dal muto al mutismo
Il rischio va corso : di sfiorare o meglio, di cadere in una sorta di Reader’s Digest. Poche cartelle per 50 anni di storia, sia pure di storia della donna nel cinema. Ma il discorso va fatto, va in qualche modo iniziato, per far uscire dalla solita «critica» maschile, l’argomento. Insomma queste donne di celluloide, che immagine danno di se stesse? E perché?
Languida — alata — e struggente… eccola apparire sugli schermi muti di allora, la donna. «Potente nell’impeto sessuale» si legge in qualche critica del tempo. I suoi nomi sono Lida Borelli, Rina de Liguore, Pina Menichelli, Francesca Bertini…
«Nel 1919 vestita di voile e di chiffon… io vi ho incontrato non ricordo dove» lo ricordano benissimo invece e la canteranno così vent’anni dopo nel verificare il mito dei tempi passati, in un impeto di nostalgia. È la donna tendaggio, decorativa, surreale come un soprammobile liberty che i creatori della «cosa» costruivano sapientemente immettendola nel commercio delle immagini che avrebbero influenzato i costumi di tutta una generazione ed oltre.
Il divismo — si sa — non è solo oggetto di studi della storia del cinema, ma rientra nella storia del costume. Gesti e espressioni. Tutta una mimica esasperata e a volte addirittura spasmodica, nello sforzo, convulso di sostituire la parola. In realtà nella letteratura, dove la parola ha il suo segno, la retorica è ugualmente di rigore e basterebbe riaprire un libro di Gabriele D’Annunzio (e già prima si agitava Fogazzaro fino agli ultimi Pitigrilli) per rendersi conto che l’enfasi è di prammatica e il sesso, scatenato quanto fasullo, è tetramente da morgue di gran lusso. Idoli-feticci. Dunque donne; nella storia di celluloide e nella vita. La donna-liberty, come nelle decorazioni di allora è un fiore, un animale piumato, un frutto maturo: oggetto puramente sensoriale da cogliere, da lambire, da assaggiare, suggere, deglutire. Un’ostrica viva madreperlata. La volevano così: lontana, evanescente, torbida e voluttuosa. Sono i requisiti d’obbligo infatti per il suo potere di acquisto sul mercato dell’attrazione sessuale, dove l’uomo vuol essere sedotto e coinvolto e anche sconsacrato, giustificato moralmente da una attrazione più forte dell’attrazione stessa, tanto da chiamarla «brama».
Dunque: furibonda-disperata-struggente-sottilmente perfida, noi la sfogliamo come un dizionario dei sinonimi che certo non alleggeriscono il peso che si è accollata, per essere usata. E lo fu. Una somma di oneri e d’imperativi che le giungono dall’esterno e che la donna arriva a ritenere persino suoi propri, ne fanno un gigantesco fossile mostruoso… e bellissimo. Qualche titolo di film che parla da solo: «La piovra — Intrigo di marchesa — La serpe — La donna nuda». Il mondo è rotondo, le donne ci scivolano sopra; in un referendum tipicamente americano, nel 1923, abbiamo la Bertini in testa «contro» la Swan-son, la Pickford. ecc. ecc. Eleonora Duse: o D’Annunzio e le sue leggi. La Duse che ebbe critiche teatrali anche dure per la sua «scorrettezza», leggiamo pure libertà di espressione — fu fagocitata dalla cosiddetta Religione della Bellezza, il cui culto estetizzante e vacuo la portò fino a una crisi profonda e persino religiosa. Girerà un solo film, Cenere, di Grazia Deledda, il suo omaggio alla letteratura nel cinema.
Con l’avvento del sonoro la donna-pitone sta per rientrare nella savana che l’ha generata, ma lascerà il posto alla retorica sempre vigile e logora della strumentalizzazione sessuale. I soffocanti miti di provincia sono il pretesto per uscire dai vecchi cliches. Gli uomini che mascalzoni: un film del ’30, cigola come una vecchia porta che intende aprirsi sul mare e resta fermamente incastrata al suo cardine arruginito.
Si apre con questo film, e ne seguiranno poi molti, un altro repertorio retorico. Pura e fervida; sessualmente accattivante e un po’ oca, ecco «una-lei» che si muove dentro il repertorio che le è consentito: che si muove cioè dentro la morale piccolo borghese contro le cattiverie, le immoralità della grande borghesia. È uno spunto? Non facciamoci troppe illusioni, in questo tipo di cinema si ritrova il racconto di come il ceto medio «imprestò» le sue vene al regime fascista. Le sue ideologie, le sue false illusioni, i suoi sogni falsi come i suoi orgogli, furono il terreno più fertile in cui il fascismo ficcò le sue radici espandendosi su tutto il terreno limitrofo.
Come la donna restò coinvolta in questo vistoso ammasso di «maschia volontà» o . meglio di elementi intricati e confusi? Bisognerà chiederlo a lei. Cioè a noi.
La slavina della propaganda fascista sta scivolando su tutto ed è mitigata dal cinema dei Telefoni Bianchi: che ci parlano attraverso i fili della evasione il cui slogan pubblicitario era «I Film Che Parlano Ai Vostri Cuori»’ Ma sono film consolatori per uomini perché le donne hanno veramente poco da consolarsi. Vivi Gioi, usata come Cover Girl Homemade, ha esaurito la sua missione — non ne sappiamo più nulla.
La realtà contundente si da spazio attraverso i film patriottici. Gli slogan del regime non hanno bisogno di personaggi occulti, sono persuasivi per autoritarismo e occulti per istituzione: la donna è ligia al dovere, impegnata nella produzione della stirpe, è di sana progenie, osservante e obbediente alla parola d’ordine: è l’appendice dell’uomo. Il suo «spazio vitale» (è un motto fascista per l’escalation al colonialismo) la trova tanto impreparata, da esigere o subire di essere colonizzata.
Vuol appartenere seppure come ultima ruota del carro al Sistema. Lo Stato l’aiuta: l’oro (spesso la sola fede), le pentole di rame (simbolo del suo unico impero) i figli alla patria la fanno partecipe, spogliandola, dell’egemonia maschile al potere. I film sono di propaganda del regime: ispirati direttamente dai dettami asfittici della cultura popolare impartita dal Ministero della Cultura. Il ruolo femminile è relegato nella più stereotipata gamma delle ipocrisie. I personaggi?
L’idealismo, il patriottismo, il nazionalismo, che si intrecciano grottescamente in un mosaico di sesso e moschetto. «Taci, il nemico ti ascolta». Lei ha sempre taciuto. Ma qual è il nemico?
Per consolarci diciamo che mai come allora, il personaggio femminile fu più falsato.
Alcuni titoli che per il loro sapore militarista e fallocratico ci danno una linea di marcia dei tempi. Un’idea di che cosa passava la mensa ufficiale: «Lo Squadrone Bianco — l’assedio dell’Alcazar — Bengasi — Giarabub — Un Pilota ritorna». Gli attori Fosco Giachetti — Andrea Checchi — Osvaldo Valenti, Osvaldo Valenti — Andrea Checchi — Fosco Giachetti. Amedeo Nazzari e Massimo Girotti — Girotti e Nazzari… insomma nomi che rientrano se non altro per un ventennio (e anche oltre) nella storia del cinema. C’è Alida Valli, il suo viso mutevole e imbrigliato nelle rigide (sclerotiche) formule d’uso. La sua femminilità cavalcherà quinterni di storia, tanto da proseguire indenne o quasi oltre il gineceo del fez e dell’orbace, approdando serenamente al gineceo «tranquillante» democristiana. Non è colpa sua. Ha transitato persino in qualche film “ne ottocento riscuotendo approvazioni da riguardare, fino a farsi sofisticare in maniera irriconoscibile, il giorno della sua metamorfosi americana. E all’estero cosa stava accadendo? La Prima Guerra Mondiale del ’15-18 ha portato la Rivoluzione. Nella Gran Madre Russia: nascono e cioè si esprimono Eisenstein e Pudovkin. I personaggi di questa epopea della storia rivelano con questi registi la dimensione della storia e dell’uomo. Il discorso si è aperto fino a dilatare in Primissimi Piani, la realtà del costo dell’uomo sull’uomo.
La rivolta accomuna uomini e donne senza discriminazione di sorta. La solidarietà quando occorre viene esumata dalle sue stesse ceneri. Ma già qualche anno dopo il culto della personalità, che è di stretta matrice «mascolinistica» si riaffaccia prepotente, rompendo ogni complicità senza rimorso. Il cinema francese tenta la sua «avanguardia»; nasce il cinema realista. Pallida, assorta Michèle Morgan nel «Porto delle Nebbie» è la figura femminile che concretizza questa nuova dimensione della donna. È l’umanità femminile che dà spazio a quello scetticismo accorato proprio dell’epoca. Un essere a misura umana, tragica, sensibile e dura, interprete di quella tragedia che attraversa l’Europa. Micheline Presle, Arletty, Simone Signoret, sono le sue compagne di vita e se anche rappresentano il Fato (la dannazione e la morte) tipica rappresentazione che il romanticismo ci ha ereditato, partecipano alla ricerca di questo nuovo modo di esprimersi del cinema borghese francese, che se suonava più la Marsigliese che l’Internazionale era però ancora libero almeno di scegliersi. Da noi un’eccezione. Il vero volto dell’Italia si affaccia (1942) per la prima volta con un film di Visconti: Ossessione. Il film che parlava di una storia di amore e di morte (per assassinio) parve nel clima di allora una insubordinazione e fu vietato dalla censura fino alla vigilia della fine di Mussolini. Clara Calamai che avevamo vista nella Cena delle Beffe dove ebbe successo (ma no!) per i suoi seni scoperti, è il primo personaggio femminile non sofisticato e adulterato che appare sui nostri schermi. La sua fu una recitazione asciutta e inusueta così come inusueto e polemico è il film di Visconti. La censura non aveva sbagliato. Di personaggi femminili disegnati e scavati nelle loro autenticità di donne pensanti, di esseri naturali, non ce sono che pochi e occorre fare il giro del cinema internazionale per avere le dita delle due mani occupate. La guerra è finita. Si aprono le frontiere anche per la cultura cinematografica, cadono i cavalli di frisia dalle menti isolate lungo un ventennio. Che cosa ci aspetta? Roma Città Aperta di Rossellini dà il via per camminare senza paraocchi, sulle nostre macerie. Nasce il neorealismo: l’occhio della macchina da presa è l’occhio umano che si affaccia senza mediazioni culturali su un’Italia sconvolta, «… senza preoccuparci di filosofare troppo su quello che abbiamo passato, senza cercare di fare della poesia su tutto il dolore che avevamo sofferto» dirà .in seguito lo stesso regista. Anna Magnani è vista infatti attraverso una prospettiva storico-reale: è l’Italia che muore sul selciaio già sconvolto da sopraffazioni e violenze. Questa figura di donna che apparve allora sugli schermi, aveva una sua dimensione interiore, una ben precisa rivolta, una profonda partecipazione. Semplicemente è umana. C’è da osservare che dietro quella macchina da presa il regista ha ceduto il passo all’occhio acuto melanconico dell’obbiettivazione. La storia registra senza la necessità di mentire. La morte di una anonima paesana in Paisà ci arriva altrettanto assurda e emblematica, assomma tutte le morti, uomini e donne si trovano uniti e sopraffatti dallo stesso destino e si guarda allora all’altra metà dell’uomo senza pregiudizi. Grazie! Sembra davvero che solo i grandi disastri accomunino. La donna ha uno strano destino: acquista solidarietà e piena compartecipazione nei grandi cataclismi, nelle sventure, quando l’istinto di sopravvivenza maschile fa cadere le sovrastrutture di convenzioni di coercizioni di sopraffazioni in cui è regalata abitualmente per opportunismo collettivo o per un mal interpretato rendiconto personale.
Identità, pietas e mito la raggiungono sotto forma di lapide che la separa definitivamente dalla concreta partecipazione dei beni umani. Partecipe dei drammi corali, inserita nella collettività solo quando necessita, è subito rigettata nel suo individualismo retorico imposto da quell’acuto sentimento di sé che altro non è se non uno dei tanti sistemi usati per isolarla.
film sulla Resistenza cedono il passo ai film sulla realtà del quotidiano. Si guarda alla cronaca cruda, ci si tuffa sui quotidiani, ci si infila per le strade, si cerca attraverso le proprie esperienze personali, quella realtà che per tanto tempo ci si è stata accuratamente nascosta. La classe dirigente, che non dirige che sé stessa nei meandri del potere, viene messa in crisi, si vangano problemi scottanti, si criticano «gli addetti ai lavori», si toccano i problemi di tutti.
Il Bandito — Caccia Tragica — il Cammino della Speranza — Vivere in Pace — Anni Difficili — e quanti ancora? Ladri di Biciclette — Umberto V. Problemi di tutti? Ci sono: l’ex partigiano, l’ex combattente, il debole, il ribelle, l’asociale, il disoccupato… Quante le donne che hanno collaborato con i Gap in città, militando nelle formazioni di montagna? 35.000 partigiane. — 4.653 arrestate, torturate o condannate — 623 cadute e fucilate — 2750 deportate in Germania. Medaglie d’oro e d’argento corone funebri e sopra il silenzio. E tutte le altre? Come affrontò il dopo guerra la donna? Quali i suoi problemi, le sue difficoltà di reinserimento? Quale il suo rapporto con il suo ex compagno o con il suo nuovo, rapporto,, d’amore, di esistenza? Presente nella lotta per la sopravvivenza fianco a fianco con l’uomo sulle piazze di tutta Italia, la ritroviamo nei letti a due piazze ‘ in tutti gli appartamenti del suolo patrio. E’ il suo luogo deputato, quando non la si trova sbattuta in un fienile o coitata in un campo di grano o di granturco. Il naturalismo ha le sue esigenze e i registi i loro esibizionismi.
Sempre più sfacciata in ruoli standard e insueti la sua presenza diventa sempre meno reale. Addirittura surreale quando transita gli schermi in sottoveste, studia in sottoveste, dorme in sotto-veste, appare sui terrazzini, sulle scale ovunque in sottoveste. Se un giorno era muta e si esprimeva in sospiri silenziosi tra tendaggi di chiffon, esplicando il suo narcisismo in modo quasi ossessivo, ora quasi in stato di sonnambulismo si infila e si sfila calze di seta che continuano a smagliarsi per sempre. E’ un incubo onirico un sogno angoscioso che si ripete a intervalli frequenti e regolari.
Supremazia maschile e paternalismo hanno ritrovato intatto tutto il loro potere.
L’onorevole Angelina, ne è un esempio; l’esperienze tragiche del dopoguerra vengono attraverso La Onorevole, ironizzate, rese grottesche, gratuite e anche umilianti. Esplodono i concorsi di Bellezza. Il cinema saccheggerà largamente queste risorse «naturali». Le maggiorate fisiche — siamo nel ’49 a Riso Amaro —irrompono nei soggetti socio-politici cinematografici del momento. Elemento eccellente di evasione, ecco la donna materiale inerte per gli imprenditori del boom fisiologico. Ben nutrita, procace, avvenente; sarà il mezzo di appagamento dopo la grande fame. La tavola è imbandita e l’uomo è già seduto che mangia. I tagli sono di I° scelta: le Lollobrigida, le Pampanini, le Bosé, le Rossi Drago, il coscio, il petto, la lombata… Una enumerazione squisitamente antropofaga.
I sensali sono di nuovo in piazza per la fiera che tratta la vitella infiocchettata, per il mattatoio. A tutt’oggi continuiamo a ereditare questa conquista-anatomica e in modo ancora più ambiguo e mistificatorio. La bestia vaccina si vende ora senza fiocchi, la si preferisce nuda a peso netto, visceri, capezzoli, inguine debitamente inclusi nel prezzo di listino. Ora come non mai sessualità e eros sono indebitamente relegati nella sfera degli organi genitali, né pare che ci siano possibilità immediate o solo vaghe per chiarire che l’erotismo si esprime anche al di la del sesso.
Un clown ci manda un pò di ossigeno dalla Gran-Bretagna. E’ un clown? In Luci della Ribalta Charlie Chaplin guarda al mondo paralizzato dalla paura e dalla angoscia che si sta affacciando per la prima volta alla Ribalta. & rivolto a questa gioventù psicologicamente e culturalmente pietrificata passa la sua fiaccola alla giovane danzatrice paralizzata che gli è accanto. E’ il suo «alzati e cammina». Dalla Spagna al contrario arriva Morte dì un Ciclista (Gli egoisti) di Bardem, e ritroviamo la donna immersa nel suo vecchio cliché che l’accomuna al tradimento, all’adultiero, all’inganno.
Bunuel annota invece il dramma del cattolicesimo, il moralismo e il puritanesimo che riguarda anche noi. Con Viridiana il suo ghigno favoloso e rivelatorio ci dà un check-up agghiacciante di un triangolo: aristocrazia, piccola borghesia avanzante, e sotto-proletariato. La donna qui è un puro pretesto, un essere coinvolto nella panoramica della storia che ci riguarda. Lieve come una nuvola, ironico e argutamente triste come sa esserlo solo un gran mimo, René Clair gira Le Grandi Manovre. Nessuna donna è «donna» per vocazione e Michele Morgan se ne andrà nella notte dei tempi, quando capisce i giochi ufficiali di un ufficialetto in divisa.
Antonioni in Italia si appresta ad analizzare la fragilità dei rapporti umani «… dell’instabilità» come dirà lui stesso «politica e morale e persino fisica del mondo contemporaneo». Girerà L’Avventura. E la sua ricerca continuerà attraverso l’analisi della crisi dei sentimenti con Le Amiche e La Notte.
Questa sua indagine nei sottosuoli del mondo borghese coinvolge contemporaneamente l’uomo e la donna e li unisce, simili tra simili alla stessa squallida solitudine.
L’Eclisse che è quella dei sentimenti, dei rapporti, è la lunga notte che gli anni seguenti dichiareranno senza risveglio. La crisi sessuale è solo un effetto di questo squilibrio e il nostro mondo l’ha già registrato da tempo. Efebica morbidissima ironica una donna-ragazza deliziosa rompe le tradizioni, e ci indica argutamente una direzione: è la Bardot. Una lancetta magnetica che ha segnato il nord dei rapporti d’amore degli anni ’60. E quando si spoglia, non spoglia il suo corpo, ma le vecchie idee polverose annidate nell’animo umano. Di colpo la sua figura nuda non rivela soltanto una donna, ma le sue idee prive di qualunque tabù. E di colpo cancella le morbose inutili menzogne dei «peccati del sesso»… della carne, precisano i cattolici, come se il resto del corpo fosse un tubo-innocente. Il dado è tratto. Molto è stato scritto su di lei, ma si può e si deve aggiungere ora, che è stata una antesignana. Da questa schiettezza fisica, l’uomo esce malconcio: ci si accorge di quanto spesso sia esibizionista e morboso nel suo rapporto emotivo-sessuale. Certamente ai pudici — falsi o reali che siano — ha insegnato qualcosa di raro, il pudore del proprio pudore, una non facile dimensione da raggiungere e da mantenere. Qualcosa l’accomuna a Jeane Fonda.
Non un marito, ex per tutte e due, ma una fondamentale ribellione ad essere catalogate e usate come strumenti succubi e passivamente acquiescenti di un erotismo maschile o, come la Fonda di una cultura maschilista.
Così diverse nella scelta della propria libertà, una coerenza fondamentale le accomuna un rifiuto netto ad essere adulterate nella propria personalità, una negazione totale alle imposizioni, alle coercizioni che vengono effettuate a tutti i livelli sulla donna.
La Bardot ha scelto la Mandrague, la sua casa sul mare, non come torre di avorio ma come scelta di vita come lei l’ha concepita, intesa come libertà naturale, dove non accettare l’ipocrisia: quella polvere lieve lieve lieve, che ricopre pesantemente ogni cosa.
La Fonda ha capito che l’emancipazione sessuale può essere assorbita ancora una volta a favore del potere e che è solo attraverso una presa di coscienza politica che si raggiunge o meglio si conquista via via la libertà. Sa bene che questa parola così usata e mai lisa non può appartenere al singolo, ai pochi, perché fino a che un solo essere è succube, sfruttato o schiavo nessuno può ritenersi un essere libero. Nel cinema la donna è sostituita da un pupazzo modellato più o meno bene da mani abili o no di uno o dell’altro regista.
I film di impegno, di critica contemporanea, di analisi storica o sociologica, hanno sempre come protagonista un uomo. «E il film di Sordi, di Tognazzi, di Salerno, di Volontè…», l’hai visto anche tu? Quando l’interprete è donna, eccoci al dramma intimista, alla commedia sofisticata, sentimentale, avulsa sempre dai problemi che nella vita coinvolgono uomini e donne. Dalla donna del cinema muto priva di verbo, stravolta e enfatica, siamo alla donna che non ha voce in capitolo. Intenzionalmente privata del verbo, rantola. Eroticamente s’intende. Dal muto siamo arrivati al mutismo.