aborto: collettivi a confronto
dopo gli incontri di Roma a luglio e a Prato a settembre, il movimento nella sua grande maggioranza non si è riconosciuto nella bozza di legge presentata in discussione e soprattutto non ha ritenuto, di portare in Parlamento, in senso positivo, quella legge. Si è capito che per battersi per una vita diversa e affrontare il problema dell’aborto occorreva stabilire una maggiore e più approfondita comunicazione fra le donne a partire dalla sessualità. Gli interventi che riportiamo vanno appunto in questo senso. È triste comunque vedere come 300 donne (presenti al corteo del 20 novembre a Roma), siano passate sopra quel bisogno e quel tipo di ricerca di comunicazione che si era stabilito nell’incontro di Napoli.
roma: centro della donna comitato romano anticoncezionali e aborto
il movimento femminista che ha sempre usato ed è cresciuto sulle comunicazioni verbali (momento di cono-scienza diretta) si trova oggi di fronte ad un comunicato, di poche righe, in cui si indice una manifestazione nazionale sull’aborto per il 20 novembre. Ci viene spontaneo, laddove la nostra comunicazione non è giunta, dire chi sono queste compagne che la indicono e perché gran parte del movimento e quasi tutti i collettivi romani non sentono propria questa scadenza e decidono di non partecipare a questa manifestazione.
Precisiamo subito che è stato proprio per la lotta del movimento femminista che l’aborto è diventato un problema politico e che rivendichiamo fino in fondo tutto il discorso che c’è dietro la parola d’ordine «aborto libero, gratuito e assistito». Oggi non pensiamo proprio di essere diventate antiabortiste e di abbandonare questo terreno di lotta, ma ancora una volta ribadiamo che affrontare il problema dell’aborto significa lottare per una sessualità ed una maternità differenti e cioè sul nostro diritto a disporre di noi e del nostro corpo. Tutto il movimento si è verificato nei mesi scorsi a partire dalle prime riunioni del Coordinamento dei Consultori per arrivare a quella scadenza fondamentale (per noi di Roma) che è stato il convegno dei collettivi femministi romani del 6-7 novembre, una fase di riflessione e di crescita sulla situazione del movimento rispetto alla legge sull’aborto. Siamo riuscite ad innescare un processo di ricomposizione del nostro personale individuale e come collettivi sul problema della sessualità e della maternità. Questo è potuto accadere perché tutte sentivano l’esigenza di entrare in comunicazione e ancora una volta l’autocoscienza ci ha dato la possibilità, finalmente, * di costruire quel terreno comune a noi donne indispensabile per stare insieme.
Nello stesso modo abbiamo deciso di essere presenti a Napoli per metterci in discussione per prime, per cercare di ritrovare con tutte le compagne, in coordinamento nazionale, la possibilità di conoscerci, di confrontare i nostri vissuti, rispetto al dramma alla gioia al dolore, alla maternità e sessualità,
per far nascere l’intelligenza collettiva che sola ci permette di andare avanti autonomamente come donne. É solo da questo processo, che nega nei fatti la possibilità e volontà di decidere per le donne e sulle donne, che oggi ci sentiamo pronte a scendere in piazza o a trovare momenti di lotta che nascano dalla nostra autonomia di persona, dalla nostra storia di donna. Al convegno di Napoli di sabato e domenica c’è stato un continuo tentativo di spezzare l’unità del movimento riproponendo schematicamente «la necessità di manifestare contro la legge che sta passando in parlamento». Ma queste 40 donne (che hanno deciso di organizzare una manifestazione nazionale per tutte le donne) non rappresentano la «disomogeneità» — che rivendichiamo come base della nostra unità — del movimento femminista stesso, ma solo un momento di divisione che denuncia la subordinazione alla politica e alla logica maschile. Sappiamo che è difficile esprimere il «femminile», non basta il linguaggio, le parole riescono ad esprimere bene il politico, l’economico, i rapporti di produzione, la guerra la violenza, ma non l’intimità del dramma di essere donne e la gioia di essere insieme.
A Napoli abbiamo espresso il rifiuto nei confronti della prevaricazione di questa minoranza organizzata che ci imponeva l’aborto come un obiettivo rivendicativo immediato, mentre noi volevamo esprimere la violenza che c’è dietro ogni maternità e la violenza di chi se ne sente espropriata. Vogliamo manifestare contro chi violenta nelle strade e nella famiglia, contro chi ci violenta negli ospedali, contro un parlamento che ci violenta negandoci la possibilità di decidere se essere madri o meno. Vogliamo esprimere, anche manifestando, non solo la lotta contro chi ci nega l’esistenza, ma anche il nostro desiderio di esistere. Per preparare questa manifestazione ci vediamo martedì 23 alla casa dello studente alle ore 17.
roma: movimento femminista romano
via pompeo magno
NOI DONNE del Movimento femminista romano che da anni ci battiamo per l’aborto libero gratuito e assistito non riteniamo di dovere entrare nel merito .della formulazione della legge, sull’aborto. Per questa ragione, ci dissociamo dalla proposta di legge elaborata e discussaci convegno tenutosi a Roma il 1-11-12 settembre e indetto dal Coordinamento nazionale consultori. Siamo contro ogni legge migliore quella più «a favore» è una limitazione alla nostra autonomia presupponendo la richiesta di un controllo su di noi. da parte della società patriarcale. Qualsiasi proposta di legge, non importa quale finalità si proponga, è contraria all’interesse delle, donne e perciò.
Contraria ai contenuti e ai metodi espressi dal Movimento delle donne; in anni di lotta. Noi non vogliamo fornire un alibi a quei medici, che sotto il preteste» dell’obiezione di «coscienza»; si rifiutano di esercitare una professione per cui sono ampiamente pagati, noi non vogliamo fornire un alibi a una società che produce individui sfruttatori e violenti . suggerendo le «punizioni» per quegli uomini che costringono le donne ad abortire contro la’ loro volontà (vedi datori di lavoro; medici, partners, sessuali), né tanto meno, stabilire noi entro quale termine una donna può abortire. Da sempre noi donne abbiamo deciso perché e in quale periodo della gravidanza abortire. Rivendichiamo fino in. fondo una medicina della donna gestita dalle donne contro il sadismo della medicina maschile e contro, là speculazione clientelare dei politici nella .gestione delle strutture pubbliche preposte all’attuazione del l’aborto. Nel denunciare ancora una volta il grossolano tentativo di strumentalizzazione dei partiti .sull’aborto; riaffermiamo che l’aborto non è reato ma l’ultimo rimedio a una violenza subita. La nostra lotta ‘è; contro l’espressione di una sessualità violenta,, coatta e ripetitiva che mette noi donne nella condizone di dover abortire.
milano: un gruppo di donne di via coi dì lana
Non esprime tutto il Movimento delle Donne la proposta di legge che alcuni gruppi femministi hanno presentato in Parlamento. Non esprime ad esempio noi che, pur vivendo la contraddizione dell’aborto, non ‘ vogliamo che questa nostra sofferenza venga confermata e legiferata.
È evidente che l’abolizione dell’aborto come della prostituzione, non si ottiene attraverso la sua legalizzazione. Non è vero .che la regolamentazione ed il riconoscimento legale e ufficiale in comma e codicil li rende più, facile la modificazione di queste realtà e delle loro cause.
L’unica cosa che vogliamo.da una legge è la cancellazione del reato, dunque la depenalizzazione.: Allora perché alcune donne che hanno scelto.di muoversi sul terreno della legge non si sono limitate a proporre e a sostenere là depenalizzazione, del reato di aborto? Forse sono convinte di poter usare gli strumenti, del potere per scalfirlo e ritagliare alle donne- uno spazio che .la società non concede? Esiste uri punto in cui. le necessità del sistema patriarcale e capitalista sembrano coincidere coi bisogni delle donne: Sono proprio questi i momenti, in cui occorre far chiarezza sui nostri reali bisogni.
Le donne del Movimento che nel proporre questa .legge sperano di dare maggiore potere e forza a tutte le donne si trovano di fatto a sostenere un piano di regolamentazione delle nascite che non ci appartiene. Inoltre si basano su un’analisi essenzialmente di tipo economicistico : autodeterminazione intesa’, come riappropriazione da parte delle donne di quella,che si può considerare . la loro . produzione specifica, cioè i figli. Tutto questo le costringe a-farsi carico di una serie di conseguenze le- cui. ambiguità non portano a.reali passi avanti per il Movimento. I problemi riproposti sono riassumibili in questo modo:
a) subordinazione agli interessi dei partiti e, della logica parlamentare;
b) affidamento ad una regolamentazione esterna, quella.dello stato e delle sue istituzioni, in palese contrasto col principio, più volte proclamato, dell’autodeterminazione;
e) necessità, una volta che esista una tale regolamentazione, di impiegare energie in una lotta essenzialmente difensiva e dipendente da tutte le istituzioni: .ospedaliere, giudiziarie, amministrative, in un momento in cui il Movimento delle Donne ha bisogno .di tutta la sua autonomia per approfondire i contenuti specifici su cui è nato e per acquistare forza. ‘ ‘
Ma se questo è l’aspetto più vistoso della contraddizione, trascurabile solo per le donne che considerano la lotta un momento, specifico interno all’unità di classe, non c’è dubbio che la presentazione di questa legge, che dovrebbe rappresentare la volontà delle donne sulla questione dell’aborto, implica conseguenze molto più gravi.
A) Divide le donne e riduce la credibilità della loro lotta non interrogarsi sul problema della sessualità, del rapporto uomo-donna; e scegliere di partire dalla maternità come condizione sociale generalizzata delle donne significa di fatto essere costrette a proporre come obiettivo di massa la negazione della maternità stessa. È la lotta più impopolare contro una funzione che, contraddittoriamente, è stata un tempo motivo di oppressione ma anche di sopravvivenza e di realizzazione sia pure simbolica e alienata (la vita del figlio al posto della propria, la maternità al posto di ogni altro fare).
I gruppi che hanno firmato questa proposta di legge sull’aborto finiscono in realtà per sostenere una «liberazione in negativo» intesa come ribellione della donna alla funzione riproduttiva in quanto storicamente castrante; e nell’aborto libero urlato nelle piazze proclamare il blocco e la sospensione del desiderio di maternità. Ma in noi esiste anche il desiderio di non dover desiderare l’aborto. La decisione di mettere al centro della nostra ricerca il rapporto uomo-donna, l’analisi e la modificazione della nostra sessualità, se ha comportato in una fase iniziale la messa tra parentesi del problema della maternità e della procreazione, ci è servita comunque ad evitare di innalzare come bandiera della liberazione la negazione di un aspetto della nostra materialità che può essere discusso, modificato, ma non certamente negato. Nessuno infatti può escludere che, sciolta la dipendenza dalla sessualità maschile, il corpo . della donna possa esprimere questa capacità biologica in modo totalmente diverso.
B) Crea confusione e diffonde un’opinione fuorviante del concetto stesso di autodeterminazione rispetto al significato che esso ha assunto già da tempo per il Movimento delle Donne. La confusione tra sessualità e maternità, l’identificazione del corpo della donna con la funzione procreatrice e il ruolo di madre-donna dell’uomo, fanno sì che lo slogan “autoderminazione e gestione del proprio corpo”, applicato alle battaglie per l’aborto, suoni molto ambiguo.
La procreazione che conosciamo ha subito una tale violenta integrazione nella sessualità maschile, che proporre di gestirla e di regolamentarla è come proporre di lottare dentro l’alienazione anziché liberarsene. Autodeterminazione a proposito di aborto può pertanto avere solo un significato molto restrittivo, quello cioè di rivendicare alla donna la possibilità di difendersi contro gli interessi o i disinteressi degli altri (mariti, compagni, medici, preti, ecc.). Lo stesso vale per l’aggettivo “libero”. Aborto libero vuol dire libero dalla sanzione, non affermazione di una pienezza di sé conquistata attraverso l’aborto. Aborto libero solo perché liberatorio da un male peggiore. E se in questo caso parlare di libertà di scelta rispetto al proprio corpo e alla propria sessualità è un autoinganno, ci pare anche un inganno credere di difendere realmente le donne concedendo per legge illimitati limiti: la proposta Pinto-Corvisieri a noi risulta terroristica verso le donne stesse perché scavalca senza incertezze e timori tutto il dramma legato all’aborto e la disperazione che solo può spiegare, l’interruzione di gravidanza, e scarica, sulla donna, lasciata sola a decidere, la violenza sessuale, sociale ed economica di (tutta la società.