coppia come castrazione
non ho mai avuto un rapporto di coppia, se appunto si intende un rapporto fatto di determinate componenti: conoscersi, accettarsi, avere più o meno gli stessi gusti e tipo di vita, godere della reciproca sessualità. Credo di aver sempre visto nell’uomo un pericolo per la mia realizzazione di «essere sociale», ho sempre avuto paura di essere limitata, condizionata, di perdere la mia libertà, di trovarmi in qualche modo fregata. Per libera associazione «coppia» per me è sinonimo di castrazione. Forse perché ho provato tutto questo a diciassette anni, e devo dire che è stata un’esperienza positiva perché ho capito molto presto tutto quello che non sarei mai stata: la ragazza di… la moglie di… l’amante di… la donna di… la mamma di… Insomma donna come appendice di qualcun altro, quindi come aggettivo, oggetto, privato. Da allora mi «sono scelta», è stata una scelta di sopravvivenza in una società di mammefelici, di mogliadorate che ti impone continuamente modelli repressivi, la ruolizzazione più bieca all’insegna del mito del FEMMINILE, la schiavitù sessista all’insegna del mito della MATERNITÀ’. Come conseguenza ho sempre cercato in un uomo, cose che a priori potessero escludere il «rapporto», uomini in totale opposizione a me stessa. Dopo aver rotto il mio unico legame, a diciotto anni ho scelto un uomo, fidanzatissimo e alle soglie del matrimonio, quindi «giusto», che mi togliesse il senso di sporco e di ambiguo della mia mezza verginità fisica, perché il mio ragazzo mi voleva vergine al matrimonio (sic!).
Da allora ho gestito il mio corpo in netta separazione, per così dire, dallo spirito (condizionamento linguistico cattolico) finalizzandolo alla sola ricerca estetica dell’altro corpo, senza mai cercare un dialogo che mi coinvolgesse in un rapporto, senza mai darmi come persona. Credevo, in piena fase emancipatoria, di usare per quel che davo e di essere usata per quello che prendevo. Certo è molto facile sapere quello che non si vuole essere, il difficile consiste nel crearsi delle alternative, liberarsi dei condizionamenti storici e culturali patriarcali e sessisti, riappropriarsi del privato come politico, oh! ma quanto è difficile e come si paga lo stare ben dentro la propria pelle. Il femminismo è stato un approdo logico del mio modo di essere. È stata la razionalizzazione e l’analisi del disagio, della rabbia, del malessere a cui non sapevo dare un nome; né un motivo preciso.
Quello che gli altri in genere chiamano «diversità» tentando di esorcizzarla con frasi tipo: «tu sei diversa dalle altre» «tu sei intelligente ma le altre sono cretine» ecc.
Il femminismo mi ha dato gli strumenti per prendere coscienza del mio sfruttamento, della mia repressione, della solidarietà femminile ed è stato anche, come conseguenza rimettere in discussione il mio modo di gestire la sessualità e il corpo. E quindi lo scoprire amaramente, che pur partendo da motivati bisogni di indipendenza, di autonomia, affermazione come essere sociale, la mia sessualità era falsamente gestita, quasi mai «mia» ma vissuta di riflesso ai miei occasionali partners. Ero stata usata solo in quanto corpo. E il fatto che anche io non cercassi il dialogo, né il rapporto, né il coinvolgimento emotivo, mi rendeva complice e accresceva ancora di più la mia rabbia in quanto finalmente capivo quanto una donna come me potesse far comodo, chiaro no? L’emancipata che non rompe i coglioni. Ho sezionato tutti i miei rapporti analizzandoli con freddezza e senza compiacimenti e ho trovato un mare di amarezze e di insoddisfazioni retrospettive, di bisogni repressi continuamente, un vuoto spaventoso di fantasia, gioia, creatività.
Sono stati lunghi periodi di crisi, di rifiuto totale del rapporto fisico, di sfuriate spaventose man mano che i miei ometti si ripresentavano per il rituale aperitivo-cena-scopata. No, i miei rapporti non erano assolutamente paritari come credevo, nemmeno al livello del «ci piaciamo: scopiamo» io ero sempre fregata. Ma il prendere coscienza non mi ha portato fino ad oggi ad una alternativa ma solo all’esplosione di una grossa conflittualità latente.
Io non credo di riuscire a sbloccare i meccanismi di difesa che mi fanno vivere una sessualità scissa, solo come momento privato, non ci riesco perché non voglio. Perché se fino a ieri la mia era solo una difesa istintiva e irrazionale, oggi so quanto una donna deve pagare i suoi coinvolgimenti affettivi e sessuali.
Perché è molto più facile gestirsi a «scompartimenti stagni», perché sto bene soprattutto con me stessa, perché credo in me e mi sento profondamente «mia», perché penso che nessun uomo mi farà mai attaccare un bottone! D’altra parte, reali alternative nel rapporto di coppia esisteranno solo quando anche l’uomo sarà diverso, be’ allora stiamo ad aspettare che si liberi da solo, anche lui, dai suoi condizionamenti storici e culturali, io non posso aiutarlo, per me sarebbe una involuzione, ho rifiutato il ruolo di Madre e di Musa, Separatismo e omosessualità come scelta per una reale alternativa? Sembrerebbe una conclusione logica. Ma non sarebbe come scegliere tra i due, il «male minore»? potrebbe anche essere un modo di eludere il problema del rapporto uomo-donna, e quindi un’altra forma di difesa, una autoghettizzazione.
E poi il bisogno di essere amati è una cosa che si paga, e si paga sempre anche con una donna. E quante sono le donne omosessuali che sono riuscite a liberarsi dei meccanismi di dipendenza affettiva che genera la coppia, come il possesso e la gelosia ovvero delle rivendicazioni di proprietà e di gestione esercitato alternativamente tra due esseri, dei sottili ricatti, mediazioni e cedimenti in nome dell’amore? Preferisco vivere tutta la mia conflittualità eterosessuale, e quindi a continuare a vivere la sessualità in difesa del mio sociale, forse adesso con una sicurezza più aggressiva che mi permette di propormi come persona, con un dialogo che quasi mai è dialogo ma un elenco di rivendicazioni, e quella sessuale per prima, per riappropriarmi di una sessualità non riconosciuta e offesa, e che invece è solo diversa e come tale va’ rispettata, conosciuta e amata.