luna di miele nel pornoshop

novembre 1976

care compagne, sono stata una giovane fanciulla ben pensante, con il mio bravo carico di tabù sessuali e di regole di società. Figlia unica di una coppia possessiva ed iperattiva, non è stato facile sviluppare la mia personalità ed insomma i risultati sono criticabili. Così per tutti gli anni della mia giovinezza ho trovato più facile ubbidire ai miei genitori che non oppormi e vivere in prima persona, risultato: matrimonio borghese con un uomo che dava a tutti le migliori garanzie di un fulgido avvenire professionale e familiare.

Per oppormi ai dictat familiari del resto avrei dovuto temprare il mio carattere, mentre le gonne di mia mamma erano pronte a nascondermi. Mio padre d’altronde sapeva inconsapevolmente trovare la maniera più efficace per spaventarmi: creando un potente complesso d’inferiorità… io ero meno brava, meno buona delle mie compagne e provate a togliere la considerazione paterna ad una figlia unica vedrete che disastro. Si è creato allora quel rapporto di dipendenza frustrante e di insofferenza polemica che ha segnato pesantemente i miei rapporti con l’altro sesso. Mia madre avendo lavorato sin da ragazza ed essendo settentrionale, accettava per tradizione la leadership del marito, ma esigeva rispetto e tentava le discussioni. A lei devo certamente la coscienza di essere prima una persona e poi una donna. All’epoca del mio matrimonio, regolarmente celebrato con la pompa «necessaria» per la sua classe sociale, la mia posizione subalterna si delineò subito e le mie rimostranze, pacate trovavano sempre la medesima replica se non ti va bene così la porta è aperta! E io a sciogliermi in lacrime di orgoglio ferito e con la sensazione di essere impotente a modificare la situazione.

La sua tracotanza di maschio latino, gli permise anche, durante la luna di miele di portarmi a Stoccolma a visitare i primi pornoshop (io lo aspettavo fuori seduta sui paracarri). Non parliamo poi delle edicole che erano già completamente liberalizzate per la esposizione del nudo di qualunque tipo, come lo odiai per la mancanza di sensibilità, mi sentii defraudata come donna ed anche come «sposa tradizionale» al vederlo andare a cercare l’eccitamento nelle diapositive a pochi giorni dal matrimonio. Ancora oggi che ho riconsiderato tutti gli aspetti del rapporto uomo-donna, e che mi sono liberata da molti condizionamenti e che vedo la nostra coppia di allora tipica nei suoi atteggiamenti maschile-femminile, non posso perdonargli la mancanza di sensibilità per i miei sentimenti e le mie impressioni. Ma un episodio dopo l’altro, non avevo fatto i conti con la mia anima, un po’ eroica ed un po’ artista. D’altronde i grandi principi mi erano stati inculcati e la colpa non era tutta mia, la fantasia poi non si può imbrigliare e quando ho esaurito tutte le riserve di pazienza che il matrimonio con una persona sbagliata prosciugano inevitabilmente, la crisi è stata inevitabile. Avevo un marito assente sul piano dell’intesa intellettuale e sessuale, arido e formale fino alla comicità e ho preso una formidabile cotta per un collega. Questi, artista affascinante ed appassionato, è stato l’episodio di. frattura che mi ha allontanato decisamente solo per la gran paura di dover vivere quest’unica vita chiudendomi ancora di più in una situazione fin troppo nota. Non potevo certo pensare di vivere su due piani (marito e amante) e non perché mi fossi già emancipata dai ruoli introiettati, anzi proprio perché la morale non me lo permetteva. Così ancora prima di separarmi, avevo chiuso la parentesi sentimentale dopo averla razionalmente ridimensionata, smontata. Ero ormai convinta che la crisi coniugale non dipendeva dall’incontro, ma dall’impossibilità di continuare a vivere senza esistere in prima persona. Chi mi ha dato la forza di affrontare le famiglie, i sensi di colpa nei confronti dei figli, la paura del futuro materiale e morale che insorgevano minacciosi da tutti i consigli delle persone «ben pensanti»? L’istinto di sopravvivenza, perché stavo così male, dalla depressione ero passata alle fobie, che tutto sommato preferivo affrontare la battaglia piuttosto di sentire di non farcela a continuare nel matrimonio e tutto sommato ero ancora utile ai miei figli. E sì, il mio ruolo di madre mi ha codizionata allora e tante altre volte, attendando la mia libertà interiore, ma la mia era stata una maternità tradizionale, necessaria. Sono dovuti passare diversi anni, prima che sentissi di amare liberamente i miei bambini senza sensi di colpa, senza doverlo dimostrare, infischiandomi anzi dell’opinione altrui. Del resto quando durante questi anni, ho sentito la necessità contro l’ansia e le sue conseguenze, ho sempre trovato medici che mi dicevano: «ma lei ha due figli, il loro affetto, la responsabilità di crescerli è più che sufficiente per riempire una vita». Non è mai stato vero, la mia sessualità si è rivelata esperienza dopo esperienza importantissima insieme a tutti gli altri sentimenti legati al rapporto con un uomo. Ma cos’altro avrebbe potuto dirmi un uomo, un medico poi «il padrone della vita», dei miei problemi, di come mi realizzavo come donna. La prima vera relazione iniziò un anno dopo la separazione quando provavo un gran desiderio di ricevere amore e affetto come contraccolpo dell’altra storia. Questo compagno, dolce, intelligente, premuroso era l’antitesi perfetta del primo. Con lui ho trovato la mia dimensione di donna desiderata e corrisposta. Il nostro rapporto sessuale è diventato un problema fino al rifiuto, solo alla fine della nostra storia, andando così per me parallelamente all’intesa sentimentale. Ma fin dall’inizio aveva subito un’ipoteca pesante: la differenza d’età. O per lo meno questo è stato un problema per molto tempo fino a quando non mi sono convinta che la ragione estetica per cui una donna di solito è più giovane del compagno è dovuta, come tutti i nostri problemi, a questa sorta di servitù che ci lega all’uomo: come oggetti decorativi, quindi gradevoli, specie se giovani e sani. Che l’importanza era invece piacersi a tutti i livelli ma i suoi atteggiamenti un po’ insicuri per me significavano mancanza di esperienza e vivevo con la paura di una sua evoluzione inaspettata. Stava ancora studiando e temeva lo scontro con la vita, con il lavoro. Era semplicemente un insicuro, ma io temevo che potesse diventare come mio marito malato di grandezze e di successo una volta entrato nella professione. Ma l’insicurezza che minava alla base il rapporto era mia e la sua possibile involuzione nascondeva la mancanza di fiducia in me stessa, il non sentirsela di rischiare. Così un po’ per volta, mettendo sempre tutto in discussione, lo lasciai. Ma nel frattempo mi ero anche creata un alibi, la figura alternativa, il modello con cui confrontarlo: un amico che conoscevo da ragazzina. Proprio «il primo amore» che avevo ritrovato dopo tanti anni separato a sua volta e pieno di problemi. E mentre continuava la relazione, il primo incontro sentimentale con la nuova e vecchia fiamma bastò a saturare l’altro rapporto. Così dopo aver ricevuto tanta dedizione e tanto amore evidentemente ero di nuovo pronta per dare a mia volta. Ma questa è stata l’esperienza più strana, profonda ed insoddisfacente della mia vita, perché la persona che amavo era ancora più spaventata e problematica di me, così sin dall’inizio ha rifiutato un rapporto di coppia per la paura di vederlo fallire e di soffrirne tutti e due. Così per un anno è continuata una schermaglia in cui eravamo coinvolti sentimentalmente solo a livello cerebrale senza riuscire ad arrivare ad un rapporto sessuale che era sentito da lui troppo impegnativo sul piano affettivo. Proprio lui che dichiarava di non credere più nelle coppie aperte né a quelle chiuse e che si sentiva realizzato solo nel sociale… E allora pur continuando a volergli bene, senza illusioni perché ormai lo conoscevo, ha avuto ragione lui perché a un certo punto non ho più sopportato la tensione e sono scappata. Se avessi avuto meno paura non mi sarei stancata ma lui non sarebbe stato lo stesso, siamo come siamo e adesso è anche troppo scontata la reazione, desidero solo situazioni chiare, semplici. Ma è possibile? Se un uomo mi piace mi scopro con l’angoscia di essermi sentita un oggetto per lui perché io avevo già proiettato il piacere sul piano dell’affettività, oppure mi trovo con il timore di trattare lui come un oggetto, ma a questo punto s’innesta il difficile discorso della sessualità, che se nasce da una scelta sentimentale può aprire la voragine del vuoto affettivo contro il desiderio innato della continuità del rapporto.