carceri

carceri al femminile: il marito uccide la moglie confessa

aprile 1975

Care compagne di Effe, grazie per lo spazio.

Grazie per l’ascolto voglio raccontarvi qualche cosa che viene di dentro. La condizione della donna è quella che è, dappertutto. Ma la condizione della donna in carcere è mille volte peggiore perché tutte le violenze, tutte le repressioni, tutti i ricatti sono esaltati fino all’inverosimile.

Appena ho chiesto il permesso di avere la macchina da scrivere ho ricevuto un netto rifiuto, secco e immediato. Ho dovuto far intervenire non so quante pressioni sostenendo che se Spadaccia aveva la macchina non vedevo perché non dovessi avercela anche io, ma è stata una lotta dura.Se avessi chiesto la macchina da cucire… pronti al volo!

Ma questo è uno scherzo in confronto alla condizione delle donne che non hanno difesa né protezione, e che vengono gettate in carcere e poi dimenticate per mesi e mesi prima che il procedimento si metta in moto e qualcuno venga ad interrogarle. Tanto, sono solo donne, le carceri sono piene di donne che stanno scontando una colpa che non hanno commessa loro, ma i loro uomini; ma poiché l’uomo non ha tempo da perdere, dentro ci va la donna, che «fa la rea confessa», come si dice nel linguaggio carcerario. Questo accade nel caso dei pastori sardi, per esempio (Firenze è il carcere d’approdo dei sardi), che hanno ucciso e poi mandano la donna a confessare e a scontare. E non vanno neanche più a trovarle, perché devono sostenere che hanno «infangato» l’onore della famiglia. C’è chi è dentro da diciotto anni e non ha più visto né il marito né i figli.

Ci sono le mogli di piccoli trafficanti e bottegai che stanno in galera a scontare la pena per le tasse o per le multe che i mariti non hanno pagato. Ma queste, invece, sono visitatissime dai mariti, che hanno bisogno delle loro firme per continuare a mandare avanti la baracca. E poi ci sono le ragazze drogate (ma quasi sempre si tratta di fumo e non di droga) che vengono sistematicamente schiaffate dentro ogni volta che la polizia ne ha voglia.

E ne ha voglia spesso. Siano Italiane o straniere non importa. Il comportamento della polizia nei confronti delle donne è spaventoso. Credevo di sapere tutto in materia di linguaggio sboccato e di volgarità maschile. Ma le cose che ho sentito dire dagli sbirri alle ragazze superano tutte le fantasie più contorte e oscene. Questi sgherri si permettono di tutto.

Anche i giudici quando le interrogano hanno sempre l’atteggiamento bassamente offensivo e denigratorio: tanto, si sa, in carcere non ci sono donne, ma puttane. Prevaricano su di loro in tutti i sensi. Certo, capisco anche la ricerca di far cadere l’imputato in contraddizione, ma qui si fa veramente del terrorismo verbale usando i termini più sofisticati per ingarbugliare le idee alle poverette e per metterle in tali condizioni di disagio psichico da ridurle facilmente e violentemente al silenzio imbarazzato e carico di rabbia di chi si sente mistificato e prevaricato in tutti i modi.

Quanto al soggiorno vero e proprio, è tutto un gioco di sottigliezze diaboliche, un togliere facendo finta di dare, dalle ore sconvolte dei pasti e dalla privazione dell’orologio per cui non si sa mai in che mondo si vive, alla perversa gioia di riuscire a mandarti di qua e di ‘là per farti venire fredda la zuppa al momento del pasto; fino alle misteriose pillole continuamente propinate alle carcerate che cascano nella trappola dell’apparente cura medica con cui si cerca di tenerle in stato di trance, mediante tranquillanti e bromuro sparso nei cibi a profusione. Salvo poi riempire di vino la povera alcoolizzata per mandarla a vomitare insulti e violenze contro un’alta compagna che quel giorno, per qualche misterioso motivo, bisogna far cadere in disgrazia ed eccitare fino a costringerla alla violenza, per poi spedirla direttamente a Pozzuoli. In un mese ne ho viste tre di queste storie, una peggio dell’altra. E poi c’è la turpe istituzione del reato di «oltraggio». Loro, sgherri e monache, possono insultare e prevaricare sulle carcerate come vogliono, sempre impuniti perché non è prevista nessuna norma giuridica contro l’abuso di potere dello sgrerro o sgherra che sia, ma se la carcerata alza soltanto la voce o dice «sbirro!» ecco che quegli ignobili individui saltano addosso alla donna, la pestano ben bene e poi la cacciano dentro per «oltraggio» — sei mesi.

Chiedo che le compagne si alleino tutte per la difesa dei diritti delle donne carcerate. Chiedo che si organizzi un comitato di sociologhe e dì avvocatesse che, fuse nella Lega per la Difesa delle Detenute, si preoccupino di proteggere, almeno per quel poco che la legge consente, la drammatica situazione delle donne in galera.