il nodo è il rapporto donna – potere

«Dobbiamo discutere del nostro rapporto con la politica, con le istituzioni con il potere; dobbiamo riprendere il discorso generale sulla condizione della donna».

giugno 1976

la partecipazione alla scadenza elettorale non è un fatto scontato per il movimento femminista; al fondo c’è un -problema generale non risolto, quello del rapporto donna-istituzioni, donna-potere, donna-politica.

La dimensione in cui ogni donna vive ‘ è il privato, l’ambito è quello della famiglia, dei rapporti interpersonali; tutto ciò che si sviluppa al di fuori le è profondamente estraneo, in primo luogo la politica.

Per le donne accedere alla politica ha voluto dire partire dal proprio personale, scoprendo il significato sociale del proprio isolamento, prendendo coscienza della propria condizione di oppressa; lo strumento fondamentale è stata l’autocoscienza, i contenuti emersi hanno riguardato la sessualità, la riproduzione, l’aborto, la maternità, quindi il proprio ruolo di moglie, di madre.

La lotta per l’aborto libero e i consultori è stato un momento di concretizzazione delle intuizioni che le donne hanno avuto rispetto ai propri bisogni.

Ma con questa lotta abbiamo anche vissuto il rapporto difficile che ogni donna ha con le istituzioni, con la dimensione del pubblico, con il potere.

E’ stato molto faticoso e.per molte di noi ha comportato profonde lacerazioni, lottare per cambiare la nostra condizione individuando obiettivi comprensibili alla grande massa delle donne, e nello stesso tempo sentirsi tutte intere nella lotta, non scisse dai propri bisogni complessivi. La forza di questa lotta ha fatto sì che in questo ultimo periodo le forze politiche, abbandonando il disinteresse iniziale, siano passate ad occuparsi attivamente delle dònne. E’ un fatto da valutare con molta attenzione. Da un lato è positivo perché dimostra che le donne cominciano a contare nella vita politica del paese, dall’altro un intervento delle forze politiche, tutte ad egemonia maschile, portato avanti secondo i modi della politica tradizionale, può provocare gravi guasti nel movimento di liberazione della donna.

Le donne possono diventare un ulteriore terreno di scontro politico tra le diverse organizzazioni, portando divisione tra le donne impegnate nel movimento e nello stesso tempo militanti di partito e confusione tra

quelle che cominciano ad intuire la propria condizione di oppressione. Voglio portare un esempio recente: l’ultima manifestazione per l’aborto libero ha visto più di 50.000 donne in piazza, fatto indubbiamente positivo, ma ha visto anche il prevalere di una presenza delle donne più come militanti dei gruppi politici che come femministe. Difficoltà di questa natura sorte in precedenza sono state in genere superate all’interno di un lavoro realmente unitario che ha consentito sempre di più di confrontarsi come femministe. L’accelerazione dello scontro politico ha interrotto questo processo trasformando gran parte del movimento in un terreno di scontro delle diverse organizzazioni creando elementi di divisione non nati nel movimento, ma all’interno dei partiti.

La militanza che molte compagne femministe del PDUP, io fra loro, hanno avuto e continuano ad avere nel partito ha cercato sempre di tenere conto di questi problemi.

Inizialmente ci siamo assunte la contraddizione di militare come femministe in una organizzazione maschile quasi esclusivamente perché ritenevamo importante avere un rapporto con le organizzazioni del movimento operaio che non fosse rimandato ad un momento indefinito della storia ma cominciasse da subito; oggi abbiamo un’idea più complessa dei nostri rapporti con il partito perché abbiamo cominciato ad approfondirlo con l’autocoscienza. Discutiamo non tanto della doppia militanza (brutta espressione che schematizza il rapporto estremamente complesso con le organizzazioni politiche) quanto del «bisogno» di partito, del suo rapporto con le nostre storie personali, con il nostro essere donne. Non mi sembra che serva molto cercare di spiegare questo bisogno in modo ideologico, sottolineando la necessità del rapporto femminismo-lotta di classe; così come mi sembra troppo semplice liquidare il problema attribuendolo all’incapacità di staccarsi dalla subordinazione nei confronti dell’uomo. Dobbiamo ancora comunicare molto tra noi per capire il nostro bisogno di punti di riferimento maschili.

La scadenza elettorale ci ha trovate all’inizio di questa discussione, ma ci è stato subito chiaro che questo fatto politico così importante per tutto il movimento operaio si inserisce per le donne in quel complesso contesto che ho accennato.

Cosa vuol dire per il movimento delle donne essere presente in una scadenza, la campagna elettorale, che rappresenta di per sé la massima espressione di un modo politico maschile-autoritario con il rapporto delegato e alienato tra politica e vita, le forme autoritarie e superficiali di comunicazione?

Che cosa significa per noi esistere politicamente in questa fase (elezioni e dopo elezioni)?

Credo che se il momento è particolarmente difficile per il movimento operaio lo è mille volte di più per il movimento delle donne. Dobbiamo aver presente che le donne sono continuamente sparite dalla scena politica (forse ci siamo abituate troppo a questi anni di lotta e ci ricordiamo poco della nostra condizione precedente) spesso proprio nei periodi che promettevano profonde modificazioni nei rapporti sociali e politici. Penso che sia fondamentale per noi capire come possiamo rafforzare ed estendere in questa fase il movimento delle donne. Dobbiamo discutere del nostro rapporto con la politica, con le istituzioni, con il potere; dobbiamo riprendere il discorso generale sulla condizione del-B la donna, analizzare la violenza complessiva in cui si muove il nostro essere donne.

Partendo da questi contenuti credo _ che possiamo trovare modi di confronto e rapporto con le forze politiche, con la fase politica che abbiamo davanti. Questo mi sembra il possibile terreno di incontro tra i tempi della liberazione della donna e i tempi della lotta di classe.

Detto questo mi sembra chiaro perché come femminista non ho ritenuto di essere presente nelle liste di Democrazia Proletaria in cui è presente il mio partito, il PDUP, come in quelle di nessun altro partito.

Non ritengo che questo sia assenteismo rispetto ad una dura battaglia in cui tutta la sinistra è impegnata, ma un modo di esistere e di comunicare in prima persona del movimento delle donne, un modo di essere che ne ha consentito la straordinaria espansione e che potrà rafforzare l’unità e l’autonomia.