femministe con le ali
di «Porci con le ali» è stato scritto molto. Tavole rotonde, dibattiti, interventi di intellettuali e non. Ci è sembrato giustto sentire le dirette interessate al problema, che in tutto il dibattito hanno potuto raramente intervenire. La protagonista del libro è Antonia, una femminista di 16 anni. Perciò in redazione sono presenti quattro compagne femministe di un liceo romano dai 16 ai 18 anni, Annalisa Usai, che ha scritto il dialogo a posteriori del libro, per discutere insieme come abbiamo vissuto questa Antonia in relazione al nostro essere femministe.
F. – Nel libro non si sente che Antonia la coscienza la ha appresa con le altre donne. Io invece questo me lo sento, Le altre donne mi hanno fatto capire delle cose, delle contraddizioni ed è con loro che mi rapporto, le altre donne mi danno una sicurezza che mi permette di affrontare senza bisogni di accettazione il rapporto con un uomo.
Antonia non ha un confronto, perché si rapporta con uno così stronzo. Non ha la possibilità di trovarsi davanti delle contraddizioni che magari lei sente a livello razionale.
A. – Anche nelle situazioni in cui io sono sola nel rapporto con un uomo, sento sempre alle spalle il fatto di avere un collettivo, cioè le altre donne. Quando hai un rapporto con un uomo lo vivi più con le donne che con lui, e questa cosa ti aiuta molto, perché hai la possibilità di capire delle cose che nel rapporto subisci senza capire. Questo Antonia non ce l’ha. Lei non riporta nel collettivo il rapporto con Rocco, lo vive tutto con lui e con se stessa.
M. – Lei vive anche il piccolo gruppo come momento repressivo.
A. – Questo può essere anche vero nella realtà.
A. – Antonia non sente il bisogno di stare con le altre donne. Sente solo il bisogno di stare con lui, e sembra non sentire neanche i problemi, i casini quotidiani di questo rapporto. La figura di Lisa, poi, è un po’ quella della sorella maggiore. Secondo me Antonia non vive il rapporto con Lisa come rapporto con una donna, lo vive non verso l’esterno, ma solo fra loro due: lei con Lisa si sfoga e chiede aiuto. Io invece con le compagne ci parlo anche di cose che sono solo mie (che poi voglio vedere quanto sono solo mie) e ne discuto insieme con loro. Antonia gioca il ruolo della figlia, con Lisa così mascolina! Lei non è cosciente e non mette in discussione la figura di Lisa, molto «papà».
Annalisa – Quando Lidia scriveva la passeggiata a Villa Borghese mi sembrava molto bella. Mi sembrava l’unico momento, più ancora del rapporto sessuale fra loro due, in cui l’altra donna potesse diventare un progetto di rapporto autonomo. Quando parlano di fare un viaggio insieme con la macchina del fratello di Lisa, pensi che finalmente questo Rocco può andare a farsi friggere ( ! )
Poi c’è il fatto del loro rapporto sessuale. Tuttora se lo rileggo sto male, probabilmente perché mi riporta a galla problemi miei.
F. – Pure a me crea problemi un rapporto con una donna. Anche qui c’è la differenza fra il livello di coscienza di Antonia e mio. Antonia non capisce perché non è riuscita ad avere un rapporto. Io lo giustifico col fatto dei miei condizionamenti che mi porterebbero a ricreare dei ruoli, senza saper riportare nel rapporto tutte le cose belle che ho scoperto del rapporto con le donne.
Antonia non riesce a capire come può stare bene con una donna; lei ha ancora dei bisogni, sia a livello sessuale che psicologico (sicurezza, accettazione) che non può soddisfare con una donna, se non ricreando ruoli maschili e femminili come nel rapporto tradizionale uomo donna.
Poi c’è un’altra cosa. Per Rocco il rapporto omosessuale è più semplice, perché non ha altri discorsi dietro; la sua rimane, una sessualità maschile, centrata proprio sul cazzo. Antonia invece deve scoprire delle cose di cui non sa niente, scoprire una sessualità come donna, non più dipendente dal modello della sessualità maschile, a cui ora invece è subordinata. Vivere i rapporti omosessuali come li vivono loro, è rimanere nell’ottica maschilista, militaresca, anche se i problemi li sentono.
Già per gli antichi greci, per esempio, l’amore perfetto era quello fra uomini, perché era un rapporto fra due esseri considerati completi e quindi potenti. Non c’è niente di nuovo.
Annalisa – No, di nuovo c’è il fatto che lo vivono. Noi col femminismo abbiamo capito che l’omosessualità c’è sempre fra uomo e uomo, mediata da una donna, nel senso che l’amore (e con questo la stima, lo star bene insieme, il far politica ecc.) è sempre fra uomo e uomo, però la mediazione sessuale avviene verso la donna. Qui di nuovo c’è che sessualizzano questa omosessualità latente. L’omosessualità fra uomini non può non esserci, perché è l’amore fra due poteri, e del potere ci si innamora inevitabilmente. Questa sessualizzazione, senz’altro non è rivoluzionaria, però è, almeno, un contenuto nuovo, secondo me.
F. – A me non interessa molto che scopino fra loro. Mi interessa però, e mi lascia perplessa, il fatto che continuano ad avere rapporti del potere col potere.
Maricla – Tutto questo nel libro, però non viene fuori. Secondo me c’è un grosso scarto fra l’introduzione del libro, in cui si spiegano le ragioni della collana e la volontà di affrontare i problemi «sovrastrutturali» che vivono i giovani e il dialogo a posteriori in cui si riflette su questi temi che, si suppone, siano stati evidenziati dal libro. Il racconto invece non li fa uscire. Secondo me un po’ tutto il libro presenta personaggi senza problemi reali, semplifica troppo, dà degli stereotipi.
S. – Infatti Antonia, per esempio è femminista, però in tutti i suoi rapporti sembra non sentire nessun problema. Io non capisco come faccia a subire in maniera così violenta e brutta tutti i rapporti che ha con gli uomini.
M. – Voi non vi identificate con Antonia perché siete femministe o pensate che lei non sia rappresentativa di nessuna ragazza di quell’età, un’Antonia media, diciamo?
S. – Può rappresentare una ragazza qualunque, ma che non le venga in mente di dire che è femminista!
F. – Il libro è un pò maschile in genere.
M. – Le due lettere finali sono emblematiche. La lettera di Antonia, tutta sul sentimento è la lettera tradizionale di una donna sentimentale. Quella di Rocco è di un razionale fottuto, tranne piccole parole affettuose. Allora, se è vero che il libro è stato scritto con due linguaggi diversi, sono due linguaggi tradizionalmente diversi. Antonia non esce come la nuova donna. Da questo punto di vista è «maschile» l’immagine di Antonia che viene fuori.
F. – Io pensavo che fosse stato scritto interamente da un uomo. Mi sono riconosciuta nel rapporto omosessuale di Antonia. Solo che io sono stata male per questa cosa. Non per la cosa in sé di aver avuto rapporti sessuali con una donna, ma perché ho scoperto che in realtà avevo un ruolo di donna preciso, che mi sono ritrovata anche nel mio rapporto con lei. E comunque fra noi non c’era imbarazzo. Noi parlavamo e facevamo un confronto coi maschi, senz’altro per rassicurarci: «con un maschio non potresti mai stare così bene perché non riesci mai a spiegargli bene cosa vuoi», ecc. Questo rapporto è nato dopo un pomeriggio in cui io dicevo «porca miseria non è possibile che io cerchi un rapporto fisico con l’uomo quando invece è con le donne che sto così bene». Invece mi sono resa conto di quanto la cosa è irreale per ora, perché adesso mi sembra forzata, nel senso che poi ricrei sempre aspettative e ruoli maschili e femminili. Il livello di sessualità femminile è legata, ora come ora, moltissimo all’uomo, in quanto, anche nel rapporto sessuale sente di essere una figura socialmente incompleta senza il maschio. Si tratta di scoprire dei livelli di sessualità — o meglio di sensualità — con le donne, nel senso magari di star bene insieme darsi un bacetto o darsi la mano senza necessariamente «scopare». Secondo me Rocco vive bene il rapporto omosessuale perché, mentre per una donna è molto diverso masturbarsi o avere un rapporto sessuale, per l’uomo non è così. Farsi una sega è fondamentalmente uguale alla scopata. Quindi, visto che riesce a viversi bene anche da solo la sua sessualità, riesce a viverla anche con un uomo in maniera più liberata, perché è una cosa che può gestirsi da solo. La sua sessualità non è strettamente legata ad una donna reale. L’uomo se ne viene anche davanti a un manifesto, una donna no.
S. – E’ vero che la sessualità della donna è più completa e più bella. E’ una cosa che abbiamo dentro e che è di più. Nei rapporti omosessuali del libro, però quelli di Rocco sono più belli, più tranquilli, più dolci e questo non è vero.
A. – Ma sì, per il loro livello è vero, dato che per loro una pippa li sfoga, quando l’hanno fatto stanno bene, sono tranquilli.
A. – Vivere un rapporto con la donna è difficile. Fino a due anni fa era una cosa che non mi ponevo e se me lo ponevo ci stavo male, mi faceva quasi schifo. E non a caso sono stata con una amica carissima, con cui ho un rapporto profondissimo. Antonia parlava più con Rocco che con Lisa. Io invece avrei dei problemi, caso mai, a parlarne con un ragazzo, perché non so se mi capirebbe.
A. – E’ molto bello quello che dite, perché non c’è niente di moralistico, ma fate critiche alla coscienza. Vivi tutto quello che vuoi, ma non puoi continuare ad essere così cretina. A. – La critica non è su quello che questi fanno, ma su come si gestiscono queste cose. Per esempio, anch’io sono sensibile all’erotismo dei fumetti. Ma tutto sta nel fatto che lo fai sapendo che stai facendo stronzate e che sei condizionata. Cioè nel livello di coscienza e di discussione e nella socializzazione di queste cose. Antonia non ha momenti belli, dolci, per conto suo con le altre donne. Penso a quando mi metto a disegnare o quando sto con un’amica e non dici niente, stai lì cazzeggi e ti rilassi, momenti che sono fondamentali. Poi un’altra cosa: lei non si pone minimamente il problema della madre. Io, da quando sono diventata femminista, me lo pongo molto, anche se poi con lei ci litigo ugualmente. Però ci penso che lei subisce un sacco di cose da mio padre, che si sente vecchia, che ha la menopausa, e tutte quelle cose che prima mi davano fastidio — i vestiti, le creme — adesso le capisco e magari gliele suggerisco io.
F. – Infatti questa è tolleranza verso le altre donne, che Antonia non ha per niente: capire il livello di coscienza delle altre donne. Io con mia madre ho scoperto tutta una serie di rapporti belli. E’ chiaro che poi è sempre la famiglia e quindi hai sempre degli scontri, però ho scoperto delle possibilità mie ad averci un rapporto con lei e ad un certo punto lei non mi sente più come figlia. Questo è possibile sia con la madre emancipata che con la casalinga.
G. – Dopo che è riuscita a liberarsi del la sua famiglia, mia madre s’è trovata con mio padre che la castrava ancora di più. Lei voleva lavorare e mio padre non voleva. Lei adesso è rassegnata. Ormai non sente più l’opportunità di una ribellione. Ha 57 anni.
Y. – Penso spesso che mia madre vorrebbe, venire nelle sedi del movimento, ma poi non lo fa, perché sa benissimo che sarebbe una scelta travolgente, che metterebbe in discussione tutta la sua vita. Dove riesco ad aiutarla è nel vivere nel miglior modo possibile la sua
condizione, a prendersi degli spazi suoi, a fare delle cose per se stessa. Mi stupisce però che voi abbiate delle cose che io ho e che forse però fanno parte del mio tipo di esperienza. Per esempio io ho un senso di colpa fortissimo nei confronti di mia madre, che è anche di molte altre compagne che hanno la mia età. Deriva dal fatto che siccome tu, in quanto figlia, hai rappresentato quella che la costringeva nel matrimonio, l’hai messa nella condizione di dover subire certe cose, lei ha pensato che per colpa tua stava passando delle cose spiacevoli. Oppure il fatto che tu comunque sei stata un elemento di sfruttamento, che hai usufruito per vent’anni del fatto che lei facesse la madre. Poi c’è la paura dell’invidia della madre, che io sento molto.
F. – E’ vero…
Y. – Mia madre ha certe volte nei miei confronti un’aggressività che non è spiegabile se non col fatto che mi invidia. Io la capisco, però mi fa paura. E non posso parlare, perché il senso di colpa è talmente grande che non posso dire: «E per di più adesso tu mi invidi».
F. – Un minimo di questo senso di colpa ce l’ho pure io, però molto di meno. Mia madre ha sempre lavorato, ha sempre avuto la sua vita, i suoi amici, i suoi interessi. E per me questo è stato molto costruttivo, perché lei mi ha seguito molto, proprio da madre emancipata, quella che si legge la «psicologia del bambino» e cose del genere. Riesco, proprio perché non l’ho mai sentita come figura di madre e basta, ad averci dei rapporti da persona a persona. Forse mi aiuta il fatto che è mia madre senz’altro.
P. – Secondo me il senso di colpa di un figlio deriva dal fatto di essere diversi dalle sue aspettative, di essere dei «figli ingrati». Lei ti ha dedicato degli anni della sua vita, e invece tu per liberarti di questo rapporto con tua madre, devi metterla sotto processo e ti devi allontanare da lei per diventare autonoma; il legame che si stabilisce con lei è talmente forte, talmente coinvolgente, che la tua autonomia ti costa tanto, fino al punto in cui la devi colpire. Sai che la sofferenza che provi tu nello staccarti da lei, la prova anche lei nello staccarsi da te. Però sei tu che vuoi andartene, non è lei che ti manda via.
Y. – Ma io ho cominciato a sentirli a 10 anni i sensi di colpa. Maricla – Io mi sono sempre colpevolizzata- perché non ero il modello di
figlia tranquilla, bellina, piccolina, sono sempre stata un «maschiaccio». E pensavo: quanto sono buoni a sopportarmi. Poi, però — ma è una fase completamente diversa — ho avuto il senso di colpa di figlia ingrata, quando me ne sono andata di casa. Ma non lo ho sentito subito, lo sento adesso, adesso che mi rendo conto di averle dato dei colpi che lei riesce a capire con grande fatica e non riesce a starmi dietro. E molto spesso, proprio per strappare la mia autonomia, sono costretta a trattarla male. Però è diverso dal senso di colpa di quand’ero piccola. S. – Mia madre mi ha voluto bene fino al momento in cui sono stata la figlia che voleva lei. Quando ho cercato di allentare la pressione lei mi ha diminuito le attenzioni e l’affetto che mi dava.
F. – Non a caso, nel momento in cui hai un’autonomia, tua madre ti può accettare di più come persona.
Y. – Il punto è che quando tu stai lottando duramente per avere un minimo di qualcosa — la tua autonomia — non guardi in faccia a nessuno. Dopo, quando qualcosa hai raggiunto e stai «comoda» (cioè scomodissima, perché l’autonomia è scomoda) ti puoi anche permettere di accorgerti degli altri.
A. – Però secondo me i sensi di colpa sono anche un fatto di generazione. Dopo il ’68, dopo un’analisi della famiglia, non sono più disposta a farmi scaricare addosso una serie di problemi che non ho provocato io (non è colpa mia se sono nata). Quindi non c’è senso di colpa, per me, ma solo dispiacere. Nella misura in cui mi sono liberata psicologicamente dalla dipendenza dai miei, ho anche un rapporto migliore, perché non devo più distruggere dentro di me il loro ruolo, perché poi questo è il punto. Perciò non mi pesa più telefonare se dormo fuori, per esempio, e sono molto più capace di dargli dolcezza.
Maricla – Questo libro ha suscitato un grosso dibattito sul problema della coppia: i giovani hanno riscoperto la coppia che il ’68 aveva distrutto? Voi cosa ne pensate, come vivete i vostri rapporti con l’uomo?
F. – Non mi stanno bene i rapporti sporadici, perché mi sento centomila volte più sfruttata come donna. Perché non so che ha nella testa la persona con cui sto. E poi perché non ho la possibilità di avere uno scontro continuo sui maschilismi di questa persona, per quanto lui si possa mettere in discussione. Per cui preferisco avere un rapporto prioritario che mi dia la possibilità di portare avanti un discorso a me come femminista, sentendomi alle spalle sempre . il collettivo, fermo restando che la persona mi interessa. Non lo faccio perché così c’è un maschio in più dalla nostra parte, ma perché fargli capire certe cose serve a me: mi interessa avere una persona con cui sto meglio.
Però non voglio neanche essere strumentalizzata come femminista dal maschio che vuole cambiare e mettersi in discussione, lo rifiuto. Voglio avere delle sicurezze e non credo siano cose vecchie, è una questione di sopravvivenza mia.
S. – Io avevo assunto un ruolo di persona molto razionale, che rifiuta il coinvolgimento, così «non mi sfruttano perché io sono libera e indipendente». Invece non è così, io stavo malissimo. Nel momento in cui ti scopri come donna, scopri che sei anche più sensibile, quindi questi coinvolgimenti ce l’hai e non ti vuoi castrare, non ti vuoi reprimere e li devi tirare fuori. Per un uomo è più facile parlare di rapporto libero? Una donna si gioca più Cose nel rapporto. Ora accetto la mia emotività.
F. – Secondo me, però, dipende anche dalle situazioni. Quando hai uno spazio di femminista e puoi prenderti delle cose dalla persona con cui stai, allora puoi avere un rapporto di coppia. Non me la sento di avere dei rapporti qualunque, perché so che per tradizione questi sono determinate cose per una donna ed io mi rifiuto di essere queste determinate cose. Maricla – Io non so fino a che punto, però, sia facile per un uomo rifiutare — come fa — il coinvolgimento emotivo in un rapporto. Quando mi è capitato che un uomo fuggisse di fronte a questa possibilità, ci sono rimasta male, perché mi sembrava inumana questa difesa, perché pensavo che anche lui dovesse star male a dire di no. E’ chiaro, comunque che mi riferisco a uomini di un certo tipo, diciamo «emancipati».
F. – Se sto con un persona voglio essere sicura che abbia un livello emotivo pari al mio. Il fatto di poter incidere sull’emotività di un uomo, mi dà anche la possibilità di incidere con dei discorsi. Io non ci credo che un maschio è disposto a mettersi in discussione se non ha dei motivi precisi a livello personale; allora io voglio che questi motivi ce li abbia.
Annalisa – Quello che tu descrivi è il rapporto «serio» con una persona, che può esserci anche nei rapporti sporadici, che però non sono ancora coppia. La coppia io riesco a definirla in base al mio bisogno di coppia. Non so cosa sia coppia in sé. So quello di cui ho bisogno io: la continuità; per cui non riesco a rapportarmi con un uomo se non so che è lì, disponibile anche nell’arco della giornata. A volte penso di avere bisogni arretrati, perché ho bisogno di coppia fissa, al limite di convivenza, di avere un confronto costante e continuo anche sulla quotidianità, cioè su degli atti che in genere non si discutono. Poi la gelosia. Questo bisogno di possesso, che poi mi impedisce di avere i cosidetti «rapporti liberi». Se io mi sto mettendo in discussione a livelli profondi e mi sto coinvolgendo e tu stai facendo altrettanto — se ci sono queste garanzie — non riesco a capire dove ognuno di noi possa trovare tempo e spazio per avere un coinvolgimento a uguale livello con altre persone.
Nel dialogo a posteriori di «Porci con le ali» mi veniva da dire che io sono a questo livello perché ho vissuto la mia esplosione individuale, il mio uscire dai vecchi schemi, nel ’68, quando c’era nell’aria la cosa che eri una donna libera ed emancipata quando avevi tanti rapporti sessuali perché noi dovevamo distruggere la coppia, la famiglia, ecc. ecc. Però, per quanto mi ha riguardato, si distruggeva tutto lasciando il vuoto. Per cui non ho risolto la gelosia, non ho risolto la possessività, non ho risolto i miei bisogni, che sono ora gli elementi per cui non riesci a scegliere. La differenza tra i bisogni e desideri è che se tu hai bisogno di una cosa, sei limitata da questo, perché tutta la tua esistenza ruota intorno al soddisfacimento di questo bisogno
— come l’eroinomane — e non c’è più desiderio. Io mi sento abbastanza isolata. Le compagne della mia età, dopo la «rivoluzione culturale», metà si sono sposate ed hanno un figlio, anche con un buon rapporto di coppia, basata sul compromesso e sulla «civiltà». L’altra metà vive nell’angoscia, bene o male come vivo io, con ogni tanto l’illusione di aver trovato la tal persona con la quale stai bene; per tre mesi ti ci tuffi e poi invece hai aspettato talmente tanto, che a muoverti non è stato un desiderio per quella persona, ma un bisogno, necessario per tranquillizzarti un attimo; perciò è chiaro che il rapporto si distrugge. Ti ci butti con tutta l’ansia dell’affamata di affetto. Perché è vero che fuori della coppia, fuori da questo schema non hai neanche affetto.
F. – Io sento le cose che hai detto tu. Per esempio la convivenza. A me pensare adesso di andare a vivere con un uomo mi fa rabbrividire, perché lo sento troppo diverso. Invece mi va di andare a vivere con le donne, perché con un uomo lo so che finisco per assumere dei ruoli.
Annalisa – Però forse dovremmo parlare del fatto — più reale — che periodicamente, al di là della diffidenza e dell’odio, tu ricaschi nel rapporto con un uomo. Anch’io vivo e cresco con le donne e gli uomini sono secondari. Ma il nodo resta questa figura maschile a cui bene o male, magari in momenti di debolezza, ti rivolgi. Allora mi chiedo: ti rivolgi a lui in modo normale e tranquillo, come una componente dell’umanità, oppure anche noi femministe ci rivolgiamo all’uomo per bisogno di sicurezza, di calma, di affetto, cioè in modo «vecchio». F. – Non lo so perché continuo a stare con gli uomini. Perché, se la rhia testa e i miei processi mentali li sento così diversi da quelli dell’uomo con cui sto, perché, se non ci sono punti di aggregazione, mi va lo stesso di vederlo e di starci insieme. Annalisa – E la tua sessualità? F. – Sono riuscita a gestirlo abbastanza bene il rapporto sessuale e a starci bene. Però, anche quando ho questo buon rapporto sessuale, mi chiedo perché invece di continuare a cozzare contro un uomo, che è diverso da me, perché non mi vado a cercare la sessualità con le donne, che invece è una cosa che non mi sento di fare. Annalisa – ,E’ qui la contraddizione. Stiamo bene fra donne, però poi, tranne in pochi casi, c’è una sessualità che viene fuori soprattutto con un uomo. E allora, cerchiamo di individuare qua-l’è il bisogno che ci spinge a starci e magari a cercare la coppia. Una parte del movimento sceglie di «usare» gli uomini, come siamo sempre state usate noi…
F. – Io non me la sento, io devo avere un coinvolgimento anche emotivo. Maricla – E’ impossibile, è falso scindere la sessualità dal coinvolgimento emotivo, perché il desiderio sessuale è già un coinvolgimento. E’ impossibile — anche volendo — operare una scissione totale fra testa e corpo. Annalisa – Di fatto io non riesco a scindere dal rapporto sessuale il desiderio di creare una storia d’amore e di continuità. Se da un lato ho questa vita di donna emancipata, dall’altro non riesco a vivere una sessualità che sia sessualità. Certo, è impossibile vivere il corpo staccato da me, però siccome è nella storia della donna vivere la sessualità sempre con amore, come matrimonio, allora forse sarebbe una conquista giusta vivere la propria sessualità come piacere e quindi, al limite, come staccata dall’affetto. Mi chiedo se non debba essere una lotta mia, transitoria, momentanea, ma necessaria.
Maricla – Quello che volevo dire è che il piacere è già un sentimento. Allora, secondo me la lotta — lo sforzo — è per recuperare, per vivere tranquillamente, in modo appagante, questo piacere, di riscoprirne il senso positivo e autonomo in quanto coinvolgimento emotivo di per sé, senza doverlo caricare di altri significati — il figlio, la durata —.
Annalisa – Secondo voi i motivi per cui entra in crisi la coppia Rocco-Antonia, sono reali? Antonia dice a Rocco che non vuole più un rapporto vissuto solo come sesso: è reale, succede, che una coppia si rompa per questo motivo?
S. – Sì, ne sono convinta. Sicuramente succede più spesso ad /ma donna di voler star bene, parlare, dormire insieme senza necessariamente scopare. Ad un uomo non succede quasi mai. F. – A me non è mai successo. Si, parlare, ma magari mentre faccio l’amore. Ho bisogno di un continuo contatto fisico. Per ora è così, se no non mi spiegherei perché cerco un uomo e non una donna. Per me un uomo è un bisogno di sessualità. Evidentemente per me l’amicizia è una cosa molto diversa dal rapporto con un uomo, con lui è impossibile scordarmi che ci voglio pure fare l’amore.
Maricla – Io mi riconosco molto di più in quello che dice Annalisa che in quello che dite voi. Voi avete molto di più la contrapposizione: da un lato quanto sto bene e cresco con le donne e dall’altro quanto sto diversamente con gli uomini, e questo continuo bisogno di discussione e di verifica con l’uomo del vostro essere femministe. Io invece — e forse anche Annalisa — ho bisogno di una presenza maschile proprio in quanto «diversa», bisogno di una serie di modi di avere tenerezza, di gesti, diversi da quelli di una donna.
Annalisa – E poi c’è la sicurezza. Secondo me in questo momento da una donna hai il senso del suo essere identica a te in tutto ciò che è problematico e incasinato in te. Con l’uomo puoi sempre avere la mistificazione di viverlo ruolizzato come forte e sicuro e a cui ti puoi appoggiare. Con una donna i ruoli sono sempre intercambiabili, a lei non ti puoi appoggiare,
F. – In questo momento per me la donna è sicurezza, sicurezza di scoprire cose che non sono mai riuscita a scoprire. Un uomo non me la dà, perché, anche se lui è in crisi, poi in realtà è molto più debole di me, non ha strumenti per capire. Io sì.
Annalisa – A me rimane il dubbio. Questi rapporti belli fra le donne sono un pò viversi una bella vacanza, perché poi il bisogno di sessualità lo viviamo con un uomo.
Penso che il rapporto con una donna l’abbiamo lasciato ancora nel generico. Com’è un rapporto d’amore con una donna? com’è una coppia con una donna? com’è un rapporto che ti metta in discussione nel modo più profondo che sai raggiungere?
F. – Vedi, io continuo a vivere la sessualità con un uomo perché mi sento di averla sempre espressa in modo sbagliato, con possessività, con gelosia. Sento che con questo sistema in testa, nel rapporto con una donna io ricreerei le stesse cose, mentre invece sto scoprendo con le donne cose molto più belle. Però di fatto non ho un’alternativa. Per ora preferisco andare avanti su altri piani con le donne. Ho grossi problemi su queste cose, però non angosciosi.
Maricla – Mi stavo chiedendo — per quanto io creda poco ai discorsi sulle differenze generazionali — se nel nostro caso invece non ci siano queste differenze. Se per loro diventare femministe non sia stato diverso. Noi abbiamo vissuto una serie di contraddizioni, dopo aver condotto una vita più o meno ruolizzata, abbiamo preso coscienza. Loro no. Ad esempio scoprire la sessualità e scoprire il femminismo è stato praticamente contemporaneo.
F. – Sì, anch’io ho sentito questa differenza di esigenze e bisogni, però non so fino a che punto le nostre differenze sono fatti di generazione o di storie personali.