lesbismo

la paura di vivere lesbica

silenzi interventi poesie applausi hanno punteggiato per tre giorni il primo convegno nazionale di donne lesbiche al governo vecchio di roma, una cronaca vissuta dall’interno sul filo dell’emozione e della emozione e della riflessione

gennaio 1982

La fine del 1981, ha segnato una svolta decisiva, importante all’interno del movimento delle donne, la nascita del movimento lesbico-femminista. Tra il 26 ed il 28 dicembre si è tenuto a Roma, alla “Casa della donna” di via del Governo Vecchio, il primo Convegno Nazionale di Donne Lesbiche, indetto dal collettivo Vivere Lesbica di Via Pompeo Magno. Senza la complicità dei panettoni, ma ritrovando una antica complicità, dimenticata negli ultimi anni, abbiamo assaporato in circa quattrocento di nuovo la gioia dell’incontro tra simili. É stato un avvenimento politico, di quella politicità che troppe analisi sui movimenti ci avevano fatto scordare, ma che si sente vivendola come ad un passo più vicina dalla espressione collettiva di un bisogno reale.
Da anni infatti in varie parti d’Italia stanno sorgendo gruppi di donne lesbiche con aggregazioni diverse, ma tutte all’interno della esperienza delle donne senza alcun collegamento con i gruppi maschili omosessuali, senza troppe confusioni con la tematica dei gay movement di tipo anglosassone. Questo Convegno ha dato il segno di movimento a tutto un agire sotterraneo di molti percorsi diversi che hanno assunto la parola. Il fatto più nuovo ed anche l’elemento di maggiore qualità che connota questo movimento nato in Italia, è il suo consapevole rapporto di contiguità e vicinanza con il femminismo; il porsi come diverso senza essere antagonista. L’adolescenza del lesbismo all’interno del femminismo è continuata per molto tempo ed è stata segnata da molti travagli, indecisioni e paure d’abbandono, fino a che il provvidenziale vigile di Agrigento, punendo con la sua ottusità di maschio un bacio tra donne, non ci ha fatto ritrovare in Piazza del Pantheon a Roma per la prima manifestazione lesbica, quasi una prova generale da cui sono scaturiti gli incontri preparatori del Convegno. Mi è difficile sciogliere il nodo tra esperienza soggettiva e capacità oggettiva di sintetizzare le tre giornate in cui la mia emotività di lesbica e il mio passato di femminista si sono incontrate e scontrate con tanti modi diversi di porre il problema di esistere politicamente. Ho registrato decisamente che questa esigenza c’era ed era consapevole anche se la coscienza di vivere in tempi di piombo ha imposto cautela di fronte alle proposte avanzate da uno dei gruppi, quello sulle paure ed i modi per superarle, del collettivo Vivere Lesbica.
Mi chiedo quanto le donne, femministe e non, leggendo le brevi notizie incomplete ed inesatte che i quotidiani incastonavano sotto titoli di effetto e di dubbio gusto abbiano voltato pagina, riso per scherno o per pudore oppure guardato con attenzione non solo dentro la notizia, ma dentro di sé.
Noi che li c’eravamo l’abbiamo fatto ed abbiamo visto qualcosa che occorre portare nel mondo per non morire politicamente, culturalmente ed esistenzialmente.
“Come scindere paura e sessualità?, dice Paola del gruppo della Sessualità Lesbica che ha aperto il Convegno sollevando una serie di interrogativi a cui hanno risposto altre testimonianze di sesso e di amore tra donne, incerte tra il desiderio di separarsi nei luoghi dell’affettività alla ricerca di un modo nuovo, meno doloroso di amarsi e la voglia di esprimersi, di dirsi lesbica ovunque: in famiglia, al lavoro, a scuola, senza temere il ricatto o la tolleranza delle istituzioni.
In fondo questo ambiguo ed ambizioso processo tra il livello politico e quello privato è stato il tema centrale dei tre giorni, la proposta autonoma delle donne lesbiche decise a spezzare il silenzio sulla loro condizione. Decise a confrontarsi con la Costituzione della Repubblica Italiana che all’articolo 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impedisce il pieno sviluppo della persona umana”.
Il gruppo sulle “paure e i modi per superarle” che ha proposto la discussione di una Carta dei diritti della donna lesbica ha toccato il difficile punto dell’invisibile repressione patriarcale che trasforma in paure private ogni trasgressione dalla pubblica eterosessualità. Il velo di “pudore” che circonda ogni donna fin dalla sua nascita è una camicia di forza per la donna lesbica cui il femminismo ha iniziato a sciogliere i lacci, ma che deve essere tolta con lotte su obiettivi specifici, insomma chiedere la parità per poter vivere la propria diversità, identificare un proprio linguaggio.
In un articolo del bollettino distribuito dal gruppo della identità lesbica, Rosanna afferma: “Io lesbica, condivido con le etero-femministe le battaglie contro ciò che ci colpisce insieme, la violenza sul nostro corpo, l’oppressione del patriarcato. Ma non posso dimenticare che la mia cultura, la mia alternativa di vita, è schiacciata da un silenzio di ventiquattro secoli; è stata uccisa a Mitilene”.
Il dibattito del secondo giorno ha visto come protagonista proprio il tipo di obiettivo che si intendeva definire nei confronti della legge ed alla proposta “matrimonio” si sono aperte le più vivaci discussioni tra chi rivendicava una reversibilità e chi invece sottolineava l’esigenza di procedere per mutazioni all’interno delle strutture sociali esistenti. L’argomento ha però centrato un problema di tutte perché certamente si è scoperto di essere lesbiche per il “vizio” dell’amore. Un amore liberato dal mito della passione e della distruzione, e soprattutto dalla negazione di sé dal tormento di non essere capaci di accettarsi da sole. Poco del maschile si è parlato e sempre in termini di oppressione, di violenza imposta a cui non si intende rispondere con altra violenza, ma con il rifiuto della codificazione eterosessuale. Con il rifiuto della tolleranza anche da parte di altre donne eterosessuali, nel reciproco rispetto della propria specificità. Essere lesbica non è, dice Edda, “…l’imperativo categorico di un manifesto di liberazione della donna, passaggio obbligato del separatismo come da troppe parti si va dicendo anche da parte di compagne femministe”. Essere lesbica è la ricerca di un modello o meglio dei modelli che sino ad oggi non esistono nel sociale ma che riusciremo a costruire partendo in prima persona dalla nostra sessualità; senza rivestire il progetto di orpelli e di beatitudini inesistenti, sapendo di dover procedere “attraverso una catena di definizioni in negativo, per opposizione…” come scrive Raffaella nel porsi la domanda sulla identità lesbica. E accanto a queste affermazioni precise e sofferte nella sala sono ‘anche spuntati i pianti di quelle che avevano osato parlare, gli scoppi di rabbia di chi voleva per forza l’unanimismo, e trovava soltanto un flusso; “la meccanica dei fluidi” scriveva nel ’77 la Irigaray, parlando dell’uscita della donna dal continente nero. E il flusso delle lesbiche, donne diverse, c’è stato in questi tre giorni del Convegno: “tutto si muove e si intreccia” dice il verso di una poesia recitata da una donna per rispondere ad un’altra donna, magra, bruna e sofferta che voleva dare le sue energie alla ricostruzione delle terre terremotate invece che al lesbismo. Nessun’altra ha parlato contro di lei, nessuna le ha detto che faceva male o che si faceva male; tutte erano desiderose di riprendere il discorso su di sé, sulla propria oppressione, sulla richiesta dei “diritti civili” perché la donna lesbica possa richiedere una casa popolare, gli assegni familiari, l’assistenza medica, la reversibilità della pensione e il testamento a favore di chi ama, perché i figli possano portare il cognome della madre e non siano affidati al padre nel caso di un divorzio, per non temere l’allontanamento dal lavoro o la mortificazione da parte dei parenti, degli amici, dei colleghi. Alcune hanno sottolineato che la mancanza di queste banalità minaccia il vivere quotidiano e forse, sotto, sotto, pensavano al terremoto giornaliero di ogni sguardo indiscreto sulla cara vita. Altre hanno protestato di fronte alla grigia visione del mimetismo di schemi eterosessuali, sottolineando la perdita di energie che tale lotta per la conquista dei diritti avrebbe impegnato. Sembrava impossibile continuare ad essere diverse facendo fatica per diventare “pari”. Nessuna però ha frainteso il concetto di parità con quello repressivo dell’uguaglianza. Indubbiamente per le lesbiche italiane dieci anni e più di battaglie del movimento delle donne hanno creato una consapevolezza storica sul come procedere politicamente, sull’importanza di spostare i criteri di valutazione sociale partendo da obiettivi apparentemente riformisti. Rina ricordando che la prassi seguita con la legge per i casi di violenza sessuale ha suscitato un ampio dibattito in tutto il paese che forse permetterà l’inserimento di modelli comportamentali nuovi nel rapporto uomo-donna, pensava alla possibilità, una volta maturate le coscienze, di poter condurre una battaglia ancor più forte, perché più legata ad esperienze personali, per il lesbismo, facendo uscire dall’isolamento culturale ed emotivo molte lesbiche ancor oggi costrette a velare l’orrendezza della loro scelta sessuale. Penso che una richiesta di diritti civili da parte delle donne che vivono con donne, modificherebbe radicalmente, non solo la vita delle lesbiche, ma anche il concetto stesso di emancipazione della donna dalla dipendenza patriarcale; la sua esistenza. Il modo lesbico di vedere la vita, l’identità lesbica, l’amore lesbico di cui si sono cercate di tratteggiare le caratteristiche non si pongono come assoluti, non cercano un’impossibile omogeneità, ma il rispetto e la comprensione di sé. Le donne lesbiche, ognuna con la sua biografia politica, si sono messe in movimento togliendosi la maschera di eterosessualità obbligatoria e rimanendo, lo stesso, donne come lo stupendo manifesto del Convegno suggeriva alla gente per le strade di Roma. È ancora difficile sottolineare i connotati politici e culturali di questo movimento lesbico-femminista nascente. Né, tantomeno, fare adesso una previsione numerica sull’entità di questa finora sconosciuta “minoranza”, perché in effetti come dice la poesia di Antonia: “mi sapresti dire, coperte come sono, così tanto per dire, QUANTE MONACHE SONO BIONDE E QUANTE BRUNE?”