la rivincita delle streghe

marzo 1974

Una mattina di marzo di due anni fa, limpida e frizzante come lo sono le mattine viennesi, il sociologo futurologo Cari Jung, svegliatosi probabilmente in pace con tutte le donne del mondo, ebbe un’intuizione storica: «tutto fa pensare che il mondo sta cambiando. Quando dico che il futuro si femminilizza, intendo dire che le donne di domani avranno un ruolo più importante di quello che hanno oggi, e nel frattempo l’uomo si femminilizza perché, qualità finora ritenute «maschili» saranno abbandonate per lasciare il posto a qualità finora trascurate negli uomini o addirittura rinnegate in quanto ritenute «femminili» come l’assistenza, la protezione, l’amorevolezza, l’affettuosità, l’intuito …esse acquisteranno un valore maggiore in quanto verranno maggiormente usate. Solo così si garantisce all’umanità del duemila la sua sopravvivenza». Vuole dire, il signor Jungk che gli uomini hanno capito che per sopravvivere è necessario non sopraffare, aggredire, opprimere, distruggere, violentare, bensì proteggere, rispettare, assistere, volersi bene? Vuol dir che la caccia alle streghe da bruciare sul rogo, si trasformerà d’ora in poi, per improvviso ravvedimento di tutta la società patriarcale, in un riconoscimento affettuoso e disinteressato dell’essere umano donna? Noi non siamo così ottimiste; la storia degli oppressi che vogliono uscire dalla loro condizione di oppressi, non per elargizione benefica dall’alto, bensì per rivendicazione attiva dal basso, è una storia dura, fatta di passaggi aspri e polemici: le streghe, loro malgrado, saranno costrette a tirar fuori le unghie per difendere quello che appartiene loro da sempre, per riappropriarsi di quel patrimonio naturale di cui gli uomini si sono impadroniti ed arricchiti, in un processo m cui il lavoro femminile è diventato industria maschile. Le donne sono guaritrici da sempre; perseguitate come streghe perché, come afferma il Malleus Maleficarum scritto nel 1484 con la dedizione di Papa Innocenzo Vili, e una donna osa curare senza aver studiato è una strega e deve morire» (naturalmente non esisteva per la donna alcuna possibilità di studiare) hanno continuato, negli strati più popolari e più poveri a guarire, a far nascere i bambini, a fare gli aborti, a coltivare le erbe medicinali, a trasmettersi le esperienze di madre in figlia, da vicina di casa a vicina. La medicina è da sempre una esperienza femminile, ma i maschi se ne impadronirono, istituzionalizzandola e lasciando alle donne i ruoli più mortificati e servili: così, mentre il maschio divenne il professore specialista, la donna divenne la fattucchiera o tutt’al più l’infermiera e l’ostetrica. La situazione perdura, il monopolio è duro a cedere. Chi è oggi un’ostetrica?

 

La strega oggi

Oppressa da un ruolo subalterno negli ospedali, è un organo indispensabile al ginecologo (maschio): sopporta tutta la fatica fisica e morale di un parto il cui esito, se felice, è spesso riconosciuto al solo ginecologo che, nella migliore delle ipotesi si limita ad assistere o a dare qualche punto; se disgraziato, ricade quasi tutto sulla sua responsabilità (dell’ostetrica). E’ quella che veglia tutta la nottata mentre il ginecologo si riposa, è quella che, di notte, il più delle volte è costretta, contro il regolamento, a sostituire il ginecologo di guardia (che dorme); a lei spetta l’accettazione delle partorienti e se sbaglia una diagnosi, la responsabilità ricade su di lei anziché sul ginecologo che dovrebbe essere di guardia. Fuori dell’ospedale, nella libera professione, l’ostetrica è, nella nostra cultura sessuofobica e moralista, liquidata come quella che si occupa di «cose di donne», perseguitata dal prete del paese, tenuta a distanza dalla gente bene, perché complice, ma solo per cose poco pulite, del medico condotto. Un esempio di strega-ostetrica per tutte l’ho trovata in Enrica Boschetti e ho parlato con lei. Per ricattarsi dal mestiere «disonorevole», per ottenere il riconoscimento dell’autorità maschile (per lei ha tuttora molto valore), per scrollarsi di dosso millenni di pregiudizi, ha dovuto percorrere, nonostante i soli 39 anni, una strada lunghissima, fatta di esperienze umilianti; di frustrazioni ricorrenti, di ripicche orgogliose; di nottate spese sui libri a studiare accanitamente «per conseguire un diploma di scuola media superiore che mi consentisse di iscrivermi all’università di Roma per la specializzazione in psico-sessuologia della copia». Enrica Boschetti vive e lavora a Milano; pratica da 19 anni la contraccezione, da quando nel 1955, dopo essersi diplomata come la più giovane ostetrica d’Italia, fu inviata dall’AiED nei centri di pianificazione familiare della Nswh (l’Aied olandese) per imparare la tecnica di applicazione del diaframma». I diaframmi applicati dalla Boschetti (sono attualmente 5000 le donne che usano il suo diaframma) si differenziano da quelli comunemente in commercio: non sono stampati, ma sono fatti a mano, il che impedisce una deformazione permanente del mezzo che potrebbe compromettere la contraccezione. «Ancora oggi c’è in molte donne una resistenza psicologica ad un contraccettivo ormonale (pillola) che può indurre una modifica, sia pure temporanea, della endocrinologia della donna e ad un contraccettivo meccanico come lo IUD, la cui azione sfugge tuttora al nostro controllo. Il diaframma rappresenta qualcosa di assolutamente innocuo, sicuro (98% di margine di sicurezza) ed inoltre, potendo essere prescritto da una donna (una ostetrica) può servire a sdrammatizzare il discorso sulla genitalità interna della donna. E’ evidente che il discorso, da donna a donna, è più facile; una donna può meglio illustrare a un’altra donna come è fatta internamente; inoltre, nel-l’apprendere la conformazione della propria anatomia genitale, una donna può meglio capire il meccanismo del rapporto sessuale e quindi predisporsi a rispondere al rapporto in modo attivo». Un altro impiego, nel quale il diaframma si è rivelato utile, è quello periodico, per esempio nei periodi di riposo della pillola. Com’è noto, la pillola non la si può assumere in continuazione per anni. Alla Boschetti non sfuggono neppure tutte quelle implicazioni di tipo sociologico che in una massiccia campagna per il controllo delle nascite, condotta a livello statale, l’applicazione del diaframma potrebbe rappresentare: «l’adozione del diaframma potrebbe essere vastissima proprio perché potrebbe giovarsi di una rete di servizi sociali ed assistenziali; tramite le ostetriche, per esempio, che hanno una maggiore dimestichezza e confidenza con le loro pazienti, delle quali conoscono la vita e i problemi familiari e che possono seguire individualmente. Così il metodo potrebbe più facilmente diffondersi nel quartiere urbano, nel paese, nel villaggio. Di questi argomenti le donne parlano tra di loro: c’è il discorso con la vicina di casa, dell’amica all’amica, il ricorso alla persona di fiducia, all’ostetrica che ha seguito le gravidanze, ha aiutato il parto». Potrebbe essere questa una strada per il ricupero da parte di noi donne della medicina, almeno per quello che ci riguarda più direttamente? per imporre quel sistema di assistenza reciproca che ci aprirebbe un varco verso un’autonomia dalla scienza professionale maschile? Enrica Boschetti al discorso dell’auto-.assistenza ci crede; in questi giorni ha realizzato un’idea cui pensava da molto tempo: una tessera per l’assistenza gratuita alla contraccezione per tutte le donne che hanno già due figli. «y[{ rendo conto che la contraccezione non è che una tappa emancipatoria sulla strada della liberazione della donna — sottolinea la Boschetti con un sorriso sbrigativo — ma intanto, la realtà è quella che è ed io mi muovo in questa direzione…»