bilancio della esperienza francese

«le leggi da sole non sopperiscono alla deficienze delle strutture sanitarie e non eliminano l’ostilità dei medici la lentezza della burocrazia, l’ostruzionismo degli anti-abortisti».

marzo 1977

«le leggi da sole non sopperiscono alla deficienze delle strutture sanitarie e non eliminano l’ostilità dei medici la lentezza della burocrazia, l’ostruzionismo degli anti-abortisti».
Il 17 gennaio 1975 entrò in vigore in Francia la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, meglio nota come legge Veli, introdotta a titolo sperimentale per la durata di cinque anni. È difficile fare un bilancio di questi due anni di applicazione della legge sull’aborto — le cifre fornite dai vari organismi, infatti, non coincidono — ma resta il fatto che un considerevole numero di donne continua ad abortire all’estero (le più abbienti) o al di fuori delle strutture previste dalla legge e che moltissime donne abortiscono fra l’ottava e la decima settimana.
Nel corso degli ultimi incontri di Bi-chat, il dottor Keller e la sua équipe hanno denunciato il pericolo di questi aborti tardivi, citando fra i motivi di tale situazione «il timore delle donne, la loro negligenza, la loro insufficiente informazione o le loro esitazioni». La testimonianza che segue, pubblicata in Le Monde del 19-20 gennaio 1977, mette in una luce completamente diversa questo fenomeno, respingendo duramente il tentativo di scaricare sulle donne, facile bersaglio per ogni accusa, la responsabilità di ritardi che vengono giocati sulla loro pelle.

 

le vere cause dei ritardi

«Se è vero che la maggior parte delle donne si sottopongono ad aborto tra l’ottava e la decima settimana, le cause elencate: ” timore delle donne, negligenza, esitazione ” costituiscono solo una piccola percentuale delle cause di aborti tardivi.
«La vera ragione — che le statistiche del ministero della sanità si guardano bene dal far comparire — è la volontà deliberata degli ospedali di mettere la donna nell’impossibilità di abortire, rimandando il più possibile l’operazione e diffondendo false informazioni. Per farmi capire meglio, vi racconterò la mia storia. Il 2 luglio scorso ho saputo di essere incinta di 3 settimane. Il giorno dopo mi precipito all’ospedale di Créteil, nel Val-de-Marne, perché ” non si fissano appuntamenti per telefono “. Mi reco sul luogo per prendere i tre appuntamenti obbligatori: uno con il medico, uno con l’assistente sociale, uno con lo psicologo. Mi dicono che il primo appuntamento non potrà essere fissato che il 19 luglio. In preda al panico, chiedo che i tre appuntamenti siano raggruppati per non perdere troppo tempo. Mi rassicurano con un sorriso forzato che sono largamente nei termini (cioè entro le dieci settimane previste dalla legge
N.d.T.), che non ho ragione di preoccuparmi, etc. Infine, in seguito alla mia insistenza, la segretaria accetta di fissarmi l’appuntamento con l’assistente sociale per lo stesso giorno. La mattina del 19 luglio vedo dunque il medico. Sorvolo sull’accoglienza sprezzante che mi è riservata e su tutte le umiliazioni alle quali sono sottoposta. Arriva il momento di comparire sul banco degli accusati di fronte all’assistente sociale Derché è proprio di ciò che si tratta un vero processo nel quale si tenta di colpevolizzare al massimo la donna che vuole abortire. Là espongo la mia situazione: ho ventotto anni, sono una segretaria disoccupata dal giugno 1975, vivo sola in una camera ammobiliata (12 metri quadrati senza nessun comfort), ho sempre desiderato un bambino, ma la mia attuale situazione finanziaria mi impedisce di soddisfare questo desiderio.
«Prende nota e mi si comunicherà la decisione ” in seguito “. Allora esplodo; mi si è fatto perdere abbastanza tempo in questo modo, le settimane passano con una velocità preoccupante e nessuno mi vuol dire francamente se l’intervento si farà oppure no. Al limite della sopportazione, domando all’assistente sociale se la stessa cosa succede a tutti, se tutte le persone che aspettano ansiosamente come me saranno rassicurate sulla loro sorte. Mi confessa che su quindici donne che si presentano ogni giorno, solo due sono accettate, e, per quel che mi riguarda, la mia situazione — pur non essendo brillante — tuttavia -non è disperata (quale donna non è disperata quando aspetta un bambino che non può tirare su per mancanza di mezzi economici?); per farla breve, mi dice che la mia pratica passerà in commissione, ma, secondo lei, non ho alcuna possibilità di essere presa in considerazione. Allora, perché non me l’hanno fatto sapere prima? L’assistente mormora: ” Non siamo autorizzati a dirlo “.
«L’atteggiamento di questo ospedale è chiaro: esso deriva direttamente dalla politica di incremento delle nascite del governo: ritardare il più possibile l’intervento fino al punto di non ritorno. Questi signori dimenticano una cosa, cioè che quando una donna ha deciso di abortire, lo farà costi quel costi, anche a rischio della vita, soprattutto quando sono preoccupazioni economiche a spingerla in questo senso. In questo caso ” non si ha scelta “.
«Quando si è informati, non si è più sensibili a queste manovre e le si sventa in tempo. Ci si rivolge altrove. La clinica è più cara, ma si viene accettate subito, a condizione di non aver superato da troppo tempo le otto settimane, tempo limite per l’applicazione del metodo Karman, Altrimenti resta la possibilità di andare all’estero, quando si hanno i soldi, oppure si ‘abortisce da sole e si arriva all’ospedale in condizioni pietose.
«Allora dove sono qui il ” timore “, la ” negligenza “, ” l’esitazione ” delle donne? Da parte mia, ne sono venuta fuori con una depressione nervosa, perché ho dovuto subire l’intervento in anestesia generale, cosa molto traumatizzante, e che avrebbe potuto essere evitata, se avessi saputo subito la verità riguardo all’ospedale di Créteil.
«Chi attaccare? Il reparto di ostetricia e ginecologia di Créteil? Inutile, essi non hanno commesso nessuna mancanza di fronte alla legge.
«La clinica che mi ha accettato? No, perché l’ha fatto più o meno clandestinamente (e, d’altronde, tutto è andato bene), chiedendomi di pagare in anticipo e in contanti; e ciò, l’avrete capito anche voi, per due ragioni: la prima è che è denaro che si può non dichiarare al fisco, e la seconda è che in caso di complicazioni non mi avevano mai visto. Allora, dov’è questa liberalizzazione dell’aborto? Dove sono i servizi sanitari vantati dal ministero della Sanità che sono tenuti ad accogliere le donne incinte e fornire loro un’assistenza ” sociopsicologica “? Il fatto che le assicurazioni sociali non rimborsino gli aborti, dà via libera a Coloro che praticano aborti per avidità di danaro, poiché nessun controllo li può raggiungere.
«Per noi donne è sempre la clandestinità, con tutto ciò che essa comporta. Se la volontà del governo è realmente di liberalizzare l’aborto, allora tutti gli ospedali e le cliniche siano realmente sottoposti a un controllo, e coloro che si rifiutano di praticare aborti — e sono liberi di farlo — siano sostituiti, per questo tipo di interventi, da una équipe preparata a praticarli non solo sul piano medico, ma anche sul piano psicologico, per poter eliminare l’umiliazione, il disprezzo che schiaccia ancor di più la donna che in quei momenti ha tanto bisogno di calore umano e di comprensione.

 

Traduzione a cura di Laura Formica