scuola e prassi femminista

giugno 1976

uno dei modi di esplorare la portata e i limiti dell’impatto che il movimento femminista ha avuto in Italia negli ultimi anni, è quello di analizzare come e in quale misura, alcune tematiche femministe sono state riprese e rilanciate dai partiti, dai sindacati e da altre organizzazioni di massa. Per quanto riguarda la specifica problematica del rapporto donna-scuola, un recente documento elaborato in* occasione della II conferenza nazionale degli insegnanti e dei lavoratori della scuola dimostra che il PCI ha ormai recepito molte delle analisi femministe sui condizionamenti familiari, sociali, culturali ed economici che spingono le ragazze, prima a scegliere un certo tipo di studi e poi a cercare una sistemazione come insegnante. Anche nell’esame delle particolari condizioni di lavoro della donna insegnante vengono ripresi i temi femministi del doppio lavoro — casalingo e professionale —, dell’isolamento individualistico in cui ogni insegnante esplica il proprio compito, del ruolo dell’insegnante concepito da una parte come estensione del generico ruolo femminile e dall’altra come strumento di trasmissione degli statici modelli maschili e femminili imperanti.

Tra gli obiettivi di lotta proposti, diversi sono quelli con cui le femministe possono trovarsi d’accordo: rottura del rapporto gerarchico con presidi e direttori maschi che attualmente prevale nelle scuole elementari e medie, lotta a «tutto quanto nella scuola è funzionale al mantenimento di un ruolo femminile precostituito e subalterno: per le classi miste, per la coeducazione dei sessi, contro i libri di testo e le disposizioni disciplinari che discriminano le bambine e le studentesse, per il rinnovamento dei programmi della scuola d’obbligo, per l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole, contro i ghetti femminili che vogliono presentarsi come scuole specialistiche… occorre sconfiggere un modo di intendere la formazione il quale mortifica in partenza gli orizzonti culturali, le prospettive di vita, il ‘ progetto di sé ‘ che ogni giovane donna potrebbe fare ove la famiglia, la scuola e la società non dessero per scontato il suo destino sociale» (III).

Se questo documento rivela l’influenza del movimento femminista sulle impostazioni teoriche di un movimento di massa come il PCI, esso indica anche i ‘limiti entro i quali avviene questo processo di assimilazione e rielaborazione delle rivendicazioni femministe. Come spesso accade vengono recepiti alcuni contenuti dell’analisi femminista del rapporto donna scuola, ma vengono ignorati la metodologia di lavoro e gli scopi sostanziali.

Nel documento comunista vengono indicati gli obiettivi e le rivendicazioni che occorre proporre a livello sindacale ad esempio, affinché le donne insegnanti possano riconoscersi nel contratto. Viene insomma dato per scontato che migliaia di donne, spesso indifferenti e/o sospettose della politica partitica tradizionale, diventeranno consapevoli combattive protagoniste del loro riscatto, solo perché una leadership illuminata (PCI o sindacato) propone degli scopi che mirano alla loro emancipazione, alla loro riqualificazione professionale. L’esperienza femminista invece insegna che l’elaborazione degli obiettivi di lotta non deve essere fatta a livello verticistico, ma deve essere il frutto paziente di confronto e dibattito tra le donne, che riunendosi in piccoli gruppi, possono prendere insieme coscienza del significato politico della loro esperienza quotidiana di. donne-insegnanti, individuare le contraddizioni, stabilire le priorità. Solo cosi la donna diventa veramente protagonista della propria liberazione, e forse solo così possono essere avvicinate alla ‘ politica ‘ donne che ne sono sempre rimaste estranee, talvolta anche per paura di ‘ essere per un’ennesima volta manipolate, usate per fini estranei ai propri bisogni.

Prendere dalle analisi femministe i contenuti, ignorando i modi attraverso i quali questi contenuti vengono elaborati significa perdere la parte più essenziale dell’intero processo, quella che permette ad ogni donna di liberarsi almeno in parte dai condizionamenti subiti, di acquisire la visione di un mondo nuovo, di conquistare la speranza e la volontà di lottare per ottenerlo. Prenderne solo i contenuti significa anche rischiare, come in questo documento del PCI, di fermarsi a metà strada anche nell’elaborazione degli obiettivi. Noi donne vogliamo poter avere dei servizi sociali che ci permettano di gestire in modo meno privatistico la nostra maternità, vogliamo poter dedicare maggiori energie al nostro lavoro d’insegnanti senza logorarci continuamente sotto il peso del lavoro domestico ma soprattutto vogliamo una diversa organizzazione del lavoro che non aiuti le donne semplicemente a gestire con meno fatica il doppio ruolo d’insegnante e casalinga, ma che al contrario distrugga e diminuisca il più possibile i ruoli per gli uomini come per le donne. Vogliamo un lavoro a tempo parziale istituzionalizzato per donne e uomini, in modo che ogni persona possa dare un suo contributo sociale e godere di un minimo di autonomia economica, premessa indispensabile per avere quella politica, sociale e culturale. Vogliamo la fine della figura della casalinga come destino obbligato della donna, volgano perciò un’organizzazione sociale della piccola economia domestica, vogliamo uomini negli asili nido e nelle cucine sociali, vogliamo individui, maschi e femmine non più prigionieri fin dalla nascita in destini già fissati, volgano una scuola, degli insegnanti, dei processi e dei contenuti che aiutino a creare questi nuovi esseri umani. Sempre tenendo ben presente che questi sono alcuni dei nostri scopi a lungo termine, è necessario tuttavia individuare quali sono i passi che si possono compiere già da oggi e compierli in modo corretto. Se riteniamo ^importante ritenere la metodologia di lavoro femminista anche nella scuola, occorre che ci battiamo ad esempio perché tre o cinque delle venti ore retribuite extra orario didattico possano essere utilizzate per riunioni di gruppo, in cui le insegnanti possano socializzare le proprie esperienze di donna insegnante, prendere coscienza dei propri bisogni, e individuare autonomamente i propri obiettivi di lotta, collegandosi poi, se è opportuno, con le organizzazioni sindacali e partitiche che possono essere mobilitate su certi obiettivi a livello locale e nazionale. L’importante è che ogni insegnante possa partecipare alla individuazione e alla elaborazione delle linee di lotta in modo da- sentirsi responsabilmente coinvolta in un positivo processo di mutamento. Lo stesso discorso vale ovviamente per gli altri gruppi coinvolti nelle attività scolastiche, gli studenti, i genitori, il personale non docente.

Non sempre tuttavia, data l’estrema varietà delle realtà scolastiche in cui ci troviamo ad operare è possibile applicare la metodologia del gruppo di autocoscienza. In certi casi per esempio può essere utile cercare di ottenere un quadro più preciso della specifica situazione in cui ci si trova ad operare attraverso colloqui, interviste, questionari, volti ad appurare quali sono le esigenze, i bisogni i problemi più sentiti dagli studenti, dagli insegnanti o dai genitori di una determinata scuola. Ricerche operative di questo tipo possono essere utili per evitare di compiere delle pericolose fughe in avanti che possono essere tremendamente controproducenti e costituire un atto di violenza contro quelle stesse donne che vorremmo avvicinare- al femminismo (non per far loro ‘del bene’ sia chiaro, ma perché la nostra lotta è comune e abbiamo bisogno delle loro energie per portarla avanti, per noi e per tutte le donne).

Per chi opera nelle scuole romane, ad esempio, può essere molto utile leggere un recente saggio di Viola Angelini (1) che ha fatto un’inchiesta sulle studentesse delle scuole superiori romane, intervistandone 3320 per appurare che cosa pensano queste ragazze della loro scuola, di se stesse, del loro ruolo e del loro futuro. I risultati dimostrano tra l’altro che solo una piccola percentuale aveva acquisito una coscienza femminista e che: a) la maggioranza delle ragazze intervistate pur desiderando un lavoro, anteporrebbero la famiglia se lavorare creasse dei problemi al loro ruolo di moglie e di madre; b) che la stragrande maggioranza delle intervistate non avevano nessun modello positivo a cui ispirarsi, sentendo i modelli posti dai padri ed altri maschi adulti come diversi ed estranei, e rifiutando quello tradizionale delle loro madri; e) una grossa minoranza vive ancora vincolata da severi limiti d’orario, divieti e la stragrande maggioranza deve svolgere attività di lavoro domestico oltre il lavoro scolastico ed) ‘la presa di coscienza sulla problematica femminile non sia ancora molto diffusa tra le giovanissime.

La maggior parte di noi insegnanti sia che operiamo nelle scuole secondarie, sia all’università, si trova di fronte ad una simile situazione, eterogenea e complessa: accanto ad una minoranza politicizzata e su posizioni femministe avanzate esiste una grande massa di ragazze spesso ‘ in crisi ‘, ‘ confuse ‘ e spesso lontane anche da un inizio di presa di coscienza sul ruolo della donna nella nostra società. Come agire allora in questi contesti, per stimolare senza fare violenza, senza imporre dall’alto, senza plagiare? Occorre ricercare dei modi che favoriscano il dibattito, il coinvolgimento di noi tutte, quelle che hanno già iniziato il sofferto processo di presa di coscienza e quelle che lo stanno cominciando. Ognuna di noi partendo dal proprio campo d’insegnamento, dall’italiano alla matematica, dal disegno all’educazione fisica, può utilizzare gli spazi di autonomia garantiti dalla libertà didattica per riesaminare la storia della donna nel contesto della società e nello sviluppo della propria disciplina in particolare. Per coloro che insegnano nelle medie inferiori è apparso recentemente un libro Donna perché (II) di Paola Gagliardo che può utilmente essere usato per stimolare bambine e bambini alla riflessione e alla discussione. Attraverso grafici, vignette, foto, racconti, brani, fumetti, il libretto della Gagliardo offre i presupposti per una analisi critica della condizione della donna esaminata sotto molteplici aspetti: dall’educazione familiare all’istruzione scolastica, dal lavoro casalingo ai lavori femminili, dalla pubblicità alla stampa femminile, ecc. Donna perché offre molti spunti a tutte coloro che nella scuola hanno voglia di ‘ cominciare a fare qualche piccola cosa ‘ anche per continuare a sperare e a lottare per i radicali mutamenti di cui abbiamo bisogno e che possono col paziente e tenace contributo di ognuna di noi essere lentamente realizzati.

 

(I) Angelini Viola La studentessa di scuola secondaria. Quaderni di sociologia dell’educazione n. 29, Ministero P.I. Via Guidubaldo del iMonte 54, Roma, 1975.

(II) Gagliardo ‘Paola. Donna perché. Minerva Italica, gennaio 1976.

(IlI) PCI II ruolo delle donne insegnanti. Documento elaborato in occasione della II Conferenza nazionale degli insegnanti e dei lavoratori della scuola, 1976.