poter fare tra donne

«la consapevolezza di essere in quattro è consapevolezza di essere e quindi forza nell’ agire e nel contrattare»

aprile 1978

siamo qui per interrogarci su una ambivalenza che ci pare fondamentale: gruppo di autocoscienza e gruppo di lavoro. Per il primo si intende un piccolo gruppo che si aggrega intorno alle problematiche dell’io, lo viviseziona, spaccandolo in quattro, per poi riunirlo e poterlo gestire con una propria consapevolezza. Nel gruppo di lavoro, invece, ci si aggrega su un piano operativo specifico individuando: a) terreni di lotta; b) modi pertinenti di esserci — in quanto donne — in rapporto ad un prodotto. Con ciò non vogliamo esaurire le problematiche di lavoro di un gruppo, ma semplicemente individuare una linea di tendenza, aprire un dibattito sulle unità trasgressive che determinino rotture con il continuum maschio (istituzioni, gli stati, i papà, potere in genere, le competenze e le competitività etc. età).
Non vogliamo neanche asserire che l’operato di questi due gruppi debba essere contrapposto: se infatti guardiamo allo sviluppo del movimento femminista dal ’67 ad oggi, vediamo queste due linee di lavoro interagire in continuazione, scambiarsi esperienze e priorità.
È per analizzare meglio le modalità di lotta possibili che ci proponiamo di valutare l’operato di un gruppo e cioè delle compagne del collettivo per il Salario al Lavoro Domestico di Ferrara, che hanno presentato il libro ‘«Dietro la normalità del parto» alla Librellula, libreria femminista di Bologna. Nel 1972 le compagne di Ferrara avevano solo una sede conosciuta cui le donne potevano far riferimento. La lotta è partita con un volantino che spiegava fatti di sadismo e di disorganizzazione del personale medico dell’Arci-Ospedale Sant’Anna di Ferrara. Le compagne ci informano che la lotta gli è cresciuta tra le mani. «Basta tacere» libro di testimonianze sulle violenze subite dalle donne nell’ospedale, è stato diffuso a livello nazionale, e le copie si sono esaurite in pochi mesi. Evidentemente moltissime donne si ritrovano nelle esperienze riportate. Denunciare quello che tutti consideriamo normalità ha significato scoprire la realtà di una violenza mostruosa; il rendersi conto con lucidità che si è al servizio degli altri, che si è macchine per far figli, che si è sottomesse alla volgarità dei medici ha significato una presa di coscienza e quindi una trasformazione del concetto di normalità, acquisito ed interiorizzato come giusto da noi stesse e quindi facilmente individuabile solo nei casi più macroscopici. Il valore del lavoro delle compagne di Ferrara è stato quello di rompere la cortina di fumo che vuole le «chiacchiere» delle donne irrilevanti, rendendole rilevanti. Non si tratta più del lamento e della paura secolare del dolore del parto, bensì del capacitarsi di avere la possobilità di non soffrire più, e questo grande potere passa sul livello del controllo sulla istituzione sanitaria, nel costante je t’accuse ai medici e non nel volontariato del cuore della politica su cui si regge la struttura degli ospedali. Capacitarsi, rendersi conto che oltre allo sfruttamento del corpo, c’è quello ancor più sottile: il persuaderci a distribuire dolcezza coatta. Infermiere, pazienti, cioè donne che lavorano e soffrono, hanno sempre il sorriso sulle labbra, una tenerezza e una pazienza che non appaiono altro che naturali. Dietro ciò le gerarchie sanitarie fondano il loro potere; un potere invisibile a chi lo guarda dall’esterno, chi è all’interno, invece, lo subisce, pur essendone cosciente, a causa del livello di disgregazione e di isolamento.
“le gerarchie sanitarie fondano il loro potere”
Le compagne di Ferrara, innanzi tutto, hanno collegato le pazienti, creando uno spazio di riferimento esterno quale piattaforma di lancio da usarsi come rottura all’interno dello stesso ospedale. Inizialmente era scarso il personale paramedico disposto ad agire in prima persona, man mano ha cominciato a capire che le sofferenze causate dai medici alle pazienti si ritorcevano inevitabilmente sul loro operato. I medici, del resto, hanno sempre attribuito ad altro il mal funzionamento degli ospedali: o alle strutture sanitarie o al personale paramedico, insufficiente e impreparato, e sono così sempre stati assolti nel riconoscimento della loro impotenza di fronte alla disorganizzazione ospedaliera.
Il nodo centrale della lotta delle compagne di Ferrara è stato quello di una chiara identificazione della controparte nella figura del medico, senza cadere nel gioco dei rimando, dove la testa del nemico scompare sempre all’orizzonte e finisce che la colpa è di tutti e di nessuno. La forza del loro lavoro si è situata nell’autonomia della lotta. Non si sono più rivolte ai sindacati o ai partiti, ma hanno agito sul controllo diretto, sul
Informazione / scopriamo le nostre radici

terreno della conoscenza e dell’informazione, coinvolgendo dapprima una base cittadina ed in seguito l’opinione pubblica. La divulgazione delle lotte, sia a livello nazionale che internazionale, ha visto interpellate anche donne diverse: avvocatesse, donne medico, le quali si sono identificate non con la classe a cui appartengono, ma con la lotta a cui partecipano. Interrogarsi nuovamente su una lotta, non significa semplicemente gloriarsene, ma significa riaprire un discorso sui gruppi femministi. Ritorniamo per un attimo all’ambivalenza individuata all’inizio: gruppo di autocoscienza e gruppo di lavoro e la loro continua interazione. Quest’interazione nasce dalla coscienza della non rinuncia ai propri bisogni e ai propri desideri, è un cambiare la vita sulla base del bisogno, ribadiamo, non più sacrificio della lotta di classe che vuole le esigenze immediate sottomesse al divenire. Va abolito il rimando ad un domani felice utopico. Il «qui ed ora» prende il sopravvento. Oggi la stampa in genere parla di un ripensamento del movimento femminista, si parla di destrutturazione e non si tiene conto della miriade di gruppi che stanno nascendo dovunque. Gruppi di lavoro sul linguaggio, di riappropriazione degli strumenti tecnici nei più svariati campi, di creatività letta come lavoro ed interesse primario nella propria esistenza e non più come hobby (siano ad esempio a questo proposito i gruppi delle artigiane). Riportare come esempio sia le lotte negli ospedali a Ferrara (quindi una lotta civile e salariale), sia i vari gruppi di interesse, significa vedere il comune desiderio di crearci come soggetti storici, significa quindi una piena gestione del nostro poter fare. È su questo poter fare che si sviluppa una rilettura dei lavori compiuti dalle donne; la consapevolezza che essere in quattro è consapevolezza di essere e quindi forza nell’agire e nel contrattare con i presunti poteri. Non vogliamo però dimenticare le dinamiche del gruppo e i problemi ad esso connessi. Una nuova rilettura del nostro operato, ormai storico, ci sembra fondamentale per non disperderci e per non dimenticare gli assunti fondamentali che (riuscirono ad aggregarci quando ancorai non si intravvedevano vittorie. Lavorare come (donne fra le donne è stato non ricercare un’uguaglianza al lavoro maschile, ma un credo cieco ad un possibile reale del fare e dell’essere.