rosa luxemburg: una «monografia teatrale»
la riscoperta di Rosa Luxemburg mi appare come sospesa tra evanescenti revival crepuscolari e ambigue circospette astrazioni di massonica memoria, ove gli osanna e i crucifige si alternano in una grottesca ridda di irrisolte equazioni e opportunistici interventi, sicché filosofia e storia lasciano scornate il posto a presunzioni pseudoscientifiche e apostolici giudizi, che, ben lontano dall’incarnare autentiche esigenze di verità, si configurano come disseccate incarnazioni di tribunali in disfacimento. Laddove infatti il recupero di un momento o di una figura storica, non si traduca in dialettico accertamento del vero, esso si pone come sterile strumentalizzazione del fenomeno, in funzione di polemica di parti, di fazioni o di opinioni.
Allora il sereno giudizio individuale, certo di una maggiore veridicità, diffidi pure di quanto gli viene propinato da individui per cui «pontificare» é mestiere e supplisca alla sua forse non approfondita preparazione storico-metodologica con la sincerità dell’intento. Promosso dall’ISSOCO e svoltosi nel settembre 1974 a Reggio Emilia sotto il patrocinio degli enti locali emiliani, il convegno su Rosa Luxemburg, che sembrava finalmente potere dare una adeguata risposta agli interrogativi che sempre più forti e numerosi si accentrano intorno alla controversa figura della grande rivoluzionaria polacca, vedeva impegnati storici e teorici marxisti in farraginose polemiche filosofiche, dove il recupero culturale politico sembrava dipendere da pretestuose necessità di contrappesi diplomatici a livelli irrimediabilmente dicotomici ed incomunicabili. Agli stessi risultati invischiati, caotici e personalistici, ritengo si sia pervenuti attraverso quella sorta di «monografia rappresentata» che é la «Rosa Luxernburg» di Faggi-Squarzina, allestita dal Teatro Stabile di Genova e in questi ultimi giorni di permanenza romana, impegnata in un decentramento cittadino, il cui maleodorante effluvio di paternalismo e spudorato neocolonialismo, non cessa di maltrattare le narici di quanti ben altro concetto coltivano di vero Teatro e vero rapporto di esso con le masse. Ci si illude infatti, e non certo per buona fede o per idillica disposizione all’ingenuo, che il trasporto di materiale scenografico, di attori e personale (per lo più vissuto come dolorosa ed estenuante Via Crucis) in una sala della periferia dell’Urbe, dove le scarse repliche ripetono modi e prassi usuali, senza accordo alcuno con le strutture del quartiere, ci si illude pertanto che ciò possa incidere sul luogo e serva a riscattarlo dalla barbarie culturale in cui versava prima del miracoloso arrivo del cast dei novelli crociati; populismo questo non solo a buon mercato, ma inaridimento della lotta culturale in professionalismo d’elite e provocazioni manieristiche, che vanno rifiutate sia sul piano del metodo, che della liceità politica ed ideologica. Malformazioni infine, di chi ritiene il «piaggiare» suprema ed intramontabile arte di sopravvivenza. Un operatore teatrale, che coinvolga, semel in anno, luoghi e persone comunemente trascurate, affrontando temi di etichetta marxista, sembra essere assolutamente immune da sacrileghe avances critiche e assurgere pressoché automaticamente al ruolo di artista politicamente e culturalmente impegnato. Se casualità ed esteriorità, mente che partorisce aforismi, sono divenuti improvvisamenti sinonimi di fede e di lotta, allora a buon diritto l’opera in questione può essere considerata tale. La vicenda complessa ed articolata della Luxemburg prende forma cristallizzata in tetre e mobili strutture lignee e serpeggiano serratamente i fatti della storia, da Rosa studentessa a Varsavia, all’università di Zurigo; dove Rosa incontra Leo Jogiches, fondatore del partito socialdemocratico polacco; dal matrimonio bianco con il giovane Gustav Lubeck alle prime pubblicazioni dei suoi libri; dai primi arresti alla fondazione dello Spartakusbund (giornale clandestino); dalla fondazione del Partito Comunista Tedesco al tradimento della socialdemocrazia e alla fucilazione avvenuta nel febbraio 1919. Decenni di storia preziosi per l’analisi di problemi, criteri, metodologie ed atteggiamenti, purtroppo accatastati in un susseguirsi confuso che rende inverificabile ed assolutamente non memorizzabile né assimilabile il singolo dato, che tale rimane in quanto sproblemizzato da una successione meccanicistica appunto inevitabilmente convulsa. Lo effetto é nullo per l’iniziato, ma direi addirittura controproducente per il profano che, inserito artificiosamente e bruscamente in fatti e problemi necessitanti di approcci critici estremamente graduali, si disorienta approdando ad irrimediabili errori di valutazione e comprensione; errori che, sviluppati da fruizioni emozionali, sono difficilmente sradicabili, alterando disponibilità e genuinità. Il didascalico soffoca il gesto, imbrigliandolo in logorroiche cadenze aritmiche; il non-teatrale dell’assunto e della impostazione generano contrastanti movenze di gelida espressività, ove il bagliore del momento riuscito si dissolve nella piattezza grigia e monocorde di un insieme rimasto a mio parere, irrisolto. La potenza drammatica, o si stempera fastidiosamente in gag cabarettiane accattivanti il riso, si perde e diluisce in pedanterie e parvenze.
personaggi, qualora riescano a sfuggire al più inadeguato caricaturismo, si risolvono in una fase incomprensibile di naturalismo, che, neppure in un possibile alternarsi dialettico (qui comunque non raggiunto), potrebbero trovare una giustificazione teatrale. Rosa si dimena in un gesticolare esasperato che pretende e spera di rendere quelle emozioni e quei significati, che solo connotazioni psicologiche definite esprimerebbero compiutamente e in ogni modo certamente con minore grossolanità. Ogni forma di espressione ha il suo specifico linguaggio a cui non ci si può illudere di potere venire meno, senza essere almeno consapevoli dei conseguenti irrisolvibili danni formali a tutto scapito della costruzione e dei contenuti stessi dell’opera. La figura della protagonista viene delineata dal regista, in verità sufficientemente documentatosi, ponendo l’accento in modo direi tendenzioso, seppur rispondente al vero, sui caratteri cosidetti «femminili», che, secondo Squarzina, riscatterebbero a livello umano ed emotivo, una personalità altrimenti troppo grigia e diciamolo pure, troppo prepotentemente contrastante con l’ideale di donna interiorizzato, a cui neppure i più consapevoli intendono rinunciare. Della Luxemburg pertanto si focalizzano sì con vigore, solidità mentale, personalità granitica, coerenza, volontà ferrea, ma pare non si possa fare a meno di fare assumere particolare rilievo a quegli elementi di «civetteria muliebre»,.che come lo stesso Ripellino afferma nell’Espresso, caratterizzerebbero quella «femminea umanità, che attrae la nostra attenzione e riscatta uno spettacolo spilorcio di fantasia…». Lo spettacolo avrebbe dovuto essere riscattato, ma non certo da questo decadente elemento. La cosa anzi non fa che togliere ad una messa in scena teatralmente, fiacca almeno la validità che un approccio di tipo nuovo, dinamico e femminista, avrebbe potuto in certa misura conferirgli. Ma simili intenzioni e consapevolezze sono assenti anche dalle menti degli interpreti, che partecipano tristemente della temperie creata dal regista. Adriana Asti, interprete dello spettacolo, con cui mi sono soffermata alla fine della rappresentazione per un breve colloquio, afferma: «Tutti volete trovarci per forza del femminismo, non capisco perché. In realtà, se esso vi è, è del tutto casuale, essendo completamente assente nell’impostazione del regista. D’altronte Rosa Luxemburg, si occupava di politica, non di femminismo». Quest’ultima affermazione, spero lo si comprenda, non mi ha dato la forza di continuare il colloquio, che certo non avrebbe goduto dell’ausilio di molti punti in comune di dialogo o di discussione dialettica, L’opera comunque qualcosa mi ha insegnato: la coerenza reazionaria è certamente meno pericolosa di involuti filosofemi travestiti da contenuti ideologici e sapientemente occultati in forme e linguaggi artistici.