senso di equilibrio psico-fisico, nel senso di capacità di amare, di lavorare, di godere la vita in tutte le sue manifestazioni, nel senso di capacità di rapporti affettivi in qualunque senso intesi. Io credo che, quando si avverte una flessione di queste capacità, venga a mancare l’equilibrio nel senso che ci si ritrova ad essere incapaci di vivere in maniera corretta, diventiamo alienati, estranei a noi stessi. E, statisticamente, soprattutto le donne siamo vittime di queste situazioni assurde, spaventose ma reali; le donne perché tradizionalmente più deboli in -questi ingranaggi.
Parlare di tutto questo, nell’ambiente prima descritto, non è stato facile,’ almeno inizialmente. Ci si trovava in una assemblea da parte della quale, grosso modo, si era già state stigmatizzate a priori; in un’assemblea abituata ad essere gestita dai maschi; in un’assemblea di cui circa un terzo batte le mani quando il filmato mostra la polizia che carica le femministe le quali stanno, come sempre pacificamente, manifestando a Campo de’ Fiori.
Il dibattito comunque si è avviato seppure, da parte di alcune, timidamente. Molti sono stati gli uomini che hanno preso la parola, purtroppo poche le donne; e qui desidero ricordare qualche intervento. Quello, per esempio, di un compagno sindacalista, un certo Ettore G., di mezza età, il quale, seppure simpaticamente, continuava, nella sua semplicità, a parlare della questione femminista in termini di emancipazione e non mai di liberazione. Andrea, un altro compagno sindacalista, dopo vari interventi delle femministe, ha ammesso con candore: “giusto che voi donne vogliate fare da sole la lotta per la vostra liberazione perché io, razionalmente, credo di aver capito tutto e di condividere, emotivamente però non ce la faccio a rinunciare ai miei privilegi”. Tra i molti, un certo Giorgio V. ha preso e ripreso la parola, sperando (il tentativo è stato chiaro a tutti) di riuscire a gestire anche quest’assemblea come per altre gli era riuscito e con il palese intento di screditarci tutte attraverso anche una sola di noi. Di fronte ad un tale comportamento però, neanche più una di noi sentiva addosso quella timidezza che inizialmente l’aveva un po’ bloccata ed il collega ha trovato pane per i suoi denti. Lì nessuno conduceva, non c’era nemmeno una presidenza (come nelle tipicissime assemblee sindacali), ma eravamo tutte lì le femministe, Pina, Patrizia, Maria Vittoria, Angela, Lena, Elvia, Anna e tante altre tutte ugualmente impegnate, disponibili per un dialogo proprio nella Giornata Internazionale di Lotta della Donna. Ed è stato bello quando è saltata fuori una collega, Edy L. che, superando con lo sdegno la timidezza, ha urlato: “Io credevo di non essere una femminista ma, se ci sono dei colleghi come Giorgio e delle colleghe femministe come Anna, allora anch’io voglio essere una femminista!”.
Il dibattito è stato serrato; fino all’ora di uscita (14 e 30) e dopo, tra noi, i primi commenti.
Nonostante tutte le avversioni, l’assemblea ci sembrava riuscita. È la prima in questo Ente parastatale, da diciassette anni in qua (prima non se ne facevano di nessun tipo), in cui chi ha parlato ci è sembrato spontaneo fino al punto di smascherarsi anche. Il giorno seguente le bacheche sindacali erano piene di ritagli di giornali: la stampa sulle manifestazioni per l’8 marzo.
C’erano “Il Popolo” come “Lotta Continua”, “La Repubblica” come «Il Tempo», «il Paese Sera» come l’“Avanti!” e così via: bastava saper leggere.
Ed ora il dialogo continua, non in pubblica assemblea ma con le donne dell’Ente, che speriamo di trovarci presto tutte accanto nella nostra legittima lotta di liberazione, senza lasciarci abbindolare dalla logica maschilista, arrivista e carrieristica. Non vogliamo essere come loro. Dopo, loro potranno essere come noi.