donna, arte, società

quattro lettere per…

pubblichiamo le lettere ricevute dalle organizzataci del Convegno Donna Arte, Società, tenutosi a gennaio e che per mancanza di spazio non sono andate nel Numero scorso.

aprile 1978

“io sono una organizzatrice? “
Leggo Effe e sto male. Quattro testimonianze contro le organizzatrici. Io sono un’organizzatrice? Sì, sono una di quelle. Lo sono stata, di questo convegno, non volendo esserlo, lavorando, spendendo un mucchio di soldi, incazzandomi, gratificandomi, piangendo, ridendo, stando con le compagne giorni interi, divertendomi. E adesso l’angoscia di difendermi, di giustificarmi, di smentire, di farmi capire dalle donne. Abbiamo aperto il convegno ben ‘ sapendo che la cattedra avrebbe irritato molte donne eppure mi sono detta, non fermiamoci, questa sala non e stata progettata da noi, non è una sala di donne, non esiste e le donne lo capiranno, invece Effe e altre compagne hanno fermato la discussione all’organizzazione, alla cattedra, al microfono, a disagi che noi stesse sentivamo. Forse l’insistenza a parlare dell’organizzazione nasconde la non volontà di sviscerare fino in fondo le nostre paure e le nostre incapacità.
La nostra organizzazione è consistita nell’aver avuto l’idea, aver cercato il luogo, spedire gli inviti, insomma completamente esterna al convegno, ai suoi contenuti e poi abbiamo voluto partecipare e basta. Si poteva decidere tutto. Mi pare molto facile dire che non si è parlato di nuovo linguaggio, di nuovi segni, e chi ne doveva parlare, noi «organizzatrici?». Dovevamo impostare tutto noi, dare una linea? Pro-; pongo di aprire un dibattito sull’organizzazione dei nostri incontri. Vengo all’articolo di Effe. C’è un titolo «all’ombra del totem, fallico», appena sotto una foto «l’inizio del convegno» cinque donne, in cattedra: ci sono anch’io in cattedra, aprendo ci siamo rivolte a tutte chiedendo di organizzarci insieme, non c’era assolutamente una presidenza e dopo poche parole il palco era pieno di donne. Quello della foto è stato uno degli unici momenti in cui eravamo lì sole e molte volte scappavamo. La didascalia dell’altra foto dice: «il convegno continua, ma noi siamo in un’altra sala a parlare» l’affiancamento delle due foto vuol chiaramente far credere alla divisione tra le ‘compagne e le organizzatrici, (che barba questa etichetta) eppure noi eravamo lì nella stessa sala. Noti capisco perché la divisione che si è verificata tra chi sosteneva la professionalità e chi invece parlava di creatività, sia diventata per le compagne di Effe la divisione tra noi e le altre.
Voglio rispondere ad alcuni passi dell’articolo: estrema impersonalità efficientismo non è vero io non sono così, non lo sono mai stata, c’erano donne efficienti e intransigenti, ma non eravamo noi. Non c’era posto per le inibizioni: avere inibizioni incertezze paure non è felicità ma noi le avevamo e le dimostravamo. La mia voce nel microfono tremava, le voci delle donne nel microfono tremavano, ma non per colpa del microfono, a Paestum ad esempio non c’erano microfoni ma io non sono riuscita a parlare perché ho avuto momenti di autentico terrore quando pensavo di avere qualcosa da dire. La paura che ho delle donne è molto più grande di quella che ho per gli uomini. E non solo io. Chiediamoci i motivi. Nomi di alto prestigio: chi erano? Noi non le abbiamo viste, anche perché ne esistono molto poche. Abbiamo invitato tutte le donne, «artiste» e non, non abbiamo attuato discriminazioni, non abbiamo voluto servirci di nessuna. Ela, tu che pensi a Cooper e a Kafka… pensa ai fantasmi che hai alimentato scrivendo su un giornale di donne contro altre donne senza dare la possibilità di un confronto. Dove siamo in questo giornale? sotto, schiacciate dalle vostre parole che qui hanno davvero un peso fisico e la volontà di uccidere. Mi dispiace dirlo, ma lo devo dire, davanti a questo articolo ho sentito la voglia di colpire, di fare del male con l’alibi della purezza e l’abilità e il potere della professionalità (giornalistica). Con questo non voglio negare che dal convegno siano emerse contraddizioni e ambiguità, ma non sono tutte da imputare a noi, mi rifiuto di fare l’agnus dei.
Milli Gandini

 

“abbiamo pensato a un convegno”
Parlate sulle pagine di un giornale e avete il potere di farlo, dico questo perché io ho parlato (scritto) quasi un anno fa delle cose anche minime sulla creatività e anche adesso e il giornale non le ha pubblicate. Perché? mi sono chiesta.
Abbiamo pensato a un convegno dopo esperienze con donne in canali alternativi (cosìdetti): cooperative, librerie delle donne, per dire il vuoto in cui mi sono — ci siamo — trovate, per dire le contraddizioni per parlare di progetti, per sentire le altre. Organizzare si sbaglia. Si tiene conto degli sbagli (?) delle altre e si sbaglia ancora. Non sappiamo cosa ci va bene e diciamolo anche, ma sono false certe vostre affermazioni. Si poteva decidere come fare, come cambiare, come gestire il convegno ma non c’ è stata la volontà, la forza, la decisione, la capacità. Il microfono è uno strumento che amplifica la voce (oltre che strumento maschile) e inutile dire cose contro dato che si desidera sentire, almeno penso. Abbastanza inutile usarlo con una gestualità banale per trasformarlo in simbolo fallico, per distrarre dalle ragioni dell’essere (non) insieme. Si, c’era il bisogno di promuovere un convegno tant’è che ci ritroveremo presto e tanto meglio se al mare per un altro convegno proprio per andare avanti, dopo aver ripensato, per sentire molte voci ancora, voci di donne, per capire le paure e superarle.
Un niente annulla le sicurezze appena acquisite, poche, faticosamente acquisite dopo che ci siamo distrutte dentro e fuori. Avremmo voluto che l’attenzione non fosse unicamente rivolta al ruolo di organizzatrici ma anche alle nostre voci: la mia, quella di Silvia, di Sandra, di Milli, di Mirella, di Maria Grazia, di Maria Teresa, cioè anche quelle che sono state zitte. In questo modo ci siamo sentite cancellate come persone. Sono costretta qui a difendermi e ad accusare mentre avrei voluto comunicare con un linguaggio già un poco diverso. Ma mi fate ancora paura e mi zittite.
Mariuccia Secol

 

“sentì la necessità di un convegno”
Hai deciso che non puoi più subire, che devi muoverti, fare delle cose, non stare sempre a guardare. Hai parlato molto nel tuo gruppo, ti sembra di aver capito e aver approfondito alcuni temi. Senti la necessità di un confronto più allargato, di mettere in discussione le cose che si dicevano poco tempo fa. Allora ti dai da fare per organizzare (si fa per dire) un convegno sulla creatività non limitandolo a pochi gruppi, ma mettendo a confronto due modi diversi di pensare e agire forse perché ti riconosci in parte in tutti e due e hai necessità di chiarire certe contraddizioni che esistono e che vivi. Credi che sia possibile capirsi perché siamo fra donne. Non tieni presente che il giudizio delle donne è più spietato di quello degli uomini. Io ho paura delle donne, sento in loro molta intolleranza, tanta aggressività che è anche in me, la non disponibilità ad approfondire, ad ascoltare a capire. Abbiamo scritto delle cose, frutto di discussioni, ripensamenti, verifica di comportamenti, di esperienze. Su Effe si spara a zero sull’organizzazione del convegno, ma non si dice una parola di quello che abbiamo espresso, non si, cerca di capire, di formulare e stimolare un dibattito. Ci si sofferma soprattutto sul microfono, il tavolo, le poltrone fisse, gli interventi scritti. Non si vuole un’organizzazione ma non si fanno proposte quando si chiede il parere di tutte le partecipanti.
Siamo state accusate di essere rigide e burocrate perché stavamo sedute ad un tavolo vicino ad un microfono per evitare che venisse strappato di mano alle compagne come di fatto è avvenuto quando ce ne siamo andate.
Silvia Cibaldi
gruppo femminista «Immagine» di Varese

 

” avete gestito e strumentalizzato il tutto”
Care compagne, ho appena terminato di leggere su Effe di febbraio l’articolo sul Convegno «Donna Arte Società» tenutosi a Milano il 14 e il 15 gennaio e sono rimasta estremamente sorpresa di come avete gestito e strumentalizzato il tutto.
A parte le interviste, tutte più o meno sullo stesso tenore… chissà perché avete scelto solo certi interventi e non altri —magari contrastanti— per dare un giudizio più obiettivo su detto convegno,., ma mai niente viene fatto casualmente!!) già le due fotografie pubblicate (con relativi sottotitoli) volevano indirizzare ad una certa lettura, La prima dall’apparenza (e solo apparenza) formale e burocratica — evidentemente amate molto la forma e non andate a fondo ai contenuti… infatti il convegno è stato indetto in maniera autonoma, senza presidentesse! e via dicendo… e se c’erano microfoni ad un tavolo centrale non potevamo bruciare il Centro Internazionale di Brera per soddisfare le esigenze di certe compagne; la seconda, dall’apparenza libera, fa parte di un secondo e breve momento (cioè quando abbiamo chiesto ad un gruppo di compagne a «voi» — come vi definite — di riunirsi nella sala superiore per arrivare ad una proposta da realizzarsi in un prossimo futuro. E la proposta, dopo circa una ora di discussione c’è stata! Proposta naturalmente molto politica oserei dire «rivoluzionaria»… (è così bello pronunciare questa parola, da tener sempre e solo sulla bocca!): «Riunirsi fra qualche mese su una spiaggia». A parte -questa parentesi vi ho scritto solamente per dirvi e sottolineare il fatto che anche voi, come tutti i giornali, strumentalizzate ogni cosa e date un taglio che non corrisponde alla verità presa nella sua globalità. Ciao.
Fernanda Fedi