convegno violenza
processo per direttissima
«Operare per uri anno e mezzo quotidianamente contro la violenza ha significato…»
il tema della violenza sulle donne è stato nell’ultimo anno e mezzo il terreno di elaborazione e di lotta del movimento. Dalla prima grande uscita in piazza con lo slogan: «… riprendiamoci la notte…» gli interventi del movimento si sono concretizzati con la presenza ai processi politici chiesti dalle donne che hanno denunciato gli stupri subiti (Cristina a Verona, Claudia a Roma, Anna Maria a Napoli) pretendendo attraverso ima difesa femminista il processo a porte aperte, il processo per direttissima contro gli stupratori, la costituzione di parte civile del movimento. All’interno di questo lavoro politico il Movimento Liberazione della Donna ha aperto dei centri contro la violenza sulle donne in molte delle città dove è presente. Si è costituito un coordinamento di donne avvocatesse per dare assistenza legale quando fosse necessario, ed insieme al collettivo ha proposto una modifica dei codici complici di questa realtà di violenza che subiamo. Operare per un anno e mezzo quotidianamente contro la violenza che le donne ci venivano a denunciare ha significato: denunce contro mariti, padri ai commissariati e dunque problemi con la polizia, la necessità di trovare un alloggio per le donne che lasciavano le case, necessità di trovare lavoro per le casalinghe che «non ne avevano», necessità di un «posto» per le minorenni che scappano di casa e avere a che fare con il tribunale dei minori… Da qui la esigenza di incontrare il movimento, quello italiano ed estero per poter avere scambi di informazioni sulle elaborazioni di nuove proposte sul lavoro fatto e preparare un programma politico comune. Per questo volevamo il convegno, ma… la vastità del tema, diviso in molte, commissioni, e la lettura delle relazioni scritte dalle compagne hanno occupato molto spazio il lunedì alla Aula Magna dell’Università. Se tutto questo non poteva assolutamente essere evitato, ci è costato però la mancanza assoluta di dibattito sulle proposte politiche uscite dalle commissioni. Se è vero che dobbiamo rendere politico il nostro personale, dobbiamo agire a due livelli: dire basta alla violenza del rapporto in famiglia, nella coppia, tra di noi e analizzare il perché una decisione politica, è e deve essere altrettanto politico in senso femminista fare proposte per mutare leggi, codici, istituzioni che ci opprimono e ci relegano al nostro ruolo. Non aver dibattuto, non aver tradotto in proposte politiche generali alcune indicazioni di commissioni, come quel, la sullo stupro e sull’aborto, è la cosa che ci ha lasciato più scontente. Rifiutiamo però totalmente l’analisi negativa di questo convegno fatta, attraverso stampa, Rai-TV, da diverse compagne che, per la loro storia personale privilegiata hanno potuto avvicinarsi al femminismo già da diversi anni hanno potuto elaborare all’interno del loro gruppo e/o attraverso la stampa femminista, analisi e, prassi nuove. Affermare che non si è andate oltre quello che il movimento aveva già individuato, forse è vero, ma significa anche non tener conto alcuno dell’enorme crescita che questo ha fatto negli ultimi due anni, delle tante giovani anziane, «autonome», casalinghe, che sono entrate a farne parte e che non avevano già «elaborato», «vissuto», «analizzato», «parlato» e che «non hanno ancora preso coscienza»… Anzi crediamo proprio che sia questo il nodo da affrontare, come cioè rapportarsi tra di noi con diverse esperienze politiche vissute alle spalle, ed andare avanti tutte insieme su un progetto non scritto e tutto da proporre volta per volta. Rifiutiamo anche l’accusa fatta a questo convegno, da parte di certa stampa, di apoliticità, di chiusura nel nostro ghetto perché non ci siamo espresse sui gravissimi fatti politici avvenuti pochi giorni prima. Vogliamo dire che individuare la violenza che le istituzioni operano su di noi attraverso la famiglia, la divisione dei ruoli, la repressione della nostra sessualità, è per noi fare politica. Dedicare l’ultima giornata del dibattito generale al rapimento Moro, avrebbe significato porre avanti, come sempre finora abbiamo fatto, esigenze generali alle nostre rinnegando la nostra identità di movimento quale siamo. Avremmo solo reso contento chi continua a fare politica ‘ solo attraverso «le prese di posizioni» senza di fatto cambiare la realtà quotidiana.
ERRATA CORRIGE
Per un errore di stampa l’articolo «La coscienza del cibo», apparso nel numero dì marzo a pag. 11 «risultato incomprensibile. Va invece letto così: il testo dalla nona riga della seconda colonna di pag. 11 fino alla fine (firma compresa), va letto di seguito all’ultima colonna di pag. 13. Risulta: «raramente sperimentato…». Scusateci.