poesie

luglio 1975

 

ultime parole

Non voglio una semplice cassa, voglio un sarcofago

Con strisce tigrate, e sopra una faccia

Tonda come la luna, da fissarci.

Voglio che guardi loro quando vengono

Raccattando fra muti minerali, le radici.

Già li vedo… le pallide, facce distanti come stelle.

Ora non sono più nulla, non sono neppure bambini.

Li immagino senza padri né madri, come i primi dei.

Si chiederanno se ero importante.

Zucchererò e preserverò i miei giorni come frutta!

Il mio specchio si sta oscurando.

Ancora pochi respiri, e non rifletterà più nulla.

I fiori e i visi si sbiancano come un lenzuolo.

Non credo allo spirito. Fugge come vapore

Nei sogni, attraverso il buco della bocca o il buco dell’orecchio. Non posso fermarlo.

Un giorno non tornerà indietro. Le cose non vanno così.

Restano, i loro piccoli lustri particolari. Riscaldati dal molto maneggiarli. Fanno quasi le fusa.

Quando le suole del mio piede diventeranno fredde,

L’occhio blu del mio turchese mi conforterà.

Lasciatemi le pentole di rame, lasciate che le mie pentole rosse

Mi fioriscano intorno come fiori notturni, con un buon profumo.

Mi arrotoleranno come in bende mi metteranno da parte il cuore

Sotto i miei piedi in un pacco pulito. Quasi non mi riconoscerò. Sarà buio,

E lo splendore di queste piccole cose più dolci del viso di Ishtar.

 

sono verticale

Ma vorrei essere orizzontale.

Non sono un albero con la radice nella terra

Che succhia minerali ed amore materno

Per brillare ogni Marzo nella foglia,

Né sono la bellezza di una aiuola

Spettacolarmente dipinta, che sollecita la mia parte di Oh !

Non sapendo che presto sarò solo gambo.

Rispetto a me, un albero è immortale

Ed una corolla non ampia, ma più improvvisa

Ed io desidero la longevità dell’uno e l’audacia dell’altra.

Stanotte, nella luce infinitesimale delle stelle,

Alberi e fiori vanno disseminando freschi profumi.

Cammino fra loro ma non sembrano notarmi.

A volte penso che mentre dormo

Debbo rassomigliarli perfettamente.

Pensieri come nebbie.

E’ più naturale per me, quando giaccio.

Allora il cielo ed io corrispondiamo.

Sarò utile quando giacerò per sempre:

E forse gli alberi mi toccheranno per una volta, e i fiori avranno tempo per me.

 

orlo

La donna si è compiuta.

Il suo corpo

Morto indossa il sorriso della grazia

L’illusione di una necessità greca

Scorre nelle spire della sua toga,

I piedi

Nudi sembrano dire:

Siamo venuti fin qui, è già finita.

Ogni bambino morto attorcigliato, un bianco serpente,

Uno a ogni piccola

Brocca di latte, ora vuota.

Lei li ha ripiegati

Nel suo corpo come petali

Di una rosa chiusa quando il giardino

Si avvizzisce e profumi sanguinano

Dalle dolci, profonde gole del fiore notturno.

La luna non ha ragione di rattristarsi

Fissando dal suo cappuccio di osso.

E’ abituata a questo genere di cose

Le sue cavità si trascinano e scricchiano.

(trad. Teresa Campi)