documento: la parità mistificata

una lettura femminista della legge Anselmi

febbraio 1977

venerdì 26 nov. 76 si è aperta a Roma la Conferenza Nazionale ed economica sull’occupazione femminile promossa dal Comitato italiano per l’anno internazionale della donna. Tina Anselmi, ex sindacalista, oggi ministro del lavoro, ha presentato la bozza di un disegno di legge per la parità di trattamento tra donne e uomini sul lavoro. Esaminiamo alcuni punti:
1) Salari uguali a parità di prestazioni; con la eliminazione di qualsiasi discriminazione basata sul sesso e l’esclusione di categorie distinte.
Diciamo subito che questa affermazione non è nemmeno nuova in quanto è già stata ripetuta alla noia nella legislazione europea del lavoro, nella contrattazione sindacale, ecc. Ed oggi come ieri è vuota di significato perché non ha mai consentito alle donne d’arrivare in massa alle qualifiche superiori. In pratica si è sempre risolta nella realtà di fatto, per cui ai più bassi livelli a parità di mansioni si ha parità di salari: il che vuol dire che le donne continuano a lavorare ai salari più bassi perché pressoché tutte continuano ad essere destinate ai più bassi livelli. Aggiungiamo poi l’altra notoria realtà di fatto che, fuori dei livelli dove la classe operaia ha un potere contrattuale forte, addirittura per la stessa mansione vengono discriminate salarialmente le donne e gli anziani e i minori.
2) Possibilità per la donna di lavorare fino ai 65 anni. Questa proposta copre anzitutto il fatto che lo Stato risparmierebbe 10 anni di pensione per ogni donna che invece di finire l’attività lavorativa a 55 anni la termina a 65 anni. Questo risparmio che lo Stato realizzerebbe diminuendo il monte pensioni verrebbe utilizzato per creare i soliti posti di lavoro per le donne giovani che sono creazioni artificiali di redditi ecc. Spostare l’età pensionabile della donna a 65 anni vorrebbe dire inoltre aprire la strada per fissare completamente anche l’età pensionabile per tutti gli uomini a 65 anni. Oggi infatti anche gli statali, i commercianti, gli artigiani e i contadini vanno in pensione a 65 anni, i dipendenti dell’industria privata vanno a 60 anni. Quanto agli uomini, considerando che la vita media è già di 63 anni questo vuol dire direttamente farli morire sul lavoro.
Quanto alle donne se fino a ieri sembra morissero di media più tardi, certamente obbligarle al doppio lavoro per 10 anni di più sarà un ottimo fattore per abbreviare anche la loro vita media e farle crepare, anziché solo allevando nipoti, anche inscatolando pelati.
3) Eliminazione del divieto del lavoro notturno femminile (dalle 24 alle 6).
E così, dopo che gli operai, magari proprio perché sostenuti da noi fino in fondo in questa richiesta, sono riusciti a rifiutare questo fiore, perché, almeno la notte, si usa per dormire e per fare l’amore, il fiore ora dovremmo raccoglierlo noi. Le padrone come Tina Anselmi vorrebbero cioè farci funzionare oltre che come casalinghe anche come vero e proprio esercito industriale di riserva attuando ora le opportune modifiche legislative che prima non erano necessarie se si voleva farci funzionare solo come esercito occupato in cucina e a fare la spesa.
4) Fiscalizzazione degli oneri sociali pelle due ore concesse alla lavoratrice madre per la cura del neonato.
Questa proposta significa che lo Stato si assume l’onere di pagare al posto degli imprenditori le due ore per l’allattamento. Ma alla donna non importa chi le paga. La cosa significativa è invece che questa improvvisa generosità dello stato — nei confronti del-, l’imprenditore — ha il suo risvolto in una serie di misure instaurate d’accordo fra stato e padroni che dovrebbero
complessivamente servire a far innalzare il livello della produttività della
forza-lavoro impiegata.
5) L’assenza per maternità non deve più essere detratta ai fini della progressione di carriera. Era ora! Gli uomini già da molto tempo hanno i contributi figurativi per il servizio militare!
6) Nei casi già previsti di assenza per malattia del figlio fino a tre anni si concede la possibilità di opzione tra padre e madre. Che si possa assentare anche lui anziché solo lei è ovviamente anche un vantaggio padronale perché si salvano le funzioni riproduttive della famiglia, se pur molto parzialmente anche al di là della divisione sessuale del lavoro che prima c’era dentro di essa.
7) La contrattazione collettiva del part-time con l’istituzione di una lista speciale negli uffici di collocamento. Ripetiamo, come già diciamo da anni: quello che non ci piace del part-time non è il metà tempo ma il salario dimezzato. E tanto meno ci piace che questo lavoro si aggiunga a un primo lavoro senza salario.
Questa proposta, apparentemente sulla parità di sfruttamento nel lavoro tra uomini e donne, in realtà vuol far passare dentro la crisi l’aumento della produttività delle donne che lavorano anche fuori casa o, che è lo stesso, il loro minore costo per l’azienda. Dall’altra vuole ampliare il numero delle donne occupate.
Non a caso Andreotti sul suo intervento ha detto: «Prima, avere più gente che lavora e che lavora di più, poi dare più salario a chi già lavora». In una situazione in cui i padroni vogliono assolutamente ridurre il costo del lavoro, quale migliore soluzione di un ampio uso del lavoro femminile magari part4ime, basso salario e alta produttività e del lavoro a domicilio, fuori da ogni normativa, assistenza e a bassissimi salari?
L’attacco da parte del governo è dunque molto pesante, ma non trova le donne impreparate. Durante questi anni di Movimento Femminista moltissime donne hanno assaporato il frutto proibito del TEMPO LIBERO PER SE STESSE E PER LA LOTTA, hanno assaporato il potere di un’organizzazione femminista sempre più vasta e sempre più pronta a rispondere ai vari attacchi dei padroni, hanno assaporato il piacere della ribellione, dell’identità in se stesse.
No, queste donne non torneranno indietro. Anche perché dietro e con loro ci sono milioni di donne che vanno avanti verso la liberazione.