corte assillante alla donna votante
«Il sistema delle deleghe sì può osteggiare anche con la forza del movimento».
una testimonianza sul rapporto fra me donna e le elezioni non è cosa facile: la mia esperienza soggettiva passa attraverso la storia collettiva del femminismo, da una parte, e la mia collocazione nel PDUP e nel progetto di Democrazia proletaria, dall’altra. Tra i due mondi c’è conflitto, si sa, come c’è, sempre, conflitto fra i partiti, storici o nuovi che siano, e il nostro vissuto e vivere di donne. In mezzo c’è la mia soggettività, la mia storia di persona che ha assunto, per forza di cose in un mondo ad egemonia maschile, un punto di vista sulla politica e sulla situazione di oggi in particolare.
Credo profondamente vero il senso di estraneità che le compagne vivono verso il modo d’essere istituzionale della politica, verso il «corteggiamento» assillante dei partiti per averle in lista: spesso risponde a un punto di vista molto misero, conscio o inconscio che sia, che è la riduzione a sé della carica eversiva delle donne, la riverniciatura movimentista di un burocratismo che nessuno, da nessuna parte, ha ucciso.
Il rischio di una falla fra politica e vita è di nuovo molto grave: rischia di allargarsi, di toccare, oltre alle donne, anche vaste aree di giovani che, al Porganizzativismo, alla milizia come negazione di sé, al conformismo come macchina psicologica per creare il consenso intorno al Partito maiuscolo, non credono più. Vicina com’è un’alternativa di potere è anche vicino il fantasma di una sua gestione verticistica: fatta dagli uomini degli apparati, per intenderci, grigia come la loro miseria.
E’ contro questo rischio neoistituzionalista che sento il bisogno e la voglia di combattere, come donna e come militante insieme.
E’ molto giusto che il movimento dia un’indicazione di voto a sinistra, senza specificazione, né potrebbe essere diversamente: è questa scelta che risponde alla nostra storia comune, ad un bisogno che sentiamo di unità fra tutte le donne, fatto di obiettivi concreti (aborto, servizi sociali, piena occupazione, nuova socializzazione dell’infanzia), ma anche di un vissuto comune, di una cultura nostra che questi obiettivi deve sostenere. La mia scelta di impegno in Democrazia proletaria, però, (risponde alla mia formazione, anche co-
me femminista: ho voglia di discuterne con le compagne, non di appannarla in un falso unanimismo.
Credo che spiegare la questione delle liste unitarie di nuova sinistra come un gioco di scatole cinesi di reciproci ricatti fra i partiti sia profondamente sbagliato: è, ancora una volta, la politica vista attraverso gli apparati. Il bisogno di unità che è emerso spontaneo non è l’unità dei «rivoluzionari» contro i riformisti, che ben vecchia e riduttiva sarebbe una simile concezione dei «rivoluzionari» come puri e separati. A galla è venuto, invece, il bisogno di lavorare di nuovo, più uniti, a dibattere e a far crescere quel forte patrimonio di lotte e idee del ’68, ’69, di cui i gruppi sono i parziali, e in parte miseri, rappresentanti (non è un caso che molta passione venisse dai «senza partito»). Il rifiuto del concetto di avanguardia esterna, della separazione fra proletariato stabile e sindacalizzato e le fasce emarginate della forza lavoro dei mercati paralleli, il rapporto nuovo fra fabbrica e territorio, l’ampliamento dell’ambito della politica, la critica dell’autoritarismo culturale: sono questi i concetti, è questo il terreno culturale, di cui la tematica femminista è figlia, giustamente ribelle. E’ dentro quest’area politica, culturale e sociale che il femminismo ha prodotto scontri e incontri più intensi.
E’ per questo che non sento questa scelta come separazione fra le donne («riformiste» da una parte, «rivoluzionarie» dall’altra), ma piuttosto, come rivificazione della critica femminista e comunista al riformismo come universo politico-culturale, per arrivare ad una nuova forza critica, dentro e fuori dai partiti. Non è, infatti, solo la strategia del compromesso storico che le donne hanno messo sotto accusa, ma tutto un sistema di deleghe che caratterizzano la politica riformista.
Il sistema delle deleghe, dei filisteismi burocratici, si può riprodurre, anche nella nuova sinistra. E’ una tendenza non cristallizzata però, che si può osteggiare anche con la forza del movimento delle donne, soprattutto se non si pensa pessimisticamente che il patrimonio del ’68, ’69, che ha formato in qualche modo anche noi, sia definitivamente tradito.