note sul divorzio
le crociate dei vescovi
Il documento della CEI, Commissione Episcopale, detto confidenzialmente dei vescovi, continua a suscitare polemiche a tutti i livelli. Dichiarazioni tipo «il matrimonio è di sua natura indissolubile» «la famiglia unita è necessaria al bene della società» non sono fatte per passare inosservate. Ma il fulcro del documento è il seguente: «Il cristiano come cittadino, ha il dovere di proporre e di difendere il suo modello di famiglia». Il cristiano, come tutti gli altri cittadini deve partecipare responsabilmente alla costruzione di un retto ordine civile e impegnarsi perché le leggi corrispondano ai precetti morali e al bene comune. Questa partecipazione, necessaria sempre, diventa più urgente quando i valori fondamentali della famiglia sono insidiati da una legge permissiva che di fatto giunge a favorire il coniuge colpevole e non tutela adeguatamente i diritti dei figli, degli innocenti, dei deboli».
Un chiaro invito alla tanto temuta guerra di religione e una sfacciata mistificazione della tutela che il divorzio offre invece, ai diritti del debole, dell’innocente, dei figli soprattutto se lo si paragona all’annullamento della Sacra Rota, ormai reclamizzato a prezzi concorrenziali dagli stessi vescovi e che è la sola istituzione che realmente non tutela né il più debole ne i figli. La Sacra Rota infatti considera mai esistito un legame neppure se da questo sono nati uno e più figli e considerandolo inesistente rifiuta di dargli una adeguata tutela economica, a differenza del divorzio.
Le reazioni nel mondo cattolico sono state immediate: la gioventù aclista, la sinistra DC di Bologna, l’MPL, larghe frange dell’Azione Cattolica i «cristiani per il socialismo», il movimento «Sette novembre» hanno pubblicato documenti e diffuso volantini in cui, con angolazioni diverse ma con uguale decisione si schierano a favore del divorzio, considerando il referendum (come dice uno di questi documenti) «un’operazione dietro cui si nasconde il tentativo di saldare uno schieramento sociale e politico diretto a bloccare la spinta delle masse operaie e popolari, non escludendo nemmeno ricatti e soluzioni autoritarie».
Ed è in nome del Concilio e «nei valori di libertà maturati con esso» che si muovono questi cattolici per dire NO al referendum e per «sollecitare gli altri cristiani».
No all’emotività anti-divorzista
Per i divorzisti il problema è di combattere con motivi razionali quali «il divorzio è una legge già approvata dal Parlamento» «una legge che non nuoce a chi non la vuole» che «aiuta chi è già separata da oltre 5 anni» «dire NO al referendum è dire no ai clerico-fascisti» una campagna anti-divorzista -basata interamente su motivi di tipo emozionale, quelli — essi dicono — che fanno maggior presa sulle donne. E quel «si come il giorno delle nozze» assomiglia tanto alle campagne pubblicitarie dei detersivi, con la sposa felice di lavare montagne di piatti «si, ma con X al limone», pulire culetti «si ma con la crema Y», di sciacquare pavimenti «si ma con la polvere Z». Un modo — questa volta politico — di far leva su questa nostra emotività sempre e unicamente rivolta contro di noi. Certo che gli slogan proposti da Umberto Eco sull’Espresso quali «il divorzio fa bene alla famiglia, il divorzio fa bene alle donne, il divorzio fa bene ai bambini» troveranno difficilmente una realizzazione pratica. Eppure lo slogan «Non sei una schiava, devi poter dire no» e aggiungeremmo «almeno una volta nella vita» oppure quello «Se tuo marito sa che puoi andartene avrà maggior cura di te» potrebbero fare un certo effetto positivo e rinforzare una nuova visione della donna, non più vittima designata ma attiva e partecipe di una realtà circostante in trasformazione.
Le femministe dicono NO
Nella «giornata della donna» il Movimento di Liberazione della Donna e il Movimento femminista romano hanno approvato unitariamente un documento «Partiti, sindacati e gruppi si accorgono di noi donne: ma è ancora una volta per strumentalizzarci, magari per ottenere il nostro «no»
all’abrogazione del divorzio. Noi diremo «NO» all’abrogazione del divorzio, ma vogliamo che sia un «NO» libero, per ridiscutere la divisione dei ruoli all’interno della famiglia, per prendere coscienza e autogestirci. 8 marzo 1974: la nostra condizione di subalternità storica non, è cambiata. Ancora noi donne subiamo quotidianamente la violenza e l’oppressione all’interno della famiglia, della fabbrica, della società».
La Madonna era divorzista?
Trenta giorni per una campagna decisiva: dal 12 aprile al 12 maggio, festa della Madonna, scelta — dicono casuale del Presidente Leone — per il referendum. Trenta giorni per dibattere pubblicamente e in modo programmatico sul divorzio. I partiti si sono pronunciati. Ma gli schieramenti dei mezzi di informazione? Molti di questi sono ormai già noti e sono stati fatti in base ad accordi politici ben precisi. Gruppi editoriali interi si schiereranno contro il divorzio, e — guarda caso — proprio quelli collegati ai grandi petrolieri della «trama nera» i quali certamente vedono nel referendum un modo di abbreviare i tempi verso un governo di destra che le varie organizzazioni tipo Rosa dei Venti e altre simili para-fasciste — anche se floride sul piano economico (in Svizzera) e sul piano bombe — non gli garantiscono più. Oppure quelli legati a Fanfani, grazie all’adesione massiccia e tempestivo dei nipoti del fondatore, i quali oltretutto influenzeranno centinaia di migliaia di donne grazie ai loro rotocalchi patinati e su-perlussuosi. E la TV? La prima mossa, quella di far tacere la radiotelevisione svizzera di lingua italiana, non ha avuto un esito molto positivo. Così è stato deciso il sano mutismo e pur dovendo prevedere alcuni programmi tipo Tribuna politica sul divorzio, gli alti dirigenti tendono per ora ad escludere uno dei protagonisti, la LID. E intanto sui tavoli dei funzionari, un mattino, sono comparvi volantini antidivorzisti molto ben distribuiti in ogni stanza, ad ogni piano. Quel che si chiama in Italia imparzialità?