rapporto da una fabbrica occupata
alcune operaie della lavanderia industriale “Fezia” di Roma, denunciano le loro condizioni di lavoro.
questa “intervista” nasce dall’incontro di un gruppo di compagne del Collettivo Edili di Montesacro e alcune operaie della lavanderia industriale “Fezia”. Questa fabbrica dopo anni di supersfruttamento, di accettazione passiva di condizioni di lavoro ottocentesche, è riuscita a conquistare il diritto di organizzarsi sindacalmente nel giugno del 76. Da allora il padrone ha cercato e trovato tutti i pretesti per licenziare, intimidire, dividere le operaie pur di non accettare le minime rivendicazioni.
L’ultimo attacco è arrivato quando 14 ragazze del reparto “pezzatura” si sono rifiutate di continuare a lavorare in condizioni inaccettabili: la risposta del padrone è stato il licenziamento. Questa intervista ha visto impegnate varie operaie della fabbrica i cui nomi vengono taciuti per ovvi motivi di rappresaglia padronale.
In quali fasi hai lavorato, e quali ti sono sembrate le più nocive?
Sono sei anni che sto in questa fabbrica, e le fasi le ho passate un po’ tutte. Quella che però non sono riuscita a sopportare è “il timbro”. Bisogna tirare fuori dai sacchi la biancheria sporca dei militari e timbrarla (controllandola anche sulla bolletta). Si lavora sempre con l’acetone e non abbiamo né mascherine né guanti. Dico guanti perché è roba veramente schifosa da toccare, è sporca, puzza, e dopo la timbratura bisogna portarla a braccia fino ai carrelli. In questa fase non sono riuscita a stare e ho chiesto di poter cambiare. A due mie compagne di lavoro si è abbassata la vista per eccessivo uso di acetone.
E poi c’è il Mangano (chiamo i macchinari con il nome che gli diamo noi in fabbrica, non so se sia giusto): si tratta di quattro grandi cilindri attraverso i quali facciamo passare i lenzuoli bagnati che così vengono stirati ed asciugati. Sotto i rulli ci sono lamiere roventi e il calore e il vapore sono così alti che anche d’inverno abbiamo i grembiuli sempre bagnati. I rulli sono pericolosi: ci sono stati parecchi incidenti. Alcune sono state ustionate alle mani (eppure abbiamo il calli, dato che dobbiamo toccare i lenzuoli che escono bollenti dai rulli), una di noi ha avuto il braccio imprigionato nei rulli (e ancora adesso non lo usa bene); una, ma questo lo so perché me lo hanno raccontato, io ancora non lavoravo qui, ci è rimasta sotto con la testa: è stata una settimana in coma poi è morta.
Ma non c’è stata mai un’inchiesta o un’ispezione dell’ufficio di Igiene?
No, nessuno si è mai fatto vedere, E d’altra parte gli incidenti non venivano quasi mai denunciati. Bisogna calcolare poi che fino al giugno del ’76 non avevamo nessun tipo di organizzazione sindacale, eravamo pagate 300 lire l’ora senza quindi gli scatti di contingenza né di anzianità, che gli straordinari erano la norma (e naturalmente la maggiorazione non ci veniva pagata), e che il padrone ci faceva un grosso piacere se ci permetteva di lavorare il sabato fino alle 3 di notte, pur di non farci lavorare di domenica.
Questi per noi erano incidenti, rischi che il fatto stesso di lavorare imponeva. Ancora oggi ci viene richiesto, dopo l’orario di lavoro, di pulire i cessi che mancano di catena, per cui bisogna buttarci l’acqua con il secchio.
Un altro settore era quello dei “sacchetti”. Sembra il più leggero, perché bisogna solo controllare la biancheria pulita con le bollette e riformare i sacchi, in modo che escano dalla fabbrica in maniera ordinata. Le due ragazze che sono addette a questo lavoro però devono alzare le ceste che contengono i sacchetti e immagazzinarle.
Se si tratta di cinque-dieci sacchetti, ce la possiamo anche fare. Spesso però si tratta di venti-trenta sacchetti, che richiedono uno sforzo enorme. Una ragazza che lavorava con me era in stato interessante, e non è stata spostata, nonostante le sue richieste. A questo si aggiunge che, dopo aver fatto la produzione richiesta, bisognava anche caricare fino a 4000 lenzuola al giorno in due; non credo di esagerare se attribuisco al lavoro l’aborto della ragazza che lavorava con me. Di questo mai il padrone si è preoccupato: anzi, ogni giorno ci richiamava e ci faceva firmare i richiami per non aver caricato tutti i lenzuoli che avrebbe voluto “oggi mi devi 1300 lenzuoli”, diceva “oggi 800”. E bisognava recuperare.
Ci sono stati altri aborti in fabbrica?
Una ragazza ha abortito due volte, ma non so bene per il lavoro o per problemi suoi . Noi di stomaco stiamo male tutte, dati gli acidi e i vapori. La disappetenza per chi lavora qui, è la regola, spesso abbiamo diarrea e mal di pancia. Per anni e anni abbiamo bevuto l’acqua del pozzo, quindi non potabile, dato che il padrone ha fatto murare la fontanella di acqua potabile perché, essendo distante 50 metri ci avrebbe fatto perdere troppo tempo. In fabbrica avevamo la possibilità di bere aranciate a 350 lire l’una (del costo di un’ora di lavoro),
Una di noi è al Policlinico, non si sa cosa abbia, è quasi un mese che stanno facendo le analisi: a Pasqua ha rischiato di morire.
Ci sono stati altri incidenti in fabbrica?
Sì; esiste un altro tipo di Mangano più moderno e meno nocivo (io però non ci ho mai lavorato): una ragazza è rimasta impigliata con i capelli nel rullo, ed ha avuto insieme ai capelli ” la pelle strappata, ora non gli ricrescono più i capelli.
Poi c’è il Cabine. Sono 4 macchine per stirare le camicie, con presse differenziate per i polsi, il corpo, le maniche e il collo. Spesso le ragazze rimangono con le mani sotto la pressa, dato che il ritmo di lavoro è molto alto. Anche il vapore e il calore sono alti, non sappiamo quanto perché nessuno è mai venuto a misurare, ma è difficile da sopportare.
In lavanderia è normale l’uso della soda e della varecchina, anche qui non si sa a che gradazione; il padrone non ce lo ha mai voluto dire. Un’altra cosa poi: se nei sacchi troviamo camice o biancheria personale fuori ordinanza, bisogna lavarla a mano noi, ci tocca immergere e strofinare nella soda questi capi dato che sono troppo delicati per le macchine che abbiamo.
Scusa, ma con le mani nude?
Certo, pensi che il padrone ci dia i guanti per questo? Ma se non ce li ha dati neanche per la pezzatura! che è poi il motivo per cui siamo scese in lotta.
La pezzatura è una fase in cui bisogna ridurre stracci accumulati da anni tutti alla stessa misura prima di lavarli. In alcuni di questi stracci abbiamo trovato addirittura dei vermi: li abbiamo portati al padrone che ci ha detto che quelli non erano vermi! Sono stracci vecchissimi, chissà a cosa sono serviti, chissà che malattie possono portare. È un lavoro fatto all’aperto, senza nessuna protezione. È perché ci siamo rifiutate di farlo che il padrone ci ha messo m cassa integrazione: da qui e cominciata la nostra lotta. La ragazza che è al Policlinico lavorava in questo reparto prima di ammalarsi; di che non si sa.