il convegno sulla spiaggia
non per spirito di polemica, ma per consapevolezza politica di soggetti autonomi emergenti riteniamo opportuno rispondere in modo articolato alle lettere ricevute. La speranza che ci unisce è che un mensile Possa essere luogo di scambio e di dibattito.
quattro lettere, tre di alcune compagne appartenenti al gruppo immagine di Varese, una di Fernanda Fedi, appartenente alla Federazione Nazionale Operatori Arti Visive di Milano, riaprono la discussione sul convegno da loro organizzato: Donna Arte Società tenutosi a Milano il 14 e 15 gennaio scorso. L’oggetto principale della polemica sono i quattro interventi sul convegno pubblicati sul numero di Effe di febbraio. Alcune compagne si sono riunite in redazione per discutere sul convegno e fare un articolo. Non sono riuscite a sanare le contraddizioni e le problematiche emerse dal convegno. Per questo hanno deciso di scrivere in prime persone la propria testimonianza. Queste sono le «interviste» che abbiamo pubblicato. Avremmo però dovuto pubblicare il documento del Gruppo Immagine di Varese proprio per dare una chiave di lettura di quello che è stato il Convegno rispetto ai contenuti proposti, ma non ci è stato possibile per motivi di spazio, e sempre per questo motivo è «saltata» la mia testimonianza. Le foto. Le due foto che abbiamo pubblicato sono la quinta testimonianza, quella di Antonella che le ha fatte e ce le ha date come suo commento visivo del convegno. Le didascalie da lei proposte erano, per la prima foto: «Convegno Donna Arte Società; prima…» per la seconda foto: «…e dopo». Non c’è stata quindi nessuna scelta o manomissione a livello di impaginazione, ma uno “spazio messo a disposizione per il commento visivo di una compagna. Certo è indubbio che le foto testimonino una divisione. Fin dal primo giorno, si era avvertito un malcontento serpeggiante, espresso sopratutto con il silenzio, il disagio di trovarsi tra donne e non riuscire a parlare, non riuscire a comunicare, la delusione di tante che erano venute aspettandosi qualcosa di diverso, forse senza nemmeno sapere esattamente cosa, ma comunque diverso. Il secondo giorno il disagio è riuscito ad esprimersi, grazie anche a qualche intervento particolarmente aggressivo di alcune donne «professioniste» che, abbandonato un linguaggio di mediazione, puntava soprattutto alla rivendicazione in .termini puramente emancipatori, dove il professionismo era difeso a denti stretti e la creatività relegata al ruolo di «hobby».
C’è stato qualche momento di panico, il microfono tirato violentemente con frasi tipo «basta tu non parli più, hai già parlato» oppure «non tocca a te», l’uscita in blocco di alcune donne artiste di un gruppo di Roma, la Milli (ruolo amaro e ingrato dell’organizzatrice) che corre dietro a loro per cercare di ricomporre il tutto e poi la proposta di una compagna di Milano che invita le donne che si sentono a disagio, che non riescono ad esprimersi e che vogliono fare delle proposte, a riunirsi nella sala di sopra per discutere. Così il convegno, sotto è continuato con la lettura di altri interventi e sopra, attraverso una lenta e difficile discussione, partendo dal vissuto di ognuna, si tentava di ricostruire il nostro stare insieme, con i nostri tempi. Partire dal nostro vissuto per comunicare le nostre esperienze, la nostra emarginazione, la nostra espressività, i suoi significati. È stato bellissimo dopo un po’ l’intervento autocritico di una donna che rimetteva in discussione quanto aveva affermato il giorno prima. Questo significa crescere insieme, essere disponibile alla verifica e a comunicare realmente con le altre donne.
confrontarsi con la classe egemone?
Non so cosa ti aspettavi da un’ora di discussione, Fernanda, ma ti assicuro che la proposta di «ritrovarsi tra qualche mese su una spiaggia» per noi è politica e rivoluzionaria. Perché significa ritrovare i nostri tempi, ritrovarsi in spazi «altri» inventati da noi e rispondenti ai nostri contenuti, per vedere i nostri lavori e discuterci sopra, ricostruire, attraverso la nostra espressività che è anche espressione del nostro vissuto, il nostro essere creativo e i suoi significati oggi, nella nostra lotta.
Per le compagne del gruppo di Milano promotore del convegno insieme al gruppo Immagine di Varese, il concetto di «rivoluzione» è cercare soprattutto il confronto con la «Classe Egemone» attraverso un più ampio spazio contrattuale conquistato con le lotte delle dotale. ,:
Dal loro documento letto al convegno: «…Ed è per questo motivo che spostiamo il problema della donna artista in chiave politico rivoluzionaria e per rivoluzione intendiamo rivoluzione culturale in tutti i suoi aspetti, rivoluzione come concetto di cultura (finora riposta e manipolata dalla classe egemone borghese maschile) rivoluzione come concetto politico per un nostro inserimento reale nella società, come facenti parte attivamente di una collettività che vogliamo diversa… e siamo certe, che questi ribaltamenti riusciremo a ottenerli soprattutto grazie alle emarginate, alle declassate, alle sfruttate, insomma grazie alle donne» e ancora : «Noi vogliamo poter lavorare, poter apportare sempre nuove ricerche, approfondirle, avere dei finanziamenti per sostenere il nostro lavoro, perché anche noi contribuiamo a dare qualcosa alla società». Continuando con; «Noi vogliamo confrontarci con la Classe Egemone, vogliamo far sì che Regioni, Comuni, Sindacati ci appoggino concretamente, in quanto noi siamo portatrici di valori diversi e potenzialmente innovatori» e conclude dicendo: «Trasformare il mondo, cambiare la vita, questi due motti per tutte noi che combattiamo per la nostra liberazione devono essere tutt’uno». Ritengo che il vostro concetto di «rivoluzione» sia molto più vicino a un concetto di politica riformista e emancipatoria che vede le donne inserite nelle attuali strutture di potere (e non è casuale la parola che usate: ribaltamento). I contenuti ambigui e contraddittori del vostro documento erano, gli stessi emersi al convegno anche in altri documenti. Il «reale inserimento» (perché non strumentale, magari?) che voi auspicate in una società capitalistica e fallocratica significa necessariamente usare gli strumenti e i. contenuti che essa ti impone, significa anche che i margini di lotta all’interno sono minimi e esigui, assorbiti e resi inoffensivi dal potere, significa per la donna/artista innanzi tutto riconoscersi nel concetto maschile di artisticità, adattarsi e accettare l’uso dei suoi strumenti organizzativi: mercato, produzione, quotazione all’ interno dei canali e veicoli tradizionali. Significa accettare il controllo del; sistema che assimila e vanifica i contenuti «diversi» riconvertendoli in oggetti, di consumo. La fruizione culturale, risponde anch’essa alle leggi di mercificazione capitalistiche.
potere alle donne
Rileggere il vostro documento solo e esclusivamente in un’ottica emancipatoria forse sarebbe molto meglio, sarebbe più onesto e legittimo, «da oggi potere anche alle donne» ma per favore non usiamo termini come liberazione, rivoluzione o altro, proprio per non cadere in quei disorientamenti e perplessità che ho letto nelle espressioni di molte compagne presenti a Milano, me compresa. Al convegno c’erano diversi livelli di interventi, schematizzando li potrei dividere in: 1) donne professioniste la cui esigenza era quella di ribadire e difendere il loro concetto di professionismo che sta appunto nell’accettare le attuali strutture, «emarginando» la creatività al ruolo di hobby; 2) donne che operano da anni in strutture e spazi marginali, sudati faticosamente e strappati al Mondo Artistico e Critico Maschile, ma con un’ampia contraddittoria problematica maturata su un vissuto di militanza femminista; 3) donne che rifiutando il concetto di artisticità e le sue strutture alternative, cercano di costruire un discorso di analisi e ricerca anche espressiva legato alle lotte del movimento, alle sue pratiche e contenuti di lotta. Dal convegno sono quindi emersi due importanti nodi in discussione da anni nel movimento: il rapporto con le istituzioni e emancipazione e liberazione.
Su questi due temi, rapportati allo specifico arte (o vogliamo già provare a chiamarla con un altro nome, magari «espressioni visive»?) si potrebbero iniziare dei gruppi di lavoro e coordinamento in tutte le città, come già si era proposto al convegno insieme all’idea di trovarsi tra qualche mese su una spiaggia per confrontare le nostre analisi, le nostre ricerche, i nostri lavori. È indispensabile quanto prima un secondo momento di incontro per discutere le contraddizioni emerse a Milano con tutte le donne che operano in qualsiasi campo di espressione visiva, pittrici e scultrici sì, ma anche chi fa fotografia, chi illustra, chi fa artigianato, chi opera nella comunicazione visiva. Troppe di queste compagne erario assenti al convegno Donna Arte Società che ha visto come unica interlocutrice la donna-artista.