c.r.a.c. il punto sull’aborto

novembre 1976

la proposta di legge elaborata da una parte del coordinamento nazionale dei consultori è stata consegnata a DP, dove ha scatenato tra le varie organizzazioni una discussione violenta ed infine la rottura. Alla fine Pinto (di LC) e Corvisieri (di AO) l’hanno fatta propria, mentre il PdUP si è dissociato, proponendo di portare avanti in Parlamento la battaglia per gli emendamenti. La spaccatura è avvenuta sullo stesso tema del termine consentito per l’aborto, che aveva già creato tanta angoscia e tanto sconcerto all’interno del Movimento. Il CRAC si è dissociato dalla proposta di legge, motivando le ragioni della dissociazione in una conferenza stampa alla Maddalena. Il CRAC si propone di rilanciare nel Movimento la mobilitazione e il confronto sull’aborto nei modi che riterrà più opportuni e più vicini alla pratica femminista. La riunione del Coordinamento Nazionale dei consultori, indetta in luglio per il 3-4-5 settembre, su proposta del Crac è stata rimandata al 10-11 settembre. La decisione di rimandarla è stata presa dalle compagne del Crac per due motivi principali; innanzitutto perché il livello di discussione all’interno dei vari collettivi richiedeva ancora tempo (pausa estiva ecc.), in secondo luogo perché era nata nel Crac un’urgente esigenza di chiarezza sulla natura e la rappresentatività reale delle riunioni nazionali del coordinamento fin lì svolte, Infatti all’interno di queste riunioni sembrava volersi imporre sempre più evidente ed incontrollabile, la volontà di parlare a nome di tutto il movimento femminista, soprattutto da parte di alcune compagne estranee alla pratica dei consultori. Il Crac aveva quindi sentito l’esigenza di spiegare questa volontà di chiarezza con un comunicato-stampa, in cui definiva che al coordinamento dei consultori potessero partecipare solo le compagne ed i collettivi che si occupano specificatamente dei problemi dell’aborto, contraccezione, consultori. Nella riunione nazionale di Roma (teatro Mongiovino) questa esigenza è stata ampiamente criticata, nonostante che al problema reale della rappresentatività del movimento in quella sede non fosse stata data nessuna risposta chiara. L’atmosfera è stata angosciosa e nel complesso carica di aggressività. Molte compagne sono letteralmente fuggite di fronte ad una assemblea femminista che sembrava trasformarsi ogni momento in un congresso di partito. Inoltre c’erano problemi di contenuto che possiamo oggi considerare «nodi non risolvibili», ad esempio il termine entro il quale si può praticare l’interruzione della gravidanza, che ha visto il coordinamento letteralmente spaccarsi in due. Questo punto ha suscitato un dibattito molto ampio forse molte di noi lo affrontavano per la prima volta, in modo così approfondito; in conclusione di assemblea non eravamo riuscite a trovarci d’accordo su come porre la questione, da un lato della protezione (non punibilità) delle donne, che per disperazione o impossibilità di trovare altre soluzioni, fossero costrette ad abortire oltre il termine delle 22 settimane. Sulle 22 settimane però c’è stato un sostanziale accordo, essendo questo il termine oltre il quale si riconosce generalmente al feto la capacità di vita autonoma, Un altro grosso problema di cui si è discusso nel coordinamento senza arrivare ad una conclusione unanime riguarda la scelta tra la proposta di Torino, di presentare una vera e propria proposta di legge, di cui sostanzialmente DP avrebbe dovuto farsi carico, o una piattaforma programmatica (manifesto) su cui ‘rilanciare la mobilitazione nel movimento, oppure ancora una proposta di legge di iniziativa popolare che evitasse la delega alle forze politiche delle istanze del movimento delle donne. Sostanzialmente si possono riassumere tre posizioni: — serve articolare una legge in tutti i suoi particolari perché si possa tradurre l’esperienza pratica di autogestione dei consultori e dell’aborto in indicazioni da generalizzare, nascenti dall’esperienza compiuta in prima persona dalle donne;

conviene rilanciare la mobilitazione nel movimento sui temi dell’aborto e della contraccezione con una legge di iniziativa popolare, che serva inoltre a mantenere esplicita l’autonomia del movimento delle donne e la sua non identificazione con varie forze politiche;

non ci si può mettere sul terreno parlamentare innanzitutto perché esso risponde sempre ad una logica diversa, se non proprio contrapposta, a quella del movimento delle donne (essendo esso una delle istituzioni in cui massima è l’esplicitazione del potere maschile); quindi se si vuole agire comunque, su quanto avviene in parlamento circa la legge sull’aborto è indispensabile creare la mobilitazione più ampia possibile delle donne che incide realmente, attraverso una forte pressione ed un crescente approfondimento, sui livelli di mediazione contro le donne che ogni partito può compiere. Per fare questo però, è indispensabile innanzitutto mantenere ben salda ed esplicita l’autonomia del movimento dei consultori evitando quindi che la sua azione si riduca alla scrittura della proposta di legge di un gruppo parlamentare.In secondo luogo bisogna scegliere alcuni nodi qualificanti (libera scelta del la donna, socializzazione fra donne e, non tanto con il medico, rappresentante peraltro di medicina e strutture e cultura ostili alle donne, controllo sulla qualità dell’assistenza ecc.) sui quali concentrare una grande campagna, che abbia una reale capacità di mobilitazione in quanto parta dal vissuto reale ed immediato di ogni donna dell’espropriazione del suo corpo e dell’isolamento, aprendo un confronto ed un dibattito amplissimo del movimento al suo interno e con l’esterno.Anche su questi problemi il coordinamento non aveva raggiunto una conclusione unitaria. Ci sono stati dei momenti allucinanti in cui una parte delle compagne presenti, dichiaratesi «pro legge» non volevano assolutamente far parlare le compagne «anti-legge», in cui si era persa completamente traccia dei contenuti e del senso di una pratica femminista che avrebbe richiesto perlomeno che parlassimo della terribile alienazione che quella assemblea ci suscitava, di tutta la violenza che sentivamo di subire e di fare, del rifiuto di una fretta di decisione che certe compagne cercavano di imporre perché: «Democrazia proletaria aspettava ancora per presentare la sua proposta di legge». Alla fine moltissime compagne erano andate via, molti collettivi si erano dissociati, o formalmente o attraverso l’abbandono dell’assemblea, della proposta di legge che imperterriti una schiera di compagne continuava a proporre ed elaborare. Anche il Crac di Roma si era dissociato dalla presentazione all’esterno di qualunque bozza di progetto di legge che potesse uscire dall’assemblea. Si era raggiunto un accordo solo su un comunicato che precisasse che non si era arrivate a proposte concordi. Ci sono state poi alcune compagne che hanno dichiarato a «Lotta continua», al «Quotidiano dei lavoratori» al «Manifesto» un testo di bozza di legge, oltre il comunicato, per di più specificando la dissociazione di soli due collettivi, dando così per implicita l’adesione di tutti gli altri. Nel mezzo della parte più burrascosa dell’assemblea una compagna di Lotta continua di Milano aveva proposto alla votazione una mozione con la quale si convoca a Milano il sabato seguente (19-IX) una manifestazione nazionale per Seveso e per «l’aborto libero, gratuito ed assistito». Alcune compagne avevano detto che non capivano perché proprio in quel momento dovessero votare su queste questioni; ma la mozione è stata comunque approvata. Nel corso della settimana il coordinamento di Torino ha convocato per domenica, il giorno seguente alla manifestazione una riunione per ultimare i dettagli del progetto di legge, dando così per buona la sua accettazione sostanziale da parte del movimento dei consultori. Da quella riunione è uscita anche una premessa in cui si dichiara che l’aborto è comunque una violenza, che non è certo con una legge che si risolve il problema del controllo della maternità e si è chiarito che il progetto di legge (che verrà presentato in una conferenza stampa) raccoglie le adesioni solo di una parte del movimento dei consultori, per non parlare né di tutto il movimento delle donne, né di tutto il movimento femminista. I nodi irrisolti sono moltissimi e comunque si spera che il movimento divenga finalmente più ampio, più corretto e meno astratto dalla pratica dell’autocoscienza, che certamente nel corso di questa assemblea non c’è mai stata.