il colpo della giumenta in collera
340.203 su 1.792.898 sportivi, sono donne; lo sport rimane territorio di caccia maschile. Le donne continuano nello sport ad accettare un ruolo marginale, sottoponendosi a modelli e regole che sono parte di un’invenzione culturale maschile. La femminilità, quella dalla potenzialità eversiva, tonante, positiva, non certo quella melliflua e stucchevole anch’essa più invenzione che realtà, non emerge nello sport. Facilmente una donna sportiva soggiace, anche inconsciamente, ad una casistica di comportamenti e atteggiamenti tipici del maschio rischiando di diventare una sovrastruttura maschile. Virilizzate nell’aspetto fisico, ma spesso anche in quello mentale che si sintetizza in atteggiamenti tipici dell’altro sesso, le donne, soprattutto quelle che praticano sport cosi-detti “violenti” come il Karaté o il Judo rischiano di non avere storia di autonomia nel mondo dello sport: “Nel momento in cui la donna riuscirà ad abbattere il suo avversario – ha detto Giorgio Trani, sociologo in un suo articolo -, a stenderlo sulla sabbia, il vincitore non sarà il genere umano femminile, bensì il duello che è di genere maschile”. Un reale pericolo per la donna o la paradossale astrazione di un sociologo alla ricerca di un appiglio che possa rendere storico e invincibile il potere del maschio nella società? “Indubbiamente noi donne —dice Francesca Risi femminista, cintura marrone di Karaté in una palestra romana— tendiamo ad imitare dei modelli maschili nello sport. Al primo approccio con una palestra di Karaté, lo scopo diventa quello di diventare forti e invincibili come nei films di Kung Fu, anche se questo poi è un obiettivo che nessuna mai si confessa o confessa all’esterno. Poi l’atteggiamento cambia soprattutto se hai a che fare con un insegnante che si sforza di seguire più la tua psicologia che le capacità competitive. Mi sono avvicinata a questo sport che per me è più una filosofia che un esercizio fisico, nel tentativo di superare quello che era il mio atteggiamento psicologico di fronte al maschio. Ho sempre avuto un gran paura della forza fisica, della violenza….Cosi ho scoperto che la forza dei muscoli non esiste, ma esiste solo la forza della mente…tutte le tue energie sprigionano da U. Se nello sport, e in particolare in questo tipo di sport, le donne si adeguano a una compartimentistica maschile, se assistiamo ancora a spettacoli di donne sportive, muscolose e scimmiottatrici di uomini, è perchè un vero salto verso l’emancipazione non è ancora stato fatto, è perchè si applicano ancora modelli atavici della gara o dell’esercizio fisico anacronistici persino per l’uomo. Lo sport è senz’altro uno dei tanti settori in cui vive e si muove la donna trascurati dall’emancipazione femminile corrente —quella dei libri e delle teorie— con molta superficialità. Negli anni di dibattito sul femminismo, forse ci siamo soffermate più sulle nostre frustrazioni, sui nostri aspetti negativi che su quanto di potenzialmente positivo cipotesse essere in noi. Mi sono spesso scontrata con donne che pensavano che praticare Karaté fosse una cosa violenta, maschile e che conseguentemente mi identificassero in questo ruolo. Ho discusso con altre che avevano difficoltà a parlare di problemi di autodifesa come se l’argomento fosse di competenza dell’altro sesso. Pregiudizi che dividono, senza dare l’opportunità di andare un po’più a fondo alle cose che ci risultano un pò ‘ fuori da certi schemi. Molte donne, per esempio sentono che l’autodifesa non è altro che un ulteriore obbligo a sottostare alle regole del mondo maschile che impone questa violenza. Imparare a difendersi per me, per esempio, non significa imparare ad essere aggressive negando la nostra naturale condizione di “non violente”, significa invece imparare a controllare il nostro corpo, i nostri movimenti, il nostro cervello, la nostra psiche… “.
E così quello che in occidente è diventato uno sport, riacquista la sua dimensione filosofica orientale in un’interpretazione del tutto femminile, che si scinde da qualsiasi modello preesistente e inneggiante alla capacità di rompere le mitiche dieci tavolette con un solo colpo.
Nelle palestre di Karaté le donne dunque diventano le migliori interpreti della filosofia Zen?
“La totale assenza di aggressività o di violenza diretta, irrazionale, tipica degli adolescenti maschi – commenta il maestro Allodi – pone le donne in una dimensione diversa e più interiorizzata. Certi schemi tipici, occidentali che attecchiscono nei giovanotti avidi di eroismo e pieni del mito del Chen del cinema, tra le donne non trovano certo riscontro. Le donne sono per natura più riflessive ed è chiaro che di uno sport come il Karaté colgono più lo spirito che l’aspetto più appariscente”.