camilla ravera
il coraggio dell’eresia
è la prima donna nominata senatrice a vita, è stata tra i primi fondatori del partito comunista, dai suoi scritti, dai suoi diari, dalla sua vita, emerge la figura di una donna candida e umana; militante fedele, ma ferma nelle proprie convinzioni e nel dissenso
La Ravera ha quasi 93 anni e un passato “scomodo e leggendario” che ne avvolge la figura candida e minuta. Qualcuno, nei giorni scorsi, l’ha definita “senza muffa e ragnatele”, altri “spregiudicata”. Ma chi si questa donna, al di là delle definizioni, preferiamo scoprirlo dalla sua storia e dai suoi scritti.
Nata nel giugno del 1889, Camilla Ravera, fonda nel 1919 a Torino “l’Ordine nuovo” insieme con Togliatti, Gramsci e Terracini e nel ’21 è fra gli organizzatori del nascente Partito Comunista. Arrestata nel 1930 — dopo un lungo periodo di clandestinità con i nomi di battaglia di Silvia e Micheli — viene condannata dal tribunale speciale a 15 anni di reclusione e poi a cinque di confino a Ponza e Ventotene. Proprio da quest’ultima località, in occasione del patto tra Hitler e Stalin, la Ravera dissente dalle posizioni del partito, convinta che la lotta al fascismo e al nazismo siano in quel periodo gli obiettivi prioritari. Il partito la espelle, la storia le dà ragione, il conformismo e il disprezzo dei compagni la isolano per due anni. Nel ’45 Togliatti la riammette nel partito di cui è stata deputata in Parlamento fino al ’58. Attualmente è membro della Commissione Centrale di controllo del Pei e del comitato direttivo nazionale dell’Udì.
É coraggio o ironia quello che le fa dire nei corridoi di Botteghe Oscure che “Stalin era un ottimo compagno”! È l’ironia o l’amarezza a farle dire a proposito dell’attenzione suscitata dalla sua nomina: “E solo perché sono la prima donna senatore a vita” e ancora, a proposito del suo partito: “Non mi sono mai sentita messa da parte” Chi la conosce, la descrive come una persona serena anche nei momenti peggiori, candida e stupita come la ragazza che è rimasta nonostante gli anni. Noi, facciamo parlare i suoi scritti dai quali, però non emerge “il privato”. C’è chi sostiene che sia stata innamorata di Gramsci, altri {Sergio Turo-ne, il Messaggero, 10-1-82) dicono di lei: “di questa esile donna intelligente, buona, capace di soffrire non si conoscono altri amori che la classe operaia e la famiglia paterna”. A noi, piacerebbe sapere quanto la sua vita interamente dedicata alla politica sia stata una inclinazione personale o se invece sia stata un tributo pagato alla scelta di partito.
la politica
“Un mattino dell’aprile 1913, durante lo sciopero degli operai metallurgici torinesi, da una finestra della mia casa, guardavo avanzare una grande colonna di operai che in silenzio procedevano verso il parco Michelotti, sede delle loro riunioni di battaglia. Quella colonna di mano in mano s’ingrossava di nuovi operai provenienti dalle varie fabbriche: rapidamente scendevano dai tram e si incolonnavano, con egual passo, con lo stesso pesante silenzio. Conoscevo già Marx nell’essenziale della sua dottrina. (…) Ma in quel mattino del 1913 dinanzi a quella colonna di operai in lunga, unitaria e risoluta lotta, sentii, in modo risoluto e penetrante, il pensiero di Marx tradursi in realtà, diventare storia: storia degli uomini del lavoro, viva e appassionante. (…) Tardai tuttavia a entrare nell’organizzazione del partito socialista. Mi trattenevano resistenze e titubanze dovute alla mia naturale timidezza. (…) Fu la guerra del 1914 a sgombrare definitivamente quelle resistenze ed esitazioni. (…)”.
il carcere
“(…) Non vi sono mura capaci di limitare il mondo grandissimo sconfinato e vivo, che è in ognuno di noi; e che anche nella più grande solitudine, continuamente si allarga e si svolge, e si popola. (…) Io mi sento sempre uguale, e come se avessi gli occhi aperti su tutto il mondo: quando mi saranno riaperte queste porte sarà — dal punto di vista della mia disposizione di spirito — come se fosse l’il luglio 1930”. (…) Fino a che l’aridità non è in noi, non c’è ora della vita la quale non sia, o non possa essere interessante e ricchissima. (…) In carcere, dove si perdono tutte le libertà, si trova quella di poter pensare, senza essere quasi mai disturbati da cause ed esigenze estranee. (…)
il confino
“(…) Accanto a me abitava Terracini. A breve distanza era alloggiato Pertini: anche lui disponeva di una terrazza e ne aveva fatto un giardino, coltivandovi con cura amorosa, in bei vasi di coccio, molte pianticelle fiorite. Me ne regalò subito alcune, con le quali anch’io, come Terracini avviai il mio giardinetto sulla terrazza. Tra Pertini e Terracini nacque, in quel campo, una vera gara. (…)”
il dissenso
(…) Mi avete comunicato che, in seguito alla insuperabilità delle divergenze insorte tra le vostre opinioni e le mie, avete preso contro di me le seguenti misure organizzative. (…): Io non dovrò parlare coi compagni delle mie opinioni, io devo interrompere il mio lavoro. (…) Nel direttivo avrei disapprovato l’espulsione di Terracini e avuto la sua stessa condanna. (…)
gennaio 1882
Ha dichiarato che in Senato ha ancora molte cose da dire.
I brani sono tratti da: Camilla Ravera “Lettere al partito e alla famiglia ” e “Diario di trent ‘anni”.
(Editori Riuniti)